mercoledì 14 marzo 2018

Figli del loro tempo, non variabile impazzita


So che non so quel che non so [...] Non ho mai condito di menzogne un fatto vero per rendermene la digestione più facile [...] Mi sono guardato bene di fare della verità un idolo: ho preferito lasciarle il nome più umile di esattezza [...] Morirò un po' meno sciocco di come sono nato.

Marguerite Yourcenar, L’opera al nero.

 *

Di quel che accadde allora le nuove generazioni non sanno nulla, quelle più vecchie sono smemorate o credono di sapere tutto, anche troppo, perché l’hanno letto sui giornali o aspirato dalla televisione.

Tra il 1969 e il 1984, in Italia furono uccise 553 persone “per motivi politici”. Chi le uccise? Nomi e date alla mano si può avere un quadro reale di che cosa è effettivamente accaduto in quei tre lustri.

Nell’elenco dei 553 uccisi “per motivi politici” non sono pochi i nomi che mancano. Ad esempio, questi:

Giuseppe Pinelli, già partigiano, anarchico e ferroviere, accidentalmente defenestrato mentre era trattenuto illegalmente in questura, cioè dopo le 48 ore di fermo previste dalla legge.

Margherita Cagol, “Mara”, si laurea nel 1969 discutendo una tesi sulla Qualificazione della forza lavoro nelle fasi dello sviluppo capitalistico. Dopo la proclamazione del voto, 110 e lode, saluterà tutti con il pugno chiuso: nessuno – ricorderà Alberoni – prima di quel momento, aveva avuto questo ardire. Comunista e membro del Comitato esecutivo delle Brigate Rosse, fu uccisa nella cascina Spiotta mentre era a terra e disarmata. In una lettera alla famiglia aveva scritto: «Tutto ciò che è possibile fare per combattere questo sistema è dovere farlo, questo io credo sia il senso della nostra vita». Entrando in clandestinità, scrisse: «Cari genitori non pensate per favore che io sia incosciente. Grazie a voi sono cresciuta istruita, intelligente e soprattutto forte. E questa forza in questo momento me la sento tutta. […] Ma voi direte, sono questi i mezzi da usare? Credetemi, non ce ne sono altri.»

Fabrizio Pelli, cameriere, arrestato nel 1975 quale militante delle Brigate Rosse. Nel 1979, i padroni dello Stato democratico lo lasciano morire in carcere di leucemia, senza posta e senza la vicinanza dei suoi compagni. Aveva 27 anni.

Margherita e Fabrizio non erano figli di una variabile impazzita, erano figli del loro tempo, un tempo in cui si è affermata ed espressa un’intera generazione di soggetti che aspiravano a un cambiamento radicale di questa società, in un clima di tensione, di stragi di stato, di golpe pianificati dalla presidenza della repubblica e carabinieri, di golpe greci e cileni, di provocazioni e repressione poliziesca, di rivolte studentesche e di lotte operaie. Fino alla scelta della lotta armata, sulla cui strategia si può pensarla come si vuole (facile col senno di poi), però essa ha rappresentato per molti un bisogno di liberazione tanto forte e irrinunciabile da arrivare a mettere in gioco la propria esistenza.



La lezione cilena, l'11 settembre 1973, fu subito chiara a tutti coloro che ne volevano prendere coscienza, e cioè che il voto elettorale non paga. In ogni caso, al Pci non sarebbe mai stato consentito di andare al governo. Ancora una volta, per il proletariato si poneva la questione di sempre: la conquista del potere.

Si dovette attendere più di vent’anni, dopo la fine di uno dei due blocchi imperialistici, quello sovietico, perché al partito, non più comunista, ma genericamente di centro-sinistra, fosse permesso l'accesso diretto al governo, peraltro guidato da un ex democristiano. L'origine del fallimento della sinistra odierna ha origini lontane. 

Enrico Berlinguer, a riguardo del golpe in Cile, scrisse tre articoli per Rinascita, il primo pubblicato il 28 di quello stesso mese. Ne riporto un breve estratto:

«Anzitutto, gli eventi cileni estendono la consapevolezza, contro ogni illusione, che i caratteri dell’imperialismo, e di quello nord-americano in particolare, restano la sopraffazione e la jugulazione economica e politica, lo spirito di aggressione e di conquista, la tendenza a opprimere i popoli e a privarli della loro indipendenza, libertà e unità ogni qualvolta le circostanze concrete e i rapporti di forza lo consentano.

In secondo luogo, gli avvenimenti in Cile mettono in piena evidenza chi sono e dove stanno nei paesi del cosiddetto “mondo libero”, i nemici della democrazia. L’opinione pubblica di questi paesi, bombardata da anni e da decenni da una propaganda che addita nel movimento operaio, nei socialisti e nei comunisti i nemici della democrazia, ha oggi davanti a sé una nuova lampante prova che le classi dominanti borghesi e i partiti che le rappresentano o se ne lasciano asservire, sono pronti a distruggere ogni libertà e a calpestare ogni diritto civile e ogni principio umano quando sono colpiti o minacciati i propri privilegi e il proprio potere» (Imperialismo e coesistenza alla luce dei fatti cileni, in Rinascita, n. 38/1973).

3 commenti:

  1. Riforma e ControRiforma.
    Dalla strategia della tensione all'edonismo reganiano.

    RispondiElimina
  2. Da brivido le parole di Berlinguer. Senza tempo.
    "i partiti che le rappresentano o se ne lasciano asservire"... chissà cosa penserebbe a vedere la faccia di meXXda di Renzi

    RispondiElimina
  3. Grazie per questo post. Si parla sempre di memoria, di non dimenticare. Ma ci sono cose che il benpensantismo vuole siano dimenticate. Per fortuna almeno qui invece anche quelle cose sono ricordate.

    RispondiElimina