mercoledì 20 aprile 2016

L'abnorme prolungamento della giornata lavorativa complessiva


Non servono algoritmi semplici o complessi, né tabelle statistiche per aver chiara la tendenza in tema di lavoro e di occupazione. Le macchine sostituiscono il lavoro umano e i nuovi processi tecnici rendono obsolete attività e mansioni in un quadro di sovrapproduzione/stagnazione. Perché ciò succede, ossia donde deriva l’amore smisurato e incontenibile che il padronato dimostra – e i servi esaltano sui media – verso l’innovazione tecnologica?

Scopo del macchinario è quello di accorciare il tempo di lavoro necessario per la produzione di una merce, dunque di ridurre il valore della merce, ergo il suo prezzo. Il che – come ogni pezzo di merda sa ma tace – vuol dire: ridurre la parte retribuita del tempo di lavoro e aumentare quella non retribuita, estorta e appropriata gratuitamente dal capitalista. In definitiva ­– se la cosa non disturba troppo le meningi dei venali apologeti borghesi – ciò comporta un prolungamento del tempo di lavoro assoluto, un prolungamento della giornata lavorativa complessiva!

Pertanto, come ho già scritto, l’aumento della forza produttiva del lavoro e la riduzione del lavoro necessario ad un minimo è la tendenza necessaria del capitale. Ma si tratta di una tendenza esplosiva.

Pertanto non facciamo i finti tonti come il signor Marchionne che da un lato impone di aumentare lo sfruttamento del lavoro e dall’altro si duole per le dinamiche della composizione tecnica del capitale (*).

Ridurre, come fa Marchionne e in coro tutti gli economisti, la composizione organica a semplice “composizione in valore”, preclude qualsiasi possibilità sia di cogliere la contraddizione fra lo sviluppo storico-naturale delle forze produttive e la forma che esse assumono nel modo di produzione capitalistico, sia il reale motivo per il quale l’aumento della composizione organica, provocando la caduta tendenziale del saggio di profitto, possa e debba risolversi nella crisi dell’accumulazione capitalistica.

Ciò premesso, passiamo a questioni più prosaiche e che evitano possibili mal di testa a metà settimana.

*



Si va ciarlando di una specie di mutuo per consentire ai lavoratori più anziani di accedere alla pensione qualche anno prima di quanto stabilito dalla legge Monti-Fornero. È una proposta demenziale, perciò c’è il rischio concreto che diventi legge. Non c’è un solo provvedimento legislativo di questo governo che non sia in linea con improvvisazione e furbizia.

Nessun provvedimento, nessuna mini o macro riforma delle pensioni potrà incidere significativamente e per un periodo abbastanza lungo sulle dinamica capitalistica succitata, e dunque sulla  tendenza in atto per quanto riguarda l’aumento della disoccupazione e la precarietà dei posti di lavoro. Né, detto en passant, il problema attiene alla demografia: la domanda di braccia regola necessariamente la produzione d’individui, come di ogni altra merce.

La soluzione, l’unica possibile, dunque l’unica reale, è la drastica riduzione della giornata lavorativa normale. Non si tratta, come qualcuno potrebbe ritenere, di una proposta di tono “rivoluzionario”, ma di ordinaria politica riformistica. Conformemente agli oggettivi interessi del capitale e alla coscienza di ogni buon borghese, si tratta però di un’ipotesi fuori discussione. Alla fine sarà la necessità oggettiva ad imporsi e non sarà un passo indolore.


(*) Marx a tale riguardo osserva: “Da nessuna parte Ricardo tratta il plusvalore separandolo e distinguendolo dalle sue forme particolari – profitto (interesse) e rendita.  Perciò le sue considerazioni sulla composizione organica del capitale, che è di così decisiva importanza, sono limitate alle differenze tramandate da A. Smith, quali risultano dal processo di circolazione (capitale fisso e capitale circolante), mentre da nessuna parte egli tocca o conosce le differenze della composizione organica entro il processo di produzione vero e proprio. Donde la sua confusione tra valore e prezzo di costo, l’errata teoria della rendita, le errate leggi sull’aumento e la caduta del saggio del profitto, ecc.” (Teorie sul plusvalore, Meoc, XXXV, p. 406; St. delle teorie economiche, Einaudi, 1955, II, p. 93.).

2 commenti:

  1. Alla fine sarà la necessità oggettiva ad imporsi e non sarà un passo indolore.

    Si e' sicuro che "le sorti" non saranno affatto "magnifiche" e non e' per nulla sicuro che siano almeno "progressive" :-(

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  2. La discussione eziologica sulla patologia economica chiarisce i termini. Resta il fatto che a sopportare la necessità oggettiva dell'eventuale epilogo doloroso saranno più o meno gli stessi di sempre: gli apologeti borghesi troveranno il modo di accomodarsi, e non è detto che la sorte dei filistei segua quella di Sansone.
    Viviamo adesso, il grattaevinci metafisico è optional: "l'avevamo detto" non è una gran soddisfazione.

    Andalù

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