Gente
superficiale crede che la storia degli ultimi decenni voglia
smentire ciò che era stato detto e fatto prima e per tanto tempo. Tutto ciò ha
impedito di vedere le cose per quel che erano e sono, facendo del presente il
punto d’arrivo della storia. Salvo poi, in un attimo di resipiscenza, farsi
venire il dubbio, subito scartato, che “la democrazia funzioni veramente
soltanto negli anni della crescita e della redistribuzione, mentre quando
cambiano i tempi si fa da parte, cede il governo del sistema e contempla
l'azione della crisi”.
L’azione
della crisi! Bella espressione usa il formalismo liberale per mascherare la
realtà. Non hanno il coraggio di declinarla nei suoi effetti questa cazzo d’azione,
nei reali soggetti sociali ai quali viene fatta pagare, come se la lotta di
classe in atto fosse qualcosa di astratto e non l’espressione della dittatura
economica della borghesia. Poi, nel timore che il dubbio possa essere letto
come un appello, dopo aver lanciato il sasso, si riprende in mano la stilografica
per rianimare con il solito inchiostro le illusioni del riformismo.
*
Quando
in metà di un Paese il reddito è la metà dell’altra metà, si dovrebbe evitare
di sostituire l’insinuazione alla conoscenza dei fatti, ossia scrivere: “I
centri sociali, non sappiamo quanto infiltrati dalla camorra, si sono messi al
servizio di un gioco politico distruttivo” (Stefano Folli su Repubblica di ieri). Se non sai, taci.
Se sospetti, vai a verificare, a renderti conto di persona, insomma muovi il
culo ed entra nei famigerati centri sociali, zone franche, secondo lo
stereotipo diffuso ad arte, di ogni nequizia sovversiva e terroristica.
Quanto
alla criminalità che taglieggia e spara, le responsabilità politiche vanno
cercate in covi ben individuabili, come del resto ce ne offrono scampolo, da
ultimo, le intercettazioni ministeriali che rivelano “un gioco politico” ben
più “distruttivo” di quello dei centri sociali. Dire, tanto per fare un
parallelismo storico, che i sanculotti alla Bastiglia erano al soldo di certe
cricche aristocratiche che facevano la fronda alla corona, può anche trovare
qualche riscontro, e tuttavia le torme di disperati che entrarono a Parigi in
quel tempo erano spinte da una fame senza speranza più che dalla pigrizia e dal
calcolo politico di qualche “fogliante”. Poi possiamo anche ricamarci sul fatto
che la plebe è plebe e che le rivoluzioni non sono pranzi di gala, così come le
proteste di piazza, signora mia, mancano assolutamente di bon ton.
Quando
la crisi raggiungerà un livello superiore, quando infine sarà, qui come in Grecia e altrove, guerra a
questa marcia società, allora si distingueranno facilmente le ragioni della
verità da quelle della messinscena, e però anche in tal caso gli scribacchini
di Repubblica giudicheranno
incredibile quanto starà accadendo sotto i loro occhi.
In
un paese così prevedibile non è difficile vaticinare ciò che nelle premesse è già realtà.
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