Non
servono algoritmi semplici o complessi, né tabelle statistiche per aver chiara
la tendenza in tema di lavoro e di occupazione. Le macchine sostituiscono il
lavoro umano e i nuovi processi tecnici rendono obsolete attività e mansioni in
un quadro di sovrapproduzione/stagnazione. Perché ciò succede, ossia donde deriva l’amore
smisurato e incontenibile che il padronato dimostra – e i servi esaltano sui media – verso l’innovazione tecnologica?
Scopo
del macchinario è quello di accorciare il tempo di lavoro necessario per la
produzione di una merce, dunque di ridurre il valore della merce, ergo il suo
prezzo. Il che – come ogni pezzo di merda sa ma tace – vuol dire: ridurre
la parte retribuita del tempo di lavoro e aumentare quella non retribuita,
estorta e appropriata gratuitamente dal capitalista. In definitiva – se la
cosa non disturba troppo le meningi dei venali apologeti borghesi – ciò comporta un prolungamento del tempo di lavoro assoluto, un prolungamento della giornata lavorativa
complessiva!
Pertanto,
come ho già scritto, l’aumento della forza produttiva del lavoro e la riduzione
del lavoro necessario ad un minimo è la tendenza
necessaria del capitale. Ma si tratta di una tendenza esplosiva.
Pertanto
non facciamo i finti tonti come il signor Marchionne che da un lato impone di
aumentare lo sfruttamento del lavoro e dall’altro si duole per le dinamiche
della composizione tecnica del capitale (*).
Ridurre,
come fa Marchionne e in coro tutti
gli economisti, la composizione organica a semplice “composizione in valore”,
preclude qualsiasi possibilità sia di cogliere la contraddizione fra lo
sviluppo storico-naturale delle forze produttive e la forma che esse assumono
nel modo di produzione capitalistico, sia il reale motivo per il quale
l’aumento della composizione organica, provocando la caduta tendenziale del
saggio di profitto, possa e debba risolversi nella crisi dell’accumulazione
capitalistica.
Ciò
premesso, passiamo a questioni più prosaiche e che evitano possibili mal di
testa a metà settimana.
*
Si va ciarlando di una specie di mutuo per consentire ai lavoratori più anziani di accedere alla pensione qualche anno prima di quanto stabilito dalla legge Monti-Fornero. È una proposta demenziale, perciò c’è il rischio concreto che diventi legge. Non c’è un solo provvedimento legislativo di questo governo che non sia in linea con improvvisazione e furbizia.
Nessun
provvedimento, nessuna mini o macro riforma delle pensioni potrà incidere
significativamente e per un periodo abbastanza lungo sulle dinamica
capitalistica succitata, e dunque sulla tendenza in atto per quanto riguarda l’aumento della
disoccupazione e la precarietà dei posti di lavoro. Né, detto en passant, il problema attiene alla
demografia: la domanda di braccia regola
necessariamente la produzione d’individui, come di ogni altra merce.
La
soluzione, l’unica possibile, dunque
l’unica reale, è la drastica riduzione
della giornata lavorativa normale. Non si tratta, come qualcuno potrebbe
ritenere, di una proposta di tono “rivoluzionario”, ma di ordinaria politica
riformistica. Conformemente agli oggettivi interessi del capitale e alla
coscienza di ogni buon borghese, si tratta però di un’ipotesi fuori
discussione. Alla fine sarà la necessità oggettiva ad imporsi e non sarà un
passo indolore.
(*)
Marx a tale riguardo osserva: “Da nessuna
parte Ricardo tratta il plusvalore separandolo e distinguendolo dalle sue forme
particolari – profitto (interesse) e rendita. Perciò le sue considerazioni sulla composizione organica del
capitale, che è di così decisiva
importanza, sono limitate alle differenze tramandate da A. Smith, quali
risultano dal processo di circolazione (capitale fisso e capitale circolante),
mentre da nessuna parte egli tocca o conosce le differenze della composizione
organica entro il processo di produzione
vero e proprio. Donde la sua confusione tra valore e prezzo di costo,
l’errata teoria della rendita, le errate leggi sull’aumento e la caduta del
saggio del profitto, ecc.” (Teorie
sul plusvalore, Meoc, XXXV, p. 406; St.
delle teorie economiche, Einaudi, 1955, II, p. 93.).
Alla fine sarà la necessità oggettiva ad imporsi e non sarà un passo indolore.
RispondiEliminaSi e' sicuro che "le sorti" non saranno affatto "magnifiche" e non e' per nulla sicuro che siano almeno "progressive" :-(
La discussione eziologica sulla patologia economica chiarisce i termini. Resta il fatto che a sopportare la necessità oggettiva dell'eventuale epilogo doloroso saranno più o meno gli stessi di sempre: gli apologeti borghesi troveranno il modo di accomodarsi, e non è detto che la sorte dei filistei segua quella di Sansone.
RispondiEliminaViviamo adesso, il grattaevinci metafisico è optional: "l'avevamo detto" non è una gran soddisfazione.
Andalù