martedì 26 aprile 2016

La crisi ha la sua reale causa nel meccanismo stesso dell’accumulazione


Quello che segue non è un post troppo lungo, tuttavia, dato il carattere della nostra epoca, esso potrebbe risultare poco adatto proposto dopo due interi giorni di festa. Confido nella bontà e qualità dei lettori. L’ultima parte accenna di sfuggita a una nota questione ed è dedicata in particolare all’amichevole e chiaro lettore che legge fino in fondo nonostante non s’aspetti nulla di nuovo prim'ancora di avervi posto gli occhi.

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“Abbiamo attraversato una crisi globale che ha superato per dimensioni e qualità quella degli anni Trenta e non è ancora finita” (Domenicale di ieri).

Leggiamo di continuo frasi come queste cui seguono poi analisi politiche o economiche sulle cause della crisi che non escono mai dalla sfera dell’apologia del mercato. Al massimo c’è chi suggerisce politiche di stampo neokeynesiano, e altri propongono addirittura di gettare denaro dagli elicotteri. Come se le cause della crisi fossero riconducibili semplicemente a questioni di manovra monetaria, di spesa pubblica e di reddito disponibile.

Da questo sito leggo: “Nel 2015 Pechino ne ha prodotto 800 milioni di tonnellate: il quadruplo di quanto qualsiasi altro grande produttore abbia mai sfornato. Stante la flessione della domanda mondiale, metà dell’acciaio cinese giace invenduto: 400 milioni di tonnellate, più della produzione dell’intera Europa. Situazioni simili si registrano in una molteplicità di comparti: dal vetro al cemento, passando per la gomma, i pannelli solari e la vitamina C, di cui la sola Cina produce una quantità pari al 90% del fabbisogno globale”.




E ancora: “Negli ultimi mesi l’attenzione si è concentrata, giustamente, sui prezzi del petrolio in picchiata. Meno notizia ha fatto la china altrettanto ripida imboccata dal Baltic Dry Index, che misura il costo di trasporto via mare di materie prime quali carbone, metalli e fertilizzanti. A metà gennaio, quest’indice ha toccato quota 400 per la prima volta da quando è stato creato, nel 1985. L’estate scorsa era ben sopra 1.000 e nel 2010 misurava quattro volte tanto. In altri termini: spedire cemento o petrolio via mare costa oggi un decimo rispetto a poco più di cinque anni fa. Se questa caduta spettacolare fosse solo o principalmente frutto del progresso tecnologico (navi porta container più grandi ed efficienti, incremento della capacità portuale) che aumenta le economie di scala, se ne potrebbe gioire. Purtroppo, è invece il risultato di un’enorme sovraccapacità di carico rispetto alle esigenze di un commercio internazionale dai volumi nettamente inferiori al previsto”.

Quasi tutti gli “esperti”, ossia gli scriba dei padroni del mondo, ritengono che la contraddizione centrale dell’economia capitalistica sia tra produzione e consumo. Pertanto essi individuano la causa della crisi nella sovrapproduzione di merci determinata dalla loro impossibilità a realizzarsi in seguito al sottoconsumo, vale a dire alla povertà e alla limitatezza di consumo delle masse. Un tempo si era arrivati a teorizzare persino che gli schiavi consumano meno di quanto producono per loro mera propensione psicologica, quasi per far dispetto.

Nel modo di produzione capitalistico la contraddizione tra produzione e consumo assume effettivamente una rilevanza di primo piano, poiché la crisi di sovrapproduzione è anche “crisi di sottoconsumo”, benché quest’ultima ne rappresenti unicamente un lato, un aspetto, non la necessità (nelle facoltà di economia non si studia la dialettica ritenendola faccenda di “filosofi”, cioè di perditempo).

Le contraddizioni operanti nella sfera del consumo, infatti, sono indotte da quelle interne alla sfera della produzione. Di conseguenza la genesi della crisi va ricercata nella produzione di plusvalore, e non nella sua realizzazione. Procedere in senso inverso, collocando cioè la contraddizione principale nella circolazione, conduce inevitabilmente alle interpretazioni della crisi come crisi di sottoconsumo. Questa tesi alimenta l’illusione che sia possibile risolvere la crisi intervenendo sulla sfera del mercato, in definitiva agendo sul movimento del denaro.

La crisi per cause di sovrapproduzione (o di sproporzione tra le diverse sfere produttive), ha la sua reale causa, in ultima istanza, nel meccanismo stesso dell’accumulazione, vale a dire nella produzione del plusvalore per il plusvalore.
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Se il capitalismo si definisce per la propria incapacità di assicurare un crescita armonica della produzione sociale, il socialismo, da parte sua, dovrà, necessariamente, distinguersi per la propria capacità di autoregolazione: l’esistenza o meno di una economia pianificata diventa la linea di demarcazione fra due “opposti” modi di produzione, essendo la pianificazione l’unico strumento in grado di imporre, per scelta soggettiva (di classe) e quindi coercitivamente, uno sviluppo proporzionato ai diversi settori produttivi e conforme alle esigenze di consumo.

Sennonché si dimentica che la contraddizione valore / valore d’uso ha un carattere dirompente e che, pertanto, una economia basata sulla produzione di valori di scambio è del tutto impianificabile, ci si trova di fronte ­– e gli esempi storici in tal senso non mancano – al fenomeno apparentemente inspiegabile della crisi di sovrapproduzione in talune sfere produttive e a penurie e carestie devastanti in altre sfere.

E ciò dipende, ad ovo, da come si sono deformati e fraintesi – semmai al Kremlino e nel Celeste Impero si sono letti di prima mano – gli schemi di riproduzione marxiani del II Libro de Il Capitale, cioè in tutti i tentativi di utilizzarli come strumento di legittimazione di regimi ancora fondati sullo sfruttamento di una classe da parte di un’altra.



5 commenti:

  1. .." non la necessità (nelle facoltà di economia non si studia la dialettica ritenendola faccenda di “filosofi”, cioè di perditempo)"...

    Se è solo per questo temo che nemmeno nelle facoltà di Filosofia si studi più la "dialettica" ,anzi si pratichi.
    Semmai, solo brevi passaggi in storia della filosofia.
    Oggi sono tutti alla ricerca dello "Spirito", o del "nuovo Spirito".
    Beati loro.

    caino

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  2. "a proposito di "ovo". Una interessante scoperta stabilisce che per forza deve essere nato prima l'"ovo" della gallina "

    Detto ciò, e stabilito una volta per sempre ,chissà se i "filosofi" scendendo dall'empireo in cui si sono cacciati in questo ultimo secolo, ritornino tra di noi ,comuni mortali ?

    caino

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  3. Non so se sia cosa semplice la pianificazione per scelta collettiva consapevole,seppur di classe (riconoscendosi). A maggior ragione se sarà coatta. Già il sostantivo per molti evoca male, resta il fatto
    positivo che di questi la maggior parte al tempo non ci sarà più.
    Ranghi sfoltiti, largo ai giovani.
    La produzione del plusvalore per il plusvalore tradotto per noi persone comuni è far denaro con il denaro, non con il lavoro.
    La finanziarizzazione ,sempre tradotta, è stata in gran parte smettere di produrre,vendere le attività e buttarsi più di quanto già facessero in piazza affari. Del venduto, se corposo, spezzatino a volontà e tute blu in libera uscita.
    Per le banche: grazie Andreatta!.

    La tentazione è grande per tutti, negli anni '80, complici i manutengoli agli sportelli, anche i pensionati, oltre alle tute blu, si giocavano gran parte della pensione al monopoli borsistico. Per molti i risultati non furono brillanti: il famoso 'parco buoi'.

    Il grattaevinci metafisico è un'opzione come un'altra, scopriremo
    prima o poi.
    Del resto ognuno di noi annaffia serafico le proprie illusioni, a cominciare da coloro che affermano solennemente di non averne affatto.

    gg

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  4. hai fatto bene a NON citare l'anarchia produttiva capitalista, visto i binari su cui fu condotto il dibattito e su cui ancora oggi i sovranisti (statalisti) di ogni schieramento cercano legittimazione

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  5. ...gli “esperti”, ossia gli scriba...
    icastica definizione del reale mestiere dell' "intellettuale"

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