Ho posto più volte in rilievo nei miei post, sia pure
in modo incidentale, come la parola “capitalismo” sia stata sostituita dalla
parola “mercato”. John Kenneth Galbraith – sicuramente non un marxista –
scriveva in L’economia della truffa
(pp. 59-60) che poiché «il termine “capitalismo” rammenta un passato a volte
sgradevole», «oggi si parla di “mercato”. Il termine “asettico”, adatto all’era
dei manager, serve a cancellare anche il ricordo dello “sfruttamento” dei
lavoratori, della loro “oppressione”, e persino di Marx ed Engels».
Galbraith prosegue affermando che «il riferimento al
mercato come alternativa benevola al capitalismo è un’operazione cosmetica,
fiacca e insipida, destinata a coprire una scomoda realtà, quella delle
corporation, ovvero di un predominio della produzione capace di manipolare la
domanda e, in sostanza, di controllarla». Poiché si tratta di «una realtà di
cui non si può parlare», anche «nell’insegnamento dell’economia», la
«situazione è praticamente ignorata». L’idea che viene trasmessa è, pertanto,
che «nessuno domina il mercato, né i singoli né le imprese», così come «nessuna
forma di supremazia economica è mai evocata». Appare, dunque, «l’impersonalità
del mercato». Una cosa che egli definisce «una frode non del tutto innocente».
Parlare di “mercato”, per Galbraith è «insulso,
fuorviante, insufficiente e irrilevante» perché viene fatto al solo scopo di
«proteggersi dal ricordo degli aspetti sgradevoli del potere capitalista».
Negare che siano le «singole imprese» e i «singoli capitalisti» a detenere il
potere; negare che «il mercato sia governato in modo ampio ed efficace è
qualcosa che non si trova nemmeno in gran parte delle dottrina economica. Donde
la truffa».
Questo è il merito e però anche il limite della
critica radicale borghese al sistema sociale vigente. Negli scritti di questi economisti non troverete mai,
per esempio, analisi che riguardino il duplice carattere del lavoro e della
merce, il plusvalore assoluto e relativo, la composizione organica del
capitale, il capitale fisso e il capitale circolante, la dinamica reale della caduta
del saggio del profitto, la trasformazione del plusvalore in profitto,
eccetera.
Ciò permette di “dimenticare” le reali contraddizioni che stanno alla base
del modo di produzione capitalistico e delle sue crisi, non più cicliche bensì
endemiche e strutturali, e di rivolgere la loro critica agli aspetti dei rapporti "sovrastrutturali", ossia proprio a quel “mercato” del quale si vogliono smascherare
le ambiguità e disarmonie.
Questo genere di critica, per quanto – ripeto –
radicale, concepisce in buona sostanza la produzione come un dato stabile ed
immutabile e le forme di distribuzione come storiche, perciò suscettibili di
“riforma”. In tal modo, questa critica si preclude però anche la possibilità di
studiare scientificamente le forme della distribuzione, poiché queste ultime
non sono altro che espressioni delle forme di produzione.
Fuori dall’analisi marxiana, la critica borghese del
capitalismo (e non già, significativamente, del modo di produzione capitalistico!) finisce per essere funzionale al
sistema stesso, certificandone, tanto più quando è “radicale”, una sostanziale libertà di critica che in realtà esiste solo in quanto – e di ciò s'avvede con ragione Galbraith – è manipolata.
Sin dall’inizio del neolitico l’accordo e la reciproca legittimazione tra potere temporale e spirituale, ha mascherato la manipolazione delle persone con la violenza e la paura della morte.
RispondiEliminaQuando la violenza ha dovuto cedere il posto alla pseudo-democrazia l’accordo è continuato, mascherando la manipolazione delle persone dietro le critiche al potere, fatte, a volte, in buonafede.
Critiche che,ancorchè violente,avendo prima provveduto a criminalizzare l’alternativa, non mettono in discussione il Sistema.
Del mercato va anche detto che il capitalismo è unità inscindibile, per quanto antagonistica, di produzione, distribuzione e realizzazione del valore. In questo contesto "mercato mondiale" vuole dire appropriazione mondiale (quindi anche del puro consumo) del nuovo valore mondialmente prodotto. La sua importanza e centralità è evidente. E' l'essenza stessa del sociale, del capitalismo, che si mostra nel "mercato". Galbraith fece alcune per me buone osservazioni su come lo sviluppo del oligopolio spostasse il potere e contropotere di imporre il prezzo tra i vari segmenti che compartecipano alla accumulazione.
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