Quando
in un Paese la vita di milioni di persone, individui e famiglie, dipende
direttamente dagli emolumenti (pensioni, stipendi, sussidi) che ricevono dallo Stato, è
facile mantenere queste persone docili e obbedienti usando alternativamente la promessa e la minaccia. Il fatto poi che queste persone, magari brontolanti e sentenziose, votino per questa o quella lista elettorale, è del tutto ininfluente e anzi fluidifica il sistema e mantiene l'illusione sulle sempre più labili apparenze democratiche.
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Tutte
le modifiche (più annunciate che attuate) sulle pensioni a riguardo della
cosiddetta flessibilità in uscita, non sono altro che dei palliativi per quanto
riguarda la creazione di nuovi posti di lavoro. La disoccupazione giovanile è già un fenomeno cronico che si
farà sempre più marcato, e il cosiddetto precariato è stato pianificato per
legge. Il tasso della disoccupazione generale, salvo lievi e momentanee
oscillazioni positive che faranno gridare al miracolo, tenderà nei prossimi
anni ad aumentare considerevolmente. Nei prossimi dieci anni una percentuale
non trascurabile delle figure lavorative attuali scomparirà e il tasso di
sostituzione con quelle nuove sarà ben poca cosa.
Nei
prossimi lustri permarrà la stagnazione economica e il debito pubblico proseguirà
ad aumentare. Lo Stato non potrà farsi carico della disoccupazione cronica di
massa (che troverà sempre meno ausilio nel reddito familiare), anche perché il
gettito fiscale in molti casi è solo una partita di giro e la sua pressione ha
limiti di sostenibilità se non di decenza. Perciò non è azzardato prevedere che
vi saranno problemi di solvibilità per quanto riguarda la spesa statale e
dunque per le più varie prestazioni ed erogazioni in essere, nonostante i tagli
e quant’altro si riuscirà ad escogitare.
Tutto
ciò è ben chiaro nelle tendenze, a saperle leggere e giudicare, ma sappiamo che
il nostro rapporto principale col mondo passa attraverso i media. Non tutti i
giornalisti sono dei servi, vi sono anche gli spiritosi, e del resto quella
giornalistica è una categoria che ha già perso gran parte del suo ruolo e si
sta progressivamente esaurendo, sostituita dalle macchine, dai pubblici
ministeri, dai comici, dagli chef e altri creativi.
Camusso
e Landini nei loro strali comiziali invece di chiedere semplicemente nuove
misure per favorire la flessibilità in uscita dovrebbero porsi anzitutto il problema della riduzione della
giornata lavorativa normale: 20 – 24 ore di lavoro settimanale, data la
produttività del lavoro attuale, sono più che sufficienti per mandare avanti la
baracca. Lavorare meno per dare occupazione e reddito a una platea più larga, non è
la soluzione della divaricante contraddizione tra produzione di valori d’uso ed
esigenze di valorizzazione del capitale, e tuttavia sarebbe una misura non solo
buona per assorbire disoccupati ma necessaria alla stabilità del sistema.
Sennonché
ciò si scontra con le note “compatibilità” del sistema stesso: con il plusvalore
calante in rapporto agli investimenti, figuriamoci se il padronato è disposto
anche solo ad affrontare questo argomento, né del resto è possibile affrontarlo
solo sul piano locale, cioè nazionale. E questa è la misura del fallimento
effettivo e reale del riformismo, che porta con sé – perfino uno come Ezio
Mauro s’interroga sul tema – la crisi inesorabile della democrazia. Da cui poi
deriva la conseguenza che quando non si può essere amati è necessario di essere
temuti, ecc..
Quanto
al sindacato, esso non ha perso ruolo solo per le sue note contraddizioni
(chiamiamole così), ma proprio perché la sua sorte segue inesorabilmente quella
della crisi generale-storica del capitalismo e delle politiche riformistiche di
cui esso è portabandiera.
grazie buonagiornata
RispondiEliminagrazie, altrettanto
EliminaSe non hanno funzionato le 35 ore in Francia figurati le 20 in Italia...
RispondiEliminaO Anonimo, non per fare il maestrino, ma nel post mi sembra di aver letto che il tema della riduzione della giornata lavorativa non «è possibile affrontarlo solo sul piano locale, cioè nazionale», con ciò significando che l'orario di lavoro dovrebbe essere ridotto se non mondialmente, almeno a livello continentale. I sindacati di tutta Europa sarebbero in grado di proporre in modo forte e unitario tale piattaforma programmatica? Ne dubito assai.
EliminaMagistrale come sempre. La dinamica della "crisi" e' lampante e la soluzione oscura anche a chi cerca di vendercela. Vivremo "tempi interessanti" :-(
RispondiEliminasintesi perfetta
Eliminacondivido in pieno l'analisi....e quanto al tema "fine della democrazia"- ma ha mai goduto di buona salute?- aggiungo che molti paesi della Ue sono governati da grandi coalizioni e che i socialisti sono i più fedeli interpreti degli spartiti decisi dalla troika: ce lo racconta anche la vicenda del job act francese che però si scontra contro un qualcosa che potrebbe assomigliare ad un movimento.....
RispondiEliminala francia tradizionalmente ha sempre suonato la campana per prima. vedremo.
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