Ieri sera andava in televisione un’altra puntata di
teatro beckettiano, stavolta sul tema: “lavorare gratis, lavorare tutti”. Dei
quattro ospiti della signora Gruber, quello astemio sembrava essere “l’economista in collegamento da Milano”. Invece il
sociologo presente in studio, probabilmente con un bottiglione di lambrusco
sotto il tavolo, proponeva la cessione di quattro ore di lavoro settimanali (a
parità di salario?) a chi non ha lavoro. In tal modo, sosteneva, si possono
creare milioni di posti di lavoro aggiuntivi. Ecco di che cosa si nutrono le
chiacchiere dei ciarlatani borghesi, invece di chiedersi: come è avvenuta la
riduzione della giornata lavorativa da 12 a 10 ore e poi alle attuali otto? E perché da quasi un secolo, nonostante
l’enorme aumento della produttività, la giornata lavorativa normale è
inchiodata sulle otto ore?
Tutta questa gente è abituata a vedere il capitalismo
con gli occhiali della propria classe di riferimento, e perciò si potrebbe chiedere
loro: sì, la tecnologia è una gran bella cosa, ma per quale motivo i padroni
tendono a sostituire lavoro vivo con lavoro morto, e dunque perché tendono a modificare
incessantemente la composizione tecnica del capitale per risparmiare lavoro?
Qual è la differenza, tanto per citare, tra composizione tecnica del capitale e
composizione di valore? Tra lavoro produttivo e improduttivo, tra plusvalore
assoluto e quello relativo (si tratta di categorie economiche reali, non immaginarie
e ideologiche), tra plusvalore e profitto (non sono la stessa cosa, asini), perché
la categoria del saggio del profitto svolge un ruolo fondamentale nell’economia
politica? Dopo aver risposto esattamente
a queste domande, allora si potrà passare alla questione dei rapporti di forza tra
le parti, cioè tra lavoro e capitale.
Il tema
di una prossima puntata potrebbe pertanto essere questo: “Perché gente inutile
come noi potrebbe cedere ad altri tutte le sue ore settimanali di chiacchiere (e
relativo compenso) senza che nessuno avesse nulla da ridire (tranne i diretti
interessati, ovviamente) e invece, nel caso degli operai, anche la riduzione di
un’ora sola di lavoro produce tante resistenze dal lato dei padroni e tante stronzate
da parte dei suoi lacchè”? Titolo un po’ lungo, ammetto, ma esaustivo.
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> abituata a vedere il capitalismo con gli occhiali della propria classe di riferimento
RispondiEliminaE' del tutto ovvio che ciascuna persona osservi la società dal punto di vista dei propri interessi. Eccezioni a parte (persone con tensioni morali extra-ordinarie oppure con problemi mentali) una persona sana e ragionevole fa i propri interessi.
La realtà dimostra che la più grande tensione del "proletariato" è quella di divenire borghesia e che lo sfruttamento occulto, travisato, da parte dei neosoviet, delle castalie progressiste, transnazionali, ultracapitaliste che ha sostituito, de-facto, quello "tradizionale" del clero, della borghesia "locali", nazionali, che Lenin, allegoricamente e realmente, scacciò, in alcune parti del mondo, a colpi di ramazza.
Purtroppo questo non coincide con una visione ideologica "ugualista" che riduce le persone a classi e a masse indistinte, ugualizzate, omogeneizzate, numerificate.
L'esperienza reale e storica delle distopie del marxismo e comunismo reali, sono state significative sul grado di alienazione raggiunto e raggiungibili.
Direi questo punto è paradigmatico sullo scollamento "religioso", settario dell'oppio marxista dalla realtà.
Semplicemente una teoria morale costruita su assiomi sbagliati come l'ugualismo che nega la diversità, la negazione dell'ecologia e dell'etologia o depreca interessi, la difesa del territorio, la competizione.
Mah.
lei è un imbecille (tecnicamente, non in senso marxista)
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