«… il
lavoro costa troppo, rispetto al valore aggiunto prodotto mediamente dalla
nostra economia.» Quante volte,
negli ultimi secoli, abbiamo ascoltato, variamente declinate, questo tipo di
geremiadi?
Esistono leggi che fissano un minimo al salario, ma non è mai esistita nessuna legge che determinasse
il massimo dei profitti. E perché non possiamo stabilire questo limite? La
cosa – come osservava quell’ipocondriaco di Treviri – si riduce alla questione
dei rapporti di forza delle parti in lotta.
Il prezzo della forza-lavoro segue le leggi del
mercato, ossia le leggi del modo di produzione capitalistico. Ad una offerta
che supera la domanda, il prezzo scende o anche crolla. Allora, ci si potrebbe
chiedere, lottare per condizioni di salario migliore non serve a nulla? Certo
che serve, ma i lavoratori, gli schiavi del capitale, non devono nascondersi
che tale lotta è volta contro gli effetti, ma non contro le cause di questi
effetti; che essa può soltanto frenare il movimento discendente, ma non mutarne
la direzione.
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Quanto al leggendario padroncino del ristorantino
carino di Rimini, il quale dichiara di essere disposto a pagare, tutto
compreso, sedici euro l’ora il proprio cameriere, purché questi si faccia usare
al bisogno, ossia per poche ore e per uno o due giorni la settimana, ci si
dovrebbe almeno chiedere che altro farà questo schiavo negli altri giorni per
sopravvivere. Una proposta: andassero a suonare il campanello alla porta del
dottor Mario Seminerio, egli una soluzione pragmatica, densa di realismo e in armonia con le magnifiche e progressive sorti di questo sistema, la
troverà senz’altro.
Cara Oympe,
RispondiEliminami permetto di segnalarti un errore : Non è Seminerio il Dottore, bensì Semiserio !
caino