Mia nonna materna sosteneva che repetitio est mater studiorum, ma più spesso che in latino me lo significava
inchiodandomi sulla sedia per interi pomeriggi con letture assai meno
interessanti di quelle del libro di Terry Crowdy (Marengo 1800), che dopo averlo letto merita davvero un ripasso e una scheda.
Prima di porre e rispondere alla domanda sul
perché è importante da un punto di vista storico la battaglia di Marengo,
ritengo sia il caso di porsi la domanda del perché sia importante lo studio della
storia militare, posto che lo studio della storia in generale, anche se in
termini di utilità collettiva non dà un rendimento immediato, non è mai fine a
se stesso.
Se la guerra è la continuazione della
politica con altri mezzi, se dunque la guerra è uno strumento della politica,
fosse pure solo in chiave di deterrenza, alias minaccia, allora consegue che
per chi vuole stare al mondo non solo per mangiare e fischiare, è d’uopo un
minimo di conoscenza della storia e dell’arte militare, sposata alla storia e
all’arte della diplomazia (*).
In tal senso la Convenzione di Alessandria,
che fece immediato seguito alla battaglia di Marengo, risulta esemplare per i
suoi effetti. Napoleone, in quel frangente, si dimostrò un abile diplomatico. Dopo
di allora, prescindendo dalla battaglia conclusiva combattuta sul fronte del
Reno in quello stesso anno, la Francia non ebbe più a prendere le armi sul
fronte terrestre fino al 1805. Un lungo periodo di pace non da poco in epoca
napoleonica. Non per nulla alla vigilia e durante la seconda campagna italiana Napoleone
twittuava alle sue truppe: “Se volete la pace, dovete combattere questa guerra”.
Se il diciotto brumaio 1799 segnò la fine politica
di ciò che restava della rivoluzione, la battaglia combattuta il 14 giugno del
1800 alle porte di Alessandria, segnò l’inizio dell’epopea napoleonica. In quel
giorno, il generale di cavalleria Kellermann aveva ragione nel dire che Marengo
pose la corona di Francia sul capo del generale Bonaparte (**). Quella
battaglia rimase, come dice Crowdy, “sempre la pietra angolare della sua
legittimità”. Soggiungo: non avendone altra di migliore da far valere.
In un prossimo post darò la sintesi di
quella giornata di battaglia, che vide vincitori gli austriaci fino alle
quattro del pomeriggio, nonostante i loro marchiani e incredibili errori
commessi prima, all’inizio e durante quella battaglia, mentre Napoleone commise
un serio errore di valutazione e quasi non ebbe gioco. Dapprima la prudenza e
poi l’ardore di un generale francese cambiò le sorti di quella giornata, di
quella campagna e dunque il destino di Bonaparte, della Francia e dell’Europa.
(*) Alla stessa stregua si può osservare che
non è sufficiente conoscere la lingua inglese per fare, ad esempio, il ministro degli Esteri o il presidente del consiglio. Vale a dire che per stabilire l’indirizzo politico negli Affari esteri e
per svolgere proficuamente l’attività diplomatica è necessario un certo background,
che non s’improvvisa. Ecco perché un ministro degli Esteri non va scelto con i
criteri del manuale Cencelli, né un presidente del consiglio per endorsement.
(**) Per ironia della sorte, in quei giorni
il Primo Console si mostrò generoso con tutti, anche con il nemico, salvo che
con Kellermann, che parte non secondaria ebbe in quella decisiva vittoria.
Nessun commento:
Posta un commento