Nel divenire del modo di
produzione capitalistico lo Stato ha, in stadi di sviluppo diversi, assunto
forme diverse. Bonapartismo, fascismo, nazismo, democrazia, eccetera,
riguardano la metamorfosi della forma-Stato e vanno lette in relazione al
movimento contradditorio del capitale e alle fasi di sviluppo e di crisi che
esso ha attraversato. Qualcuno, molto tempo fa, ebbe ad osservare che la democrazia è il migliore involucro per
il capitalismo, cioè l'involucro più funzionale alla sua dittatura. E anche un
uomo pacato e pragmatico come Ezio Mauro, di recente, si chiedeva se la
democrazia non valesse solo per le fasi alte del ciclo economico.
Per rifarci al tema nei termini correnti della pubblicistica borghese, c’è da osservare che nemmeno i sistemi più democratici
garantiscono alcuni dei più fondamentali diritti sociali, come per esempio il
diritto al lavoro e ad avere un tetto, anche se talune Costituzioni
stabiliscono un nesso tra libertà e giustizia sociale. Ciò che conta sono i reali rapporti sociali che tali Costituzioni
vanno a formalizzare. E già il solo formale richiamo a tale nesso, come
sappiamo, dà fastidio a molti laddove è dichiarata la prevalenza dell’utilità
sociale rispetto al diritto di proprietà (vedi articoli 41 e 42 della Cost.).
La Costituzione borghese sancisce
il diritto al lavoro, tacendo però le condizioni che sole danno a tale diritto
un senso (*). In effetti essa non sancisce altro che l'operaio salariato ha il
permesso di lavorare per la sua propria vita, cioè di vivere, solo in quanto
lavora, per un certo tempo, gratuitamente, per il capitalista e quindi anche
per quelli che insieme col capitalista consumano il plusvalore.
Tutto il sistema di produzione
capitalistico si aggira attorno al problema di prolungare questo lavoro
gratuito sviluppando la produttività e dunque prolungando in assoluto la
giornata di lavoro. Pertanto ciò che viene taciuto è proprio il fatto essenziale
che il sistema del lavoro salariato è un sistema di schiavitù, e di una
schiavitù che diventa sempre più dura nella misura in cui si sviluppano le
forze produttive sociali del lavoro, tanto se l'operaio è pagato meglio, quanto se è pagato peggio.
*
L’automovimento di una formazione
sociale è, in ultima istanza, determinato dallo sviluppo delle forze produttive
nel loro rapporto dialettico di unità e di lotta con i rapporti di produzione e
di scambio. La storia recente ha insegnato molte cose al riguardo, proprio le
esperienze sovietica e cinese hanno fatto giustizia dei facili ottimismi sulla possibilità
di una rapida modificazione dei rapporti sociali di produzione.
Se bastasse statalizzare per
decreto i mezzi di produzione, ossia l’economia, il socialismo e il comunismo
sarebbero fin troppo facili da realizzare. Dei limiti oggettivi impedirono che
quelle società uscissero dal paradigma dell’accumulazione originaria e poi da
una peculiare forma di capitalismo di Stato dove permaneva e vigeva la legge
del valore.
È come se venuti finalmente a
capo del mistero della schiavitù, gli schiavi invece di eliminare i rapporti
sociali che li rendono schiavi si limitassero a sostituire la classe degli
schiavisti con dei propri rappresentati che tali rapporti sociali non possono
eliminare mutando semplicemente i rapporti di proprietà di cui sono
espressione. In fin dei conti le rivendicazioni dei proletari russi e dei
contadini cinesi erano già state realizzate in gran parte e meglio nei paesi
capitalisti più avanzati.
Laddove sopravvive la
forma-valore, regnano i rapporti di produzione effettivi, reali, che ne
giustificano l’esistenza, ossia rapporti che sono ancora di tipo capitalistico.
È ciò che è successo precisamente nei paesi così detti comunisti: non fondamentalmente
per incapacità e cattiveria delle burocrazie di partito, ma perché erano ancora
assenti le condizioni storiche oggettive indispensabili perché la produzione
basata sul valore di scambio crolli e il processo di produzione materiale
immediato venga a perdere anche la forma della miseria e dell’antagonismo.
(*) Richiedere, sulla base del
sistema salariale, una paga uguale o anche soltanto equa, è lo stesso che
richiedere la libertà sulla base del sistema schiavistico.
Non sono un costituzionalista, ma - ad occhio - non credo esista alcuna costituzione (neanche nella più bella del mondo) che si ponga questi problemi fattuali su come si "costituisce" il valore che fonda e muove lo Stato. Il generico "fondata sul lavoro" assolutizza una categoria dell'agire umano, il lavoro, il cui sfruttamento produce, appunto, un plusvalore che è appannaggio di una precisa classe sociale, quella che non lavora...
RispondiEliminaho corretto tre errori di battuta, del resto non posso rimproverare la dattilografa d'eccezione che oggi s'è presa la briga di sostituirmi.
Eliminai costituzionalisti non si pongono questioni concrete riguardo allo sfruttamento del lavoro. a loro interessa la forma disgiunta dalla sostanza dei rapporti. ai cinesi interessa la sostanza disgiunta dalla forma. è una vecchia questione ...