giovedì 14 aprile 2016

Quando in un Paese ...


Quando in un Paese la vita di milioni di persone, individui e famiglie, dipende direttamente dagli emolumenti (pensioni, stipendi, sussidi) che ricevono dallo Stato, è facile mantenere queste persone docili e obbedienti usando alternativamente la promessa e la minaccia. Il fatto poi che queste persone, magari brontolanti e sentenziose, votino per questa o quella lista elettorale, è del tutto ininfluente e anzi fluidifica il sistema e mantiene l'illusione sulle sempre più labili apparenze democratiche.

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Tutte le modifiche (più annunciate che attuate) sulle pensioni a riguardo della cosiddetta flessibilità in uscita, non sono altro che dei palliativi per quanto riguarda la creazione di nuovi posti di lavoro.  La disoccupazione giovanile è già un fenomeno cronico che si farà sempre più marcato, e il cosiddetto precariato è stato pianificato per legge. Il tasso della disoccupazione generale, salvo lievi e momentanee oscillazioni positive che faranno gridare al miracolo, tenderà nei prossimi anni ad aumentare considerevolmente. Nei prossimi dieci anni una percentuale non trascurabile delle figure lavorative attuali scomparirà e il tasso di sostituzione con quelle nuove sarà ben poca cosa.



Nei prossimi lustri permarrà la stagnazione economica e il debito pubblico proseguirà ad aumentare. Lo Stato non potrà farsi carico della disoccupazione cronica di massa (che troverà sempre meno ausilio nel reddito familiare), anche perché il gettito fiscale in molti casi è solo una partita di giro e la sua pressione ha limiti di sostenibilità se non di decenza. Perciò non è azzardato prevedere che vi saranno problemi di solvibilità per quanto riguarda la spesa statale e dunque per le più varie prestazioni ed erogazioni in essere, nonostante i tagli e quant’altro si riuscirà ad escogitare.

Tutto ciò è ben chiaro nelle tendenze, a saperle leggere e giudicare, ma sappiamo che il nostro rapporto principale col mondo passa attraverso i media. Non tutti i giornalisti sono dei servi, vi sono anche gli spiritosi, e del resto quella giornalistica è una categoria che ha già perso gran parte del suo ruolo e si sta progressivamente esaurendo, sostituita dalle macchine, dai pubblici ministeri, dai comici, dagli chef e altri creativi.

Camusso e Landini nei loro strali comiziali invece di chiedere semplicemente nuove misure per favorire la flessibilità in uscita dovrebbero porsi anzitutto il problema della riduzione della giornata lavorativa normale: 20 – 24 ore di lavoro settimanale, data la produttività del lavoro attuale, sono più che sufficienti per mandare avanti la baracca. Lavorare meno per dare occupazione e reddito a una platea più larga, non è la soluzione della divaricante contraddizione tra produzione di valori d’uso ed esigenze di valorizzazione del capitale, e tuttavia sarebbe una misura non solo buona per assorbire disoccupati ma necessaria alla stabilità del sistema.

Sennonché ciò si scontra con le note “compatibilità” del sistema stesso: con il plusvalore calante in rapporto agli investimenti, figuriamoci se il padronato è disposto anche solo ad affrontare questo argomento, né del resto è possibile affrontarlo solo sul piano locale, cioè nazionale. E questa è la misura del fallimento effettivo e reale del riformismo, che porta con sé – perfino uno come Ezio Mauro s’interroga sul tema – la crisi inesorabile della democrazia. Da cui poi deriva la conseguenza che quando non si può essere amati è necessario di essere temuti, ecc..


Quanto al sindacato, esso non ha perso ruolo solo per le sue note contraddizioni (chiamiamole così), ma proprio perché la sua sorte segue inesorabilmente quella della crisi generale-storica del capitalismo e delle politiche riformistiche di cui esso è portabandiera.

8 commenti:

  1. Se non hanno funzionato le 35 ore in Francia figurati le 20 in Italia...

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    1. O Anonimo, non per fare il maestrino, ma nel post mi sembra di aver letto che il tema della riduzione della giornata lavorativa non «è possibile affrontarlo solo sul piano locale, cioè nazionale», con ciò significando che l'orario di lavoro dovrebbe essere ridotto se non mondialmente, almeno a livello continentale. I sindacati di tutta Europa sarebbero in grado di proporre in modo forte e unitario tale piattaforma programmatica? Ne dubito assai.

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  2. Magistrale come sempre. La dinamica della "crisi" e' lampante e la soluzione oscura anche a chi cerca di vendercela. Vivremo "tempi interessanti" :-(

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  3. condivido in pieno l'analisi....e quanto al tema "fine della democrazia"- ma ha mai goduto di buona salute?- aggiungo che molti paesi della Ue sono governati da grandi coalizioni e che i socialisti sono i più fedeli interpreti degli spartiti decisi dalla troika: ce lo racconta anche la vicenda del job act francese che però si scontra contro un qualcosa che potrebbe assomigliare ad un movimento.....

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    1. la francia tradizionalmente ha sempre suonato la campana per prima. vedremo.

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