«La nonna è morta» fu la parola d’ordine in codice che diede inizio, il primo settembre di ottant’anni fa, al
secondo conflitto mondiale ("incidente" di Gleiwitz).
Se
l’aspirina Bayer è un prodotto americano e non tedesco, gli americani devono
ringraziare il Trattato di Versailles del 1919. Il conflitto aveva
rappresentato un momento di cesura epocale e tante paci erano possibili, ma le
condizioni dettate da quel trattato compromisero il nuovo ordine internazionale
invece di aiutare a crearlo. A Versailles si creò solo un fragile compromesso
tra l’utopia wilsoniana e la paranoia europea (1). Si trattò insomma di un ordine internazionale che
doveva essere mantenuto con la forza, e dunque di per sé precario.
Del resto pace e ordine internazionale non sono mai concetti sovrapponibili. Se la pace è l’esito di un processo espressamente voluto e consapevolmente costruito, un nuovo ordine internazionale non è né automatico, né lineare, né scontato, come del resto conferma anche ciò che è accaduto dopo il fatidico 1989.
Il "concerto europeo" uscito dal Congresso di Vienna era debitore alle regole codificate nei Trattati di Westfalia del 1648; il principio che lo informava stabiliva l’interesse degli Stati a preservare l’equilibrio (Balance of Power). Subito dopo la prima guerra mondiale, l'auspicabile mantenimento di questo antico schema era oggetto di dibattito. Diversamente da quanto era avvenuto nel 1814, nel 1856, al Congresso di Parigi e nel 1878 al Congresso di Berlino, nel 1919, invece, i paesi sconfitti non furono chiamati a partecipare alla stesura della carta politica e geografica del nuovo ordine. Inoltre, il tema della "colpa" e della "responsabilità" del conflitto fu posto esplicitamente a base di una pace non negoziata ed espressamente richiamato nel Trattato.
La scomparsa di quattro imperi continentali, l’emergere degli Stati Uniti con progetti di potenza globale, la nascita di quella che di lì a poco si chiamerà Unione Sovietica (che chiederà invano una pace "senza annessioni e senza indennità", inammissibile con l’idea di vittoria coltivata dai maggiori paesi dell’Intesa) non favorirono di certo la riproposizione di un paradigma già collaudato con cui affrontare il tema della costruzione della pace e del nuovo ordine europeo e mondiale.
Un trattato peraltro in evoluzione, come confermano la vicenda dell'ammontare della "riparazioni", dell'evacuazione della Renania, dello status della Saar, eccetera.
Bisognava tener conto di queste nuove realtà e della volontà francese, non comune solo in ambienti sciovinisti, che puntava a infrangere irreversibilmente l’unità della Germania; ma anche della volontà di superare la vecchia diplomazia, che aveva mostrato il suo fallimento nel momento stesso in cui non aveva evitato il conflitto generalizzato. La pace e il nuovo ordine stabilito a Versailles furono il frutto dell’equilibrismo, più che l’equilibrio. La Società delle Nazioni confermò di fatto la tradizione delle politiche di potenza nazionali.
Del resto pace e ordine internazionale non sono mai concetti sovrapponibili. Se la pace è l’esito di un processo espressamente voluto e consapevolmente costruito, un nuovo ordine internazionale non è né automatico, né lineare, né scontato, come del resto conferma anche ciò che è accaduto dopo il fatidico 1989.
Il "concerto europeo" uscito dal Congresso di Vienna era debitore alle regole codificate nei Trattati di Westfalia del 1648; il principio che lo informava stabiliva l’interesse degli Stati a preservare l’equilibrio (Balance of Power). Subito dopo la prima guerra mondiale, l'auspicabile mantenimento di questo antico schema era oggetto di dibattito. Diversamente da quanto era avvenuto nel 1814, nel 1856, al Congresso di Parigi e nel 1878 al Congresso di Berlino, nel 1919, invece, i paesi sconfitti non furono chiamati a partecipare alla stesura della carta politica e geografica del nuovo ordine. Inoltre, il tema della "colpa" e della "responsabilità" del conflitto fu posto esplicitamente a base di una pace non negoziata ed espressamente richiamato nel Trattato.
La scomparsa di quattro imperi continentali, l’emergere degli Stati Uniti con progetti di potenza globale, la nascita di quella che di lì a poco si chiamerà Unione Sovietica (che chiederà invano una pace "senza annessioni e senza indennità", inammissibile con l’idea di vittoria coltivata dai maggiori paesi dell’Intesa) non favorirono di certo la riproposizione di un paradigma già collaudato con cui affrontare il tema della costruzione della pace e del nuovo ordine europeo e mondiale.
Un trattato peraltro in evoluzione, come confermano la vicenda dell'ammontare della "riparazioni", dell'evacuazione della Renania, dello status della Saar, eccetera.
Bisognava tener conto di queste nuove realtà e della volontà francese, non comune solo in ambienti sciovinisti, che puntava a infrangere irreversibilmente l’unità della Germania; ma anche della volontà di superare la vecchia diplomazia, che aveva mostrato il suo fallimento nel momento stesso in cui non aveva evitato il conflitto generalizzato. La pace e il nuovo ordine stabilito a Versailles furono il frutto dell’equilibrismo, più che l’equilibrio. La Società delle Nazioni confermò di fatto la tradizione delle politiche di potenza nazionali.
Quanto
al principio di autodeterminazione dei popoli, tanto caro a Wilson dopo che gli
Stati Uniti avevano fatto per più di un secolo i propri comodi (da ultimo
acquisendo i residui possedimenti coloniali spagnoli), esso si rivelò
particolarmente fragile negli stati nati dalla divisione dell’impero
austro-ungarico. Da Versailles uscì una mappa dell’Europa centro-orientale che non
poteva non suscitare prima e alimentare poi risentimenti nazionali.
Alcuni esempi: la Romania aveva acquisito milioni di ungheresi, la Croazia e la Serbia non avevano una storia comune e men che meno una stessa unità politica, come avrebbero dimostrato le guerre civili del 1941 e del 1991. Le religioni cattolica, ortodossa, musulmana, le diverse grafie, latina e cirillica, non erano acqua fresca (questo dovrebbe far riflettere gli odierni fautori del “meticciato”, ma da loro non c’è da attendersi nulla).
Alcuni esempi: la Romania aveva acquisito milioni di ungheresi, la Croazia e la Serbia non avevano una storia comune e men che meno una stessa unità politica, come avrebbero dimostrato le guerre civili del 1941 e del 1991. Le religioni cattolica, ortodossa, musulmana, le diverse grafie, latina e cirillica, non erano acqua fresca (questo dovrebbe far riflettere gli odierni fautori del “meticciato”, ma da loro non c’è da attendersi nulla).
La
Cecoslovacchia includeva 3 milioni di tedeschi, 1 milione di ungheresi e mezzo
milione di polacchi su una popolazione di 15 milioni di abitanti. In pratica un
terzo non era né ceco né slovacco, e la Slovacchia stessa mal digeriva la
predominanza ceca come del resto fu dimostrato dalle secessioni del 1939 e poi
del 1992 (2). La Polonia
poteva contare milioni di tedeschi e il controllo del corridoio che separava la
Germania dalla Prussia orientale (leggi Danzica).
Le
premesse per un futuro conflitto armato erano già tutte nel piatto del
revanscismo germanico che la Conferenza di Versailles aveva così ben guarnito,
e per servirlo non sarebbero mancate le occasioni di crisi (3), tanto più che la Francia e l’Inghilterra non
potevano più contare sulla tradizionale alleanza della Russia zarista. Lloyd
George comprese la situazione troppo tardi e in un memorandum a Wilson datato
25 marzo 1919 scrisse:
«Non posso pensare a nessun’altra causa di
una futura guerra se non al popolo tedesco, che si è dimostrato una fra le
razze più forte e vitale del mondo ed è circondato da alcuni piccoli stati,
molti dei quali costituiti da popoli che non hanno mai avuto uno stabile
governo autonomo E tutti con consistenti comunità tedesche ansiose di riunirsi
alla madrepatria» (4).
Il testo dei famosi Quattordici punti wilsoniani, con le modifiche apportate dai governi Alleati nella loro Nota di precisazione, fu comunicato formalmente il 5 novembre 1918 dal Presidente al governo tedesco come base della pace. La Germania, si legge tra l'altro, "risarcirà tutti i danni recati alla popolazione civile dei paesi Alleati e ai suoi beni dall'aggressione tedesca per terra, per mare, e dall'aria"(5).
Il testo dei famosi Quattordici punti wilsoniani, con le modifiche apportate dai governi Alleati nella loro Nota di precisazione, fu comunicato formalmente il 5 novembre 1918 dal Presidente al governo tedesco come base della pace. La Germania, si legge tra l'altro, "risarcirà tutti i danni recati alla popolazione civile dei paesi Alleati e ai suoi beni dall'aggressione tedesca per terra, per mare, e dall'aria"(5).
Su
queste premesse geopolitiche e sulle "riparazioni" di guerra, s’innesta la più grande crisi economica del ‘900,
la crisi istituzionale della Repubblica di Weimar e il prender forza dei
partiti nazionalisti e di quelli fascisti. Senza la grande crisi economica degli anni Trenta, l’acquarellista
Adolf Hitler sarebbe rimasto una stravagante curiosità nei libri di storia
tedesca (6). Tuttavia, sotto il profilo storico, è inutile
e puerile la demonizzazione di Hitler e del nazismo: la loro ascesa va indagata e
compresa nei motivi del loro straordinario successo, che fu trasversale alle classi sociali tedesche.
(1) «A Clemenceau non piacevano molto né Wilson
ne Lloyd George. “Mi trovavo fra Gesù Cristo da una parte e Napoleone Bonaparte
dall’altra” commento con una battuta che fece il giro di Parigi. Wilson lo
disorientava: “Non penso che sia un uomo cattivo, ma non ancora deciso quanto
ci sia di buono in lui!”. Lo trovava poi arrogante e vanitoso: “Quale ignoranza
dell’Europa e come era difficile con lui ogni intesa! Credeva di poter far
tutto con le formule i suoi quattordici punti. Dio si è accontentato di dieci
comandamenti. Wilson modestamente ci ha inflitto quattordici punti … i
quattordici comandamenti della più vuota ideologia!» (Margaret MacMillan, Parigi 1919. Sei mesi che cambiarono il mondo,
Mondadori, p. 51).
John Maynard Keynes scriveva divertito al riguardo: «Clemenceau non fingeva in alcun modo di ritenersi vincolato dai Quattordici Punti e lasciava prevalentemente ad altri i ripieghi di tanto in tanto necessari per salvare gli scrupoli e la faccia del Presidente» (Le conseguenze economiche della pace, Adelphi, p. 43).
John Maynard Keynes scriveva divertito al riguardo: «Clemenceau non fingeva in alcun modo di ritenersi vincolato dai Quattordici Punti e lasciava prevalentemente ad altri i ripieghi di tanto in tanto necessari per salvare gli scrupoli e la faccia del Presidente» (Le conseguenze economiche della pace, Adelphi, p. 43).
(2) «Nel nuovo stato cecoslovacco il milione di
bambini sarebbero rimasti privi di latte. A Vienna erano più numerosi i neonati
che morivano di quelli che riuscirono a sopravvivere. La popolazione si cibava
di polvere di carbone, di trucioli di legno, di sabbia. […] Eppure le risorse esistevano. Canadesi,
australiani, neozelandesi e gli stessi americani avevano viveri in eccedenza che
erano desiderosi di vendere […]. Il
problema era un altro: chi avrebbe pagato? La Germania aveva riserve auree, ma
la Francia ci opponeva con fermezza al loro eventuale impiego per finanziare le
importazioni perché voleva che fossero utilizzate per le riparazioni di guerra»
(Margaret MacMillan, Ibidem, p. 85). L'Autrice offre un vasto quadro della situazione europea e mondiale e a mio parere il suo lavoro, incentrato sul Trattato di Versailles, rappresenta il migliore e più completo saggio tradotto in italiano.
(3)
Cfr. Davide Artico e Brunello Mantelli (a cura di), Da Versailles a Monaco. Vent’anni di guerre dimenticate, Utet,
2010. In particolare, il cap. 4, laddove si dà conto di che cosa furono capaci gli
ultranazionalisti polacchi in Alta Slesia contro i civili tedeschi. Vi è
narrata anche la vicenda del capitano Ettore Periggi e del suo reparto nel corso dell’assalto polacco a Kędzierzyn
del 9-10 maggio 1921.
(4)
Citato da Henry Kissinger, L’arte della
diplomazia, Sperling & Kupfer, p. 178.
(5) Per una disamina: J.M. Keynes, op. cit., in particolare il cap. quattro e la nota (1) del cap. quinto; Paul Kennedy, Ascesa e declino delle grandi potenze, Garzanti, in part. il cap. 6: L'avvento del mondo bipolare e la crisi delle "medie potenze" (1919-1942). Sulla Nota di precisazione, cfr. Lloyd George, Memorie di guerra, Mondadori, 1938, vol. III, p. 423.
(6) Vedi nel blog: Hitler al potere.
(6) Vedi nel blog: Hitler al potere.
spero che di buon mattino si sia apprezzata la locuzione "grafia cilindrica" anziché cirillica. la digitalizzazione vocale e il correttore automatico ci regalano sempre nuove esilaranti "battute" (oltre ai non rari orrori di chi scrive)
RispondiEliminaapprezzatissima. Buon settembre e grazie di queste note storiche che tanto bene fanno a noi profani
EliminaDall'alto della mia ignoranza, pensavo ad un qualcosa di esistente. 😄
RispondiEliminasì, iniziato con il sorriso sulle labbra,cosa sempre più rara
RispondiEliminati ringrazio
GRAZIE A TUTTI VOI
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