Mi fanno pena quei ragazzi che oggi vengono
fatti sfilare per le strade chiedendo ai governi di d’intervenire sulle cause
antropiche dei cambiamenti climatici. A essi è fatto credere proprio questo, e
cioè che questo sistema sia riformabile. Essi sembrano inconsapevoli di vivere
nello stadio supremo della produzione mercantile, ostaggi di forze potentissime
e soverchianti, dominati da rapporti sociali che agiscono su ciascuno e su
tutti come invisibili catene.
Si spendono decine di miliardi per mettere
in piedi dei baracconi con lo scopo di “nutrire il pianeta”, laddove quattro
multinazionali controllano il 70 per cento della produzione cerealicola. Poi i
media s’incaricano di dispensare paure nevrotiche sul consumo di questo o
quell’alimento. Patetici e ridicoli.
Articoli e libri contengono perlopiù denunce
generiche, contro gli “uomini maledetti, ingordi e ciechi”, insomma le solite
chiacchiere contro questo e quello, ma nell’insieme si tratta di una critica
laterale che non dice nulla sulla realtà del capitalismo e sulla necessità del
suo superamento, sull’impossibilità della sua continuazione, sull’urgenza della
lotta contro la dittatura borghese.
Questa è l’epoca che ha ogni mezzo tecnico
per alterare in modo assoluto e definitivo le condizioni di vita sul pianeta,
ma è anche l’epoca che ha tutti i mezzi necessari di controllo e previsione per
misurare con esattezza e in anticipo dove ci sta portando un’economia lasciata
libera di crescere senza limiti e che ha come scopo assoluto ed esclusivo il
profitto, l’accumulazione fine a se stessa.
L’impossibilità di proseguire oltre è dunque
già dimostrata, e tuttavia, come si sente e si legge, si confida in un’azione
politica riformatrice e in una scienza che dovrebbe escogitare dei rimedi a
tutto; ma una tale politica e una tale scienza, controllate e finanziate dal capitale
stesso, possono soltanto garantirci la catastrofe.
Il timore più grande che ha la borghesia è quello
che questi giovani comincino a pensare con la loro testa e prendano coscienza
del reale stato di cose. La ferocia con cui ci si scaglia contro l’idea stessa
di un possibile radicale cambiamento, che passa necessariamente per un lungo processo rivoluzionario, è la
dimostrazione di questa paura.
Un contributo: "È ovvio che bisogni illimitati sono funzionali ad un capitalismo ottimista, che non potrebbe neppure esistere in quanto modo di produzione senza ricrearne di sempre nuovi e artificiali. Se all'illimitatezza tecnica della produzione si accompagnasse – più di quanto non succeda ora – una limitatezza dei bisogni, il capitalismo non sopravviverebbe un mese a sé stesso. Nel capitalismo ogni bisogno esiste in funzione della produzione e solo la pubblicità si basa sull'assunto bugiardo che la produzione di una data merce esista in funzione di un bisogno. Per questo il bisogno deve essere sempre stimolato, fino all'assurdo, senza che si badi alla sua nocività fisica e sociale".
RispondiEliminahttp://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/03/controllo_consumi.htm?fbclid=IwAR2HzSGeLEETsTJTmunfZEx0HcCeRjMnPBR4s02cc4-3P5fFxYGmEmOxSYY
Non c'è un limite tecnico alla quantità di merci producibili".
EliminaNon è vero, un limite tecnico c'è:
http://diciottobrumaio.blogspot.com/2016/02/potrebbe-sorgervi-la-domanda.html
http://diciottobrumaio.blogspot.com/2016/10/la-tendenza-storica-dellaccumulazione.html
sul sottoconsumo:
Eliminahttp://diciottobrumaio.blogspot.com/2018/09/non-facciamoci-imbrogliare.html
Leggo nell’articolo segnalatomi:
Elimina«Dato che il suo scopo non è la soddisfazione di bisogni umani ma la realizzazione del profitto, la merce deve ad ogni costo attirare l'attenzione, creare un bisogno per poi soddisfarlo con un valore d'uso, non importa quanto derivante da pura fantasia. In una società in cui la produzione socializzata sia libera da una tale remora, ogni attività umana sarà indirizzata alla ricerca del soddisfacimento di bisogni umani, i quali cambieranno per il semplice fatto che verrà invertito, in un primo tempo, il ciclo D → D1 in M → M1, dove M1 non sarà più espressione di valore ma di cambiamento qualitativo, come avviene ora all'interno della produzione prima che la merce diventi tale sul mercato.
[…] Mentre oggi la merce diventa un oggetto sempre più estraneo all’individuo, che necessita nello stesso tempo di sempre maggiore denaro per acquistarne in quantità, domani la negazione di essa e la sua metamorfosi in un bene utile eliminerà il problema quantitativo e accentuerà quello qualitativo.»
Ogni merce è già oggi un bene utile, o considerato tale. Il cambiamento non passerà per tale “metamorfosi”. Solo in seconda battuta un cambiamento è possibile nella sfera del consumo e dunque nella sfera della circolazione. Il passaggio dal feudalesimo alla società borghese non è avvenuto perché sono i cambiati consumi, ovvero sono cambiati i consumi in conseguenza di altri sconvolgimenti nella sfera della produzione. Stiamo attenti a questo tipo di lusinghe.
Temo di non aver capito l'esempio dei baracconi "per nutrire il pianeta" che costano decine di miliardi.
RispondiEliminaA cosa si riferisce?
Saluti
do you remember expo?
EliminaIl timore più grande che ha la borghesia è quello che questi giovani comincino a pensare con la loro testa e prendano coscienza del reale stato di cose. La ferocia con cui ci si scaglia contro l’idea stessa di un possibile radicale cambiamento, che passa necessariamente per un lungo processo rivoluzionario, è la dimostrazione di questa paura.
RispondiElimina---
La paura porta ad incoraggiare questi movimenti,ma chissà mai che un "Iskra"non scatti in un futuro che mi auguro il più prossimo possibile ?
caino
ma quale pena...un giorno in più di vacanza è puro godimento, quanto al fatto di credere che il sistema sia riformabile, sempre meglio che credere a qualche prossima rivoluzione. Il problema con le rivoluzioni è che all'inizio è impossibile sapere con certezza se è quella giusta e, in ogni caso, se anche fosse il momento giusto, sarebbero dolori soprattutto proprio per loro.
RispondiEliminasiamo nel pieno di una rivoluzione scientifica, tecnologica, economica, sociale, culturale, antropologica ...
Eliminaprobabilmente la più grande rivoluzione, e già oggi noi vediamo che nulla è più come prima
Per dirla con Lucarelli..:
RispondiEliminaPaura eh !
caino
Ma quale futuro? Noi siamo Universo con data di scadenza. (Ispirato dal Mortadella)
RispondiEliminail concetto di stato sembra essere radicato più in profondità di quello di (accumulazione di) capitale, cosa che complica non poco le cose per chi vede questi due come sottoinsiemi, solo parzialmente sovrapponibili, di una totalità
RispondiEliminase una certa parte della borghesia, compreso questo milione di anime belle sceso per le strade, può anche parlare enfaticamente di "cambio di paradigma" (non entro nello -scarso- merito della proposta ), quella stessa non riesce neanche lontanamente ad immaginare una società che si governa senza porre l' ente statuale al centro di essa
la cosa è, per ovvie e concrete ragioni, ancor più evidente fra i proletari
così se il Capitale porta in sè le contraddizioni che lo portano verso la deflagrazione, con lo stato la partita, annidata nel tempo e nella sua narrazione, appare più difficile e la sua estinzione, come indagato brillantemente da Engels, per nulla automatica
Ho partecipato, 77 anni, con questo cartello: il 2050 è domani! ci sarete ancora?
RispondiEliminason stufo ora...figurati nel 2050
EliminaÈ quando si mobilita la vecchia classe operaia che son dolori davvero.
RispondiElimina"se in questa guerra gli operai devono consumare le proprie riserve e attingere dal fondo per gli scioperi, alla General Motors viene stimata una perdita tra i 50 e i 100 milioni di dollari per ogni giorno di sospensione della produzione. Con perdite di produzione che se possono essere facilmente riassorbite da GM durante gli scioperi brevi, impattano enormemente sui suoi profitti con il perdurare del conflitto, nel momento in cui si sono esaurite le scorte, si sono perse le entrate dai concessionari e tutta la filiera dalla produzione alla distribuzione è coinvolta dalla lunga sospensione della produzione".
http://www.operaicontro.it/2019/09/30/general-motor-lo-scontro-si-fa-duro/?fbclid=IwAR0wh9latszp2sg2fYldgljT1Oy1_ie3Dbozy2XIyAe8jZmDO7stefs0z28