In un tripudio di slide il governo comunica che l’Italia
riparte alla grande: più 16%. Il ricatto lavorativo funziona: li chiamano “incidenti
sul lavoro”, di quel lavoro salariato su cui si fonda la nostra società e senza
il quale, tanto per dire, agli azionisti di Banca d’Italia non andrebbe un
dividendo di 340 milioni per il 2015. In fin dei conti 1.172
lavoratori morti non fanno notizia. Ogni lavoratore deve conoscere questa
prospettiva, guardarsi in faccia e scegliere. Se il gioco non gli interessa,
può sempre morire di fame.
venerdì 29 aprile 2016
giovedì 28 aprile 2016
Un selfie
Viviamo
un momento storico davvero peculiare, in cui l’attività umana è riuscita a
produrre nelle nostre società progressi e mutamenti che non è avventato
definire rivoluzionari. Tuttavia da molte fonti sentiamo arrivare echi di grave
allarme per le sorti dell’ecosistema planetario, di seria incertezza per il perdurare
della crisi e le forme sempre più ampie e acute di disuguaglianza, quindi di
preoccupazione per l’involuzione dei sistemi politici, di dissociazione tra
democrazia e capitalismo (maggiore democrazia genera minore governabilità, insegna
la Trilaterale). Deve dunque trovarsi una causa fondamentale di questa
situazione, tra le tante che possono concorrervi (*).
Questa
causa, se non si vuole ricorrere semplicisticamente a motivi d’ordine psicologico
o meramente sociologico, è da rintracciare nello strapotere che ha assunto l’economia
nelle nostre società, l’assenza di vincoli reali cui è lasciata la sua azione, la
dimensione oligarchica che hanno assunto industria, banche, finanza; la totale
subordinazione al capitale cui è stato lasciato il lavoro in nome delle “compatibilità”
di sistema (salari da fame e orari da pazzi, fidelizzazione dei lavoratori
all’impresa entro un sistema mediato da ricatti), la sostituzione dei diritti
con politiche di sussidiarietà e una cultura della carità (un’imprenditorialità
“no profit” assai lucrosa). A questo terremoto sociale si risponde in buona
sostanza con la propaganda più smaccata (**).
mercoledì 27 aprile 2016
La fonte di tutte le sofferenze
Il
lavoro salariato è uno scambio dove il potere sta da una sola parte, quella del
capitalista, un potere violento statuito e regolato per legge che sfrutta la
condizione di bisogno del lavoratore. Il lavoratore è solo oggetto dello
scambio, come qualsiasi altra merce, dunque un oggetto di uno scambio ineguale,
prigioniero di una situazione cui non può sfuggire se non perdendo tutto, a
cominciare dalla propria identità. Quando si parla o si scrive di una persona,
subito è specificato il mestiere o la professione, cioè il posto che essa
occupa nella divisione sociale del lavoro, la sua posizione di classe.
Tale situazione, dopo lotte decennali, era stata a suo tempo in parte mitigata con l'introduzione di alcuni diritti e tutele più favorevoli ai lavoratori. Dagli anni Ottanta è cominciato a spirare un vento contrario, il neoliberismo ha conquistato il "cuore" di molti, e il "mercato" è sembrato essere la panacea di tutti i mali, nulla ormai poteva frapporsi al nuovo ordine capitalistico mondiale. Finiva un'epoca e ne iniziava un'altra, in cui abbiamo cominciato a goderne i frutti, e altri più succosi verranno.
Ciò
che era cominciato con il pacchetto Treu è poi continuato in modo molto più violento
nelle politiche sociali italiane con la famigerata legge 30, ispirata da Marco Biagi,
già consigliere di Prodi, Treu, Bassolino, ecc.. Il lavoro assume il carattere di
massima precarietà e il caporalato diventa legale con il cosiddetto voucher, laddove il padrone è sollevato
perfino dal dover stipulare alcun tipo di contratto, e dove il lavoratore è
privato del diritto alle prestazioni a sostegno del reddito (disoccupazione,
maternità, malattia, assegni familiari ecc.).
Come
si vede le “riforme del lavoro”, fino alla modificazione dell’articolo 18 e al
Jobs act, che introduce maggiore flessibilità (per es.: la possibilità di
arrivare mezz’ora più tardi per portare all’asilo il figlio, ma in cambio mi
dai disponibilità a lavorare nei festivi) e regala miliardi di euro statali ai
padroni, sono riforme a marchio di “sinistra”. In tale situazione il lavoro
perde le sue peculiarità etico-mitologiche per assumere palesemente quelle
della violenza e della prevaricazione con implicazioni psicofisiche molto gravi per i lavoratori. A
ben considerare è la fonte di tutte le sofferenze.
martedì 26 aprile 2016
La crisi ha la sua reale causa nel meccanismo stesso dell’accumulazione
Quello che segue non è un post troppo
lungo, tuttavia, dato il carattere della nostra epoca, esso potrebbe risultare poco
adatto proposto dopo due interi giorni di festa. Confido nella bontà e
qualità dei lettori. L’ultima parte accenna di sfuggita a una nota questione ed
è dedicata in particolare all’amichevole e chiaro lettore che legge fino in fondo
nonostante non s’aspetti nulla di nuovo prim'ancora di avervi posto gli occhi.
*
“Abbiamo attraversato una
crisi globale che ha superato per dimensioni e qualità quella degli anni Trenta
e non è ancora finita” (Domenicale di ieri).
Leggiamo di continuo frasi come queste cui seguono poi analisi politiche o economiche
sulle cause della crisi che non escono mai dalla sfera dell’apologia del
mercato. Al massimo c’è chi suggerisce politiche di stampo neokeynesiano, e
altri propongono addirittura di gettare denaro dagli elicotteri. Come se le
cause della crisi fossero riconducibili semplicemente a questioni di manovra
monetaria, di spesa pubblica e di reddito disponibile.
Da
questo sito leggo: “Nel 2015 Pechino ne ha prodotto 800 milioni di
tonnellate: il quadruplo di quanto qualsiasi altro grande produttore abbia mai
sfornato. Stante la flessione della domanda mondiale, metà dell’acciaio cinese
giace invenduto: 400 milioni di tonnellate, più della produzione dell’intera
Europa. Situazioni simili si registrano in una molteplicità di comparti: dal
vetro al cemento, passando per la gomma, i pannelli solari e la vitamina C, di
cui la sola Cina produce una quantità pari al 90% del fabbisogno globale”.
lunedì 25 aprile 2016
[...]
Nel divenire del modo di
produzione capitalistico lo Stato ha, in stadi di sviluppo diversi, assunto
forme diverse. Bonapartismo, fascismo, nazismo, democrazia, eccetera,
riguardano la metamorfosi della forma-Stato e vanno lette in relazione al
movimento contradditorio del capitale e alle fasi di sviluppo e di crisi che
esso ha attraversato. Qualcuno, molto tempo fa, ebbe ad osservare che la democrazia è il migliore involucro per
il capitalismo, cioè l'involucro più funzionale alla sua dittatura. E anche un
uomo pacato e pragmatico come Ezio Mauro, di recente, si chiedeva se la
democrazia non valesse solo per le fasi alte del ciclo economico.
Per rifarci al tema nei termini correnti della pubblicistica borghese, c’è da osservare che nemmeno i sistemi più democratici
garantiscono alcuni dei più fondamentali diritti sociali, come per esempio il
diritto al lavoro e ad avere un tetto, anche se talune Costituzioni
stabiliscono un nesso tra libertà e giustizia sociale. Ciò che conta sono i reali rapporti sociali che tali Costituzioni
vanno a formalizzare. E già il solo formale richiamo a tale nesso, come
sappiamo, dà fastidio a molti laddove è dichiarata la prevalenza dell’utilità
sociale rispetto al diritto di proprietà (vedi articoli 41 e 42 della Cost.).
La Costituzione borghese sancisce
il diritto al lavoro, tacendo però le condizioni che sole danno a tale diritto
un senso (*). In effetti essa non sancisce altro che l'operaio salariato ha il
permesso di lavorare per la sua propria vita, cioè di vivere, solo in quanto
lavora, per un certo tempo, gratuitamente, per il capitalista e quindi anche
per quelli che insieme col capitalista consumano il plusvalore.
Tutto il sistema di produzione
capitalistico si aggira attorno al problema di prolungare questo lavoro
gratuito sviluppando la produttività e dunque prolungando in assoluto la
giornata di lavoro. Pertanto ciò che viene taciuto è proprio il fatto essenziale
che il sistema del lavoro salariato è un sistema di schiavitù, e di una
schiavitù che diventa sempre più dura nella misura in cui si sviluppano le
forze produttive sociali del lavoro, tanto se l'operaio è pagato meglio, quanto se è pagato peggio.
*
sabato 23 aprile 2016
Le velleità della politica monetaria in un sistema economico in cui domina la legge del valore
La
diàtriba Draghi-Merkel (Schäuble) non riguarda questioni di “filosofia” monetaria,
ma una questione di soldi veri. Il
gruppo Sparkassen, composto da più di 430 banche locali, dipende dagli
interessi positivi sui tassi, dunque
è il regime di tasso d’interesse praticamente negativo della banca centrale europea
ad essere in questione, che, come noto, acquista attività finanziarie al ritmo
di 80 miliardi di euro il mese.
La
questione ha anche aspetti squisitamente politici, ossia elettorali. I
rendimenti negativi fanno incazzare anche i cosiddetti “risparmiatori”, i quali
guardano con sempre maggior interesse alla AfD (Alternative für Deutschland),
un partito non a caso fondato da un professore di economia.
La
politica della BCE è vista dai vertici politici ed economici tedeschi come un
attacco al “modello economico della Germania”, che è “fortemente dipendente dal sistema bancario che svolge un ruolo peculiare nel Paese”. Se le banche e le
compagnie di assicurazione (da cui dipende la remunerazione di molte pensioni) entrano
in crisi (lo sono già), “il modello potrebbe crollare”.
Appare
in tutta evidenza la grande contraddizione che sta vivendo la BCE, laddove si
tenga conto che gli interessi della Germania non coincidono con quelli degli
altri Paesi.
venerdì 22 aprile 2016
Approfittando dell’infamia dei tempi
Questa
mattina, nella trasmissione Primapagina
di Radiotre, il commentatore era Marcello Veneziani, già direttore del gruppo
editoriale di Ciarrapico, nonché estimatore di Giulio Evola e dintorni. Ognuno
è libero di frequentare, stimare e ammirare chi vuole, anche personaggi come Ciarrapico
ed Evola, basta che non pretenda poi di dare lezioni di virtù, correttezza e di
democrazia agli altri, come capita spesso a Veneziani.
Come
questa mattina, quando non ha perso occasione di accostare, con tono livoroso,
Palmiro Togliatti alle “responsabilità per i crimini del comunismo”. Dalla
prosa di Veneziani ci si può attendere questo ed altro e non può stupire, né spetta
a me eccepire che ogni gattopardo ha le sue macchie. Perciò lascio volentieri
ed eventualmente agli ex dirigenti e militanti del Pci l’onere di difendere il
buon nome e la vicenda storica del loro ex segretario generale, cioè
considerare se una contestazione completa sia non solo utile ma doverosa. Da
parte mia desidero solo rilevare che definire come comunisti i regimi
stalinisti e maoisti denota malafede e ignoranza.
Nello
stesso commento, Veneziani ha invece definito Giovanni Gentile come un “martire”,
omettendo di dire che il “grande filosofo” non è stato giustiziato dai
partigiani per le sue idee filosofiche, bensì per la sua piena adesione al
fascismo e in seguito al governo di Salò, invitando i giovani ad arruolarsi nelle fila della RSI. Ciò non denota ignoranza
(potrebbe mai ignorare cosa fu il nazi-fascismo?), ma tanta voglia d’imbrogliare
le carte, di riassumere la storia considerandone solo una parte, approfittando
di microfoni pubblici e dell’infamia dei tempi.
giovedì 21 aprile 2016
Je suis al-Sisi
Abdel
Fattah al-Sisi, ex capo dei servizi segreti militari sotto Mubarak, addestrato
negli Stati Uniti, ha preso il potere nel 2013, dopo un colpo di stato contro
il suo predecessore, regolarmente eletto, Mohamed Morsi. Dal colpo di stato di
al-Sisi, la polizia ha ucciso migliaia di oppositori del regime, e altre decine
di migliaia le ha carcerate, condannato oltre un migliaio di oppositori
politici a morte, tra cui l'ex presidente islamista, Mohamed Morsi. L'anno
scorso, Human Rights Watch ha denunciato la scomparsa di 41.000 persone in
Egitto. I Fratelli Musulmani hanno dichiarato che 29.000 dei suoi membri sono
stati arrestati.
Il
24 marzo 2014, in un solo giorno di udienze, nel più grande processo di massa
nella storia egiziana, 529 persone sono state condannate a morte. Il seguente 28
aprile, in un altro processo di massa, altre 683 persone sono condannate a morte in
meno di 15 minuti.
È
in questo quadro repressivo che si è verificata la scomparsa e il ritrovamento del
cadavere di Giulio Regeni. E tuttavia, il presidente Hollande, ha pensato bene,
solidale con la posizione dell’Italia sul caso Regeni, di andare al Cairo, alla
testa di oltre 60 uomini di affari, per firmare contratti economici con il
regime per la fornitura soprattutto di armi.
Come
non bastasse, il vicecancelliere tedesco e ministro dell’Economia e
dell'Energia, nonché presidente del Partito socialdemocratico, Sigmar Gabriel,
in visita nei giorni scorsi in Egitto, ha affermato nel corso della conferenza
stampa nel palazzo presidenziale: “Trovo che abbiate un presidente eccezionale”.
Gabriel,
in Egitto per la terza volta nel giro di un anno, era accompagnato da una
delegazione di un centinaio di cosiddetti imprenditori. Nel giugno scorso, il
governo tedesco aveva srotolato il tappeto rosso per accogliere il boia del
Cairo a Berlino. La Germania è pronta ad aiutare finanziariamente il Cairo e
potrebbe intercedere assieme all'Ue, all'Fmi e al Club di Parigi, per trovare
nuove soluzioni creditizie in favore dell'Egitto, le cui finanze navigano in
pessime acque (assieme a quattro sottomarini già forniti da Berlino). Il Cairo
con quel denaro acquisterebbe altre armi per la guerra in Libia e la
repressione interna (la settimana scora sono state arrestate 119 persone al
Cairo, Giza e Ismailia nel corso delle manifestazioni per protestare contro la
cessione all’Arabia Saudita di due isole d’importanza strategica nel Mar Rosso,
Tiran e Sanafir, che permetterebbe l'acceso di Israele al Mar Rosso.
In
fin dei conti stiamo parlando della stessa classe dirigente che ha portato
Hitler al potere nel 1933, e di quella petenista di Vichy, pronta ad accordi
con le più brutali dittature militari per difendere i propri interessi
geostrategici ed economici. Insomma, della miglior classe dirigente europea.
mercoledì 20 aprile 2016
L'abnorme prolungamento della giornata lavorativa complessiva
Non
servono algoritmi semplici o complessi, né tabelle statistiche per aver chiara
la tendenza in tema di lavoro e di occupazione. Le macchine sostituiscono il
lavoro umano e i nuovi processi tecnici rendono obsolete attività e mansioni in
un quadro di sovrapproduzione/stagnazione. Perché ciò succede, ossia donde deriva l’amore
smisurato e incontenibile che il padronato dimostra – e i servi esaltano sui media – verso l’innovazione tecnologica?
Scopo
del macchinario è quello di accorciare il tempo di lavoro necessario per la
produzione di una merce, dunque di ridurre il valore della merce, ergo il suo
prezzo. Il che – come ogni pezzo di merda sa ma tace – vuol dire: ridurre
la parte retribuita del tempo di lavoro e aumentare quella non retribuita,
estorta e appropriata gratuitamente dal capitalista. In definitiva – se la
cosa non disturba troppo le meningi dei venali apologeti borghesi – ciò comporta un prolungamento del tempo di lavoro assoluto, un prolungamento della giornata lavorativa
complessiva!
Pertanto,
come ho già scritto, l’aumento della forza produttiva del lavoro e la riduzione
del lavoro necessario ad un minimo è la tendenza
necessaria del capitale. Ma si tratta di una tendenza esplosiva.
Pertanto
non facciamo i finti tonti come il signor Marchionne che da un lato impone di
aumentare lo sfruttamento del lavoro e dall’altro si duole per le dinamiche
della composizione tecnica del capitale (*).
Ridurre,
come fa Marchionne e in coro tutti
gli economisti, la composizione organica a semplice “composizione in valore”,
preclude qualsiasi possibilità sia di cogliere la contraddizione fra lo
sviluppo storico-naturale delle forze produttive e la forma che esse assumono
nel modo di produzione capitalistico, sia il reale motivo per il quale
l’aumento della composizione organica, provocando la caduta tendenziale del
saggio di profitto, possa e debba risolversi nella crisi dell’accumulazione
capitalistica.
Ciò
premesso, passiamo a questioni più prosaiche e che evitano possibili mal di
testa a metà settimana.
*
martedì 19 aprile 2016
Burattinai e burattini
In
molti diranno che sarà tutt’altra storia, ma il risultato referendario di
domenica scorsa prefigura già quello del prossimo ottobre sulla “riforma” dei
gattopardi in sedicesimo. In campo scenderanno ben altre figure e interessi, si
dice, ma basta un’occhiata ai rapporti di forza, a quella sgangherata “sinistra”
che non è in grado di mettersi d’accordo, non solo per un programma politico
riformista decente ma nemmeno per una gita fuoriporta, per capire come andrà a
finire. Sarà il M5s a fare la differenza? Se si crede questo allora non s’è
compreso quanto è avvenuto in questi anni, né la reale natura sociale e
politica di quel movimento, che come un pifferaio aggrega con la promessa del
reddito di cittadinanza e altre ciarle.
Poniamo pure il caso contrario, quello ritenuto più favorevole, ossia che Renzi perda le amministrative e poi il referendum. Che cosa
succederebbe? Il prossimo anno ci sarebbero le elezioni ed è possibile – a meno
di fatti nuovi – che a vincerle sia il M5s. Esso dimostrerebbe all’Italia e al
mondo di saper pulire gli angoli più lerci del Palazzo, forse. Posto per mera ipotesi che i problemi economici e sociali di fondo siano suscettibili di chissà quale miracolo, la politica
economica del nuovo governo dovrà comunque rispettare gli impegni sottoscritti. Il debito
pubblico e Berlino non consentono margini per avventure giacobine, ossia di fare altro da ciò che è già deciso e
stabilito. Il diciotto brumaio, ossia la svolta bonapartista, è in marcia da molto
tempo. Le modificazioni costituzionali hanno solo scopo di formalizzarla, e poco importa ai grandi burattinai chi saranno i burattini.
lunedì 18 aprile 2016
Gli afro-americani non sono insigniti del Nobel perché meno intelligenti?
Perché
persone appartenenti a certe etnie e minoranze umane tendono a sviluppare
talune peculiarità culturali che invece sono più rare o persino assenti in
altre popolazioni? A questa domanda la biologia risponde racchiudendo il tutto
entro i suoi recinti fin troppo definiti, non tenendo in debito conto il dato storico-sociale.
Gilberto
Corbellini recensisce sul Domenicale un paio di libri, per primo quello del
prof. Baroukh Maurice Assael, dal titolo: Il
gene del diavolo. Le malattie genetiche, le loro metafore, il sogno e le paure
di eliminarle. Scrive il recensore nell’articolo Variazioni ashkenazite:
“Variazioni genetiche [quelle comparse nella popolazione ebraica
ashkenazita] che in alcuni casi
probabilmente potevano potenziare alcune funzioni biologiche. Come
l’intelligenza”.
E
già qui si può apprezzare come l’intelligenza umana, e dunque lo sviluppo delle
funzioni psichiche superiori, sia ricondotta a mera funzione biologica, e non
già posta in relazione con i sistemi cognitivi e semiotici di un dato ambiente
sociale.
Così
prosegue l’articolo:
“Questo se fosse confermata l’ipotesi, al
momento basata solo su dati circostanziali, che si possa spiegare geneticamente il fatto che il quoziente
intellettivo degli ebrei ashkenaziti [e dunque – chiedo – sono esclusi i sefarditi?] è più
elevato (soprattutto per capacità verbale e pensiero astratto) della media,
ovvero che malgrado solo il 2% di tutti gli statunitensi discendano da ebrei
ashkenaziti, lo sono il 25% dei premi Nobel agli Stati Uniti, il 25% dei
vincitori di Field Medal, ben 9 su 19 campioni di mondo scacchi”.
Da
questo modo di argomentare basato “solo su dati circostanziali”, si
dovrebbe dedurre, ad esempio, che il quoziente d’intelligenza della popolazione afro-americana, che sappiamo essere mediamente testato su valori più bassi,
abbia cause genetiche. E ciò vale, in rapporto sempre agli ashkenaziti, anche
per gran parte della popolazione bianca non ashkenazita, così per altre etnie
presenti negli Stati Uniti.
Amicizie nuove
Una
penisola troppo lunga per un’unica identità nazionale, circondata da troppi
mari perché ognuno di essi possa diventare d’interesse comune. A Livinallongo
del Col di Lana, di cosa succede a Santa Maria di Leuca importa come del Golfo
del Messico. In un paese così gretto e provinciale come l'Italia non può che dominare il
paradosso, e cioè che abbia ragione Scalfari quando sostiene che a chi abita sui
monti non deve importare nulla di ciò che succede nel mare. Caso mai ad agosto
cambiamo spiaggia, amicizie nuove.
domenica 17 aprile 2016
Una precisazione comica
Sentite
un po’ questa e poi ditemi se Crozza, malgrado ciò che ne penso io, non sappia anche fare della satira tagliente:
[…]
ci sono referendum abrogativi su fatti
specifici che riguardano soltanto abitanti di alcune zone del Paese mentre non
interessano affatto a chi vive su territori diversi. Quello delle trivelle per
esempio non riguarda chi vive in terre lontane dal mare e quindi del tutto
disinteressate all'esito referendario. Non riguarda per esempio Piemonte e
Lombardia.
E neppure gli abitanti dell'intera
costa tirrenica visto che i giacimenti petroliferi sono stati individuati
soltanto nella costa adriatica e ionica.
In queste condizioni sarebbe molto
opportuno non estendere all'intero Paese questo tipo di referendum che ne
riguardano soltanto una parte. Ci vorrebbe naturalmente una modifica o meglio
una precisazione costituzionale che potrebbe perfino essere anticipata da
un'opinione della nostra Consulta.
Pensateci
un attimo, chi sostiene seriamente questa tesi e la divulga in centinaia di migliaia di copie, che giudizio s’è fatto dei suoi lettori? Di fronte a una
tesi come questa che cosa vuoi ribattere? Gli argomenti sarebbero comunque
inutili e possiamo solo constatare in quale guaio siamo tutti.
Siamo
ad una ideologia – a supporto dell’economia – che propugna di fare a meno della società degli individui, un’economia che
pretende di saccheggiare l’uomo e la natura invitandoci a disinteressarci di ciò
che avviene di là del recinto della nostra villetta, oltre il nostro quartiere
e le nostre città. Un’ideologia che ha già scavato un fossato profondo tra la
società vivente e la società mercantile.
venerdì 15 aprile 2016
Un Napolitano per ogni stagione
Anch’io
domenica voterò al referendum, non importa se per il sì o per il no, ma per il
quorum. Un forte motivo mi spinge a farlo, non solo di dispetto verso quel
pover’uomo di Renzi, ma verso la presa di posizione di Giorgio Napolitano. Non
è facile superare il senso di fastidio per colui che, tra l’altro, fu
sostenitore attivo della persecuzione delle autorità sovietiche contro Solgenitsyn.
Le idee politiche di Solgenitsyn non mi piacevano affatto, ma egli fu un uomo coraggioso che patì gravemente
sotto il regime pseudo-comunista sovietico di cui Napolitano invece esaltava lo “sforzo
di arricchimento e sviluppo della democrazia socialista”. E tanto basta.
Lo
so, ho scritto diverse volte che il voto è solo illusione in questo sistema di
classe. Confermo, ma questa volta andrò a votare. Vivo le passioni e le
contraddizioni della mia epoca. Giudicatemi come volete.
Il Credo borghese
Che
cos’è, in concreto, la Costituzione della quale si sente parlare tanto spesso,
specie da parte di insigni costituzionalisti, e tanto sovente a sproposito? In
sostanza essa è un insieme di norme che regola e formalizza i rapporti sociali
esistenti. Rapporti di classe,
innanzitutto.
Tutti
gli insigni costituzionalisti e gli ideologi en détail accettano e propugnano come ovvie le leggi sulla
proprietà privata su cui poggia il sistema borghese e il relativo linguaggio.
Al
primo articolo la Costituzione afferma che la Repubblica è fondata sul lavoro. Non
certo sul lavoro di commercialisti, filosofi e caporali vari si fonda la
società borghese, sia essa incardinata ad ordinamento monarchico, repubblicano
o soviettista.
Senza
lavoro salariato – in primis il lavoro produttivo di plusvalore – la società
borghese smetterebbe di esistere all’istante. La libertà di chi è privo di
mezzi propri per vivere, cioè di chi vive soltanto come lavoratore, è anzitutto la libertà di vendere se stesso e la sua
umanità.
Fateci
caso, per l’insigne costituzionalista o l’editorialista deficiente, l’interesse
dell’operaio non deve essere mai in contrasto con l’interesse della società (le
famose “compatibilità”), mentre la società sta sempre e necessariamente in
contrasto con l’interesse dell’operaio.
Che
senso ha il “lavoro”, su cui si fonda la “repubblica democratica”, quando esso
viene considerato soltanto sotto forma di attività di guadagno? Che senso ha affermare
“il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del
lavoro” se il lavoro estorto serve per aumentare le ricchezze di una minoranza?
La
Repubblica fondata sul “lavoro” ha procurato “al popolo” la libertà politica, dichiarati
uguali i diritti, sancita la purezza del “dovere civico”, a cominciare da
quello del voto, attraverso il quale lo schiavo, al pari del suo padrone, come
unico gregge, esprime la sostanziale adesione all’ordinamento sociale e
politico vigente, allo stesso modo in cui il pecorame cattolico, recitando il Credo,
rinnova la sua fedeltà alla Chiesa di Roma.
giovedì 14 aprile 2016
Quando in un Paese ...
Quando
in un Paese la vita di milioni di persone, individui e famiglie, dipende
direttamente dagli emolumenti (pensioni, stipendi, sussidi) che ricevono dallo Stato, è
facile mantenere queste persone docili e obbedienti usando alternativamente la promessa e la minaccia. Il fatto poi che queste persone, magari brontolanti e sentenziose, votino per questa o quella lista elettorale, è del tutto ininfluente e anzi fluidifica il sistema e mantiene l'illusione sulle sempre più labili apparenze democratiche.
*
Tutte
le modifiche (più annunciate che attuate) sulle pensioni a riguardo della
cosiddetta flessibilità in uscita, non sono altro che dei palliativi per quanto
riguarda la creazione di nuovi posti di lavoro. La disoccupazione giovanile è già un fenomeno cronico che si
farà sempre più marcato, e il cosiddetto precariato è stato pianificato per
legge. Il tasso della disoccupazione generale, salvo lievi e momentanee
oscillazioni positive che faranno gridare al miracolo, tenderà nei prossimi
anni ad aumentare considerevolmente. Nei prossimi dieci anni una percentuale
non trascurabile delle figure lavorative attuali scomparirà e il tasso di
sostituzione con quelle nuove sarà ben poca cosa.
mercoledì 13 aprile 2016
[...]
A
Tolosa, nel sottotetto di una vecchia casa, giaceva una riproduzione del noto
dipinto Giuditta e Oloferne, simile a quello conservato alla Galleria d'Arte
Antica di Roma. I primi a credere che la tela fosse opera del pittore italiano
sono stati alcuni esperti d'arte francesi, e il Ministero della Cultura ha
decretato il divieto d'uscita del dipinto, ora decretato come "tesoro
nazionale".
Il
dipinto è senz’altro di buona mano e pare voglia sembrare un Caravaggio. Già a vederlo in foto pare un “biscotto”,
con le protagoniste in posa, manca solo che Giuditta ammicchi strizzando l’occhio. Lasciamo fare
agli esperti di marketing, sapranno trovare le pezze d’appoggio, e così come
Angelica Merda si trasformò nella contessina del Biscotto, il biscuit di Tolosa sarà acclamato dalla
critica come un Merisi doc.
Del
resto l’esperto che serve meglio è l’esperto che mente, perciò è riconosciuto
come esperto. Da quando l’arte è finita sul mercato, diceva un mio amico, dell’esperto
hanno bisogno soprattutto l’ignorante e il falsificatore. In un’epoca che trova
redditizio adulterare chimicamente i vini, potrà venderli a caro prezzo solo se
si saranno formati degli esperti che inducano degli sprovveduti ad apprezzare i nuovi
sapori, e a diventare espertissimi loro stessi.
martedì 12 aprile 2016
Capra e cavoli
Tanto
la crisi è una tendenza necessaria del modo di produzione capitalistico, tanto
più gli ideologi di ogni ordine e penna s’impegnano a risolvere il rebus di
salvare capra e cavoli. Come ho già scritto, della rivoluzione in atto protagonista
assoluto si mostra essere Monsieur le Capital et Mme la Bourgeoisie. Per il
momento, ossia fino a quando reggerà il sempre più precario equilibrio tra economia
capitalistica e rapporti sociali. Poi, il gioco cambierà. Personalmente guardo
a questi processi con lo stesso atteggiamento con il quale un naturalista
osserva certi fenomeni prodursi alle regioni equinoziali.
*
Scrive
Bruno Jossa su Il Ponte:
Oggi, infatti, conosciamo
un modo per liberarci del capitalismo senza violenza rivoluzionaria, in base a decisioni parlamentari,
perché il lungo dibattito sulla teoria economica delle cooperative di
produzione che si è avuto, a seguito di un celebre articolo di Ward del 1958,
ha mostrato chiaramente che è possibile creare un sistema d’imprese gestite dai
lavoratori, che è un nuovo modo di produzione nel senso di Marx e che, pur non
essendo il paradiso in terra, può funzionare assai bene.
Non
avevo mai letto, non almeno declinata in modo così esplicito, della possibilità
di superamento di una formazione economico sociale, e dell’insieme dei rapporti
sociali che le sono propri, “in base a
decisioni parlamentari”. Dunque prendo atto che basterebbe organizzare, per legge, l’economia in un sistema
d’imprese cooperative gestite direttamente dagli operai, et voilà il superamento del modo di produzione capitalistico
sarebbe già un dato di fatto, o quantomeno un inizio “nel senso di Marx”.
Quando
ci si occupa di questioni della cosiddetta “transizione”, uno degli errori più
frequenti è dato dalla convinzione che il rapporto tra base economica e
“sovrastruttura” sia, in sostanza, non
di tipo dialettico ma causale, vale a dire che le diverse regioni
della “sovrastruttura” siano unilateralmente condizionate, nel loro movimento,
dalla base economica. Jossa non cade in questo errore, ma esattamente nel determinismo opposto, perciò gli effetti
sono i medesimi, anzi, più comici.
lunedì 11 aprile 2016
Con o senza trivella
C’è
solo un valido motivo (altri non ve ne
sono) per andare a votare domenica prossima. Per dispetto a Renzi. Come a
suo tempo per dispetto a Craxi, il quale invitò ad andare al mare e non al
seggio. Venivo dagli anni Settanta e non andai da nessuna parte.
Già
immagino lo strabuzzare d’occhi degli scrutatori nel vedermi entrare nel seggio:
“Ma come, nevica in aprile?”. Quindi mi vedo consegnare all’anziana signorina
presidente del seggio la mia tessera elettorale, intonsa e immacolata. Mi verrà
quasi da dirle: “È solo per dispetto”. “Allora – potrebbe ella a buon diritto
chiedermi – la rivedremo anche nel prossimo autunno?”. Eh già, perché se questo
è dispetto, nel prossimo autunno sarà dispetto ancor più grande!
E
di dispetto in dispetto dovrei poi votare alle politiche, sennò il dispetto di
oggi a cosa vale? E alle elezioni comunali, per gravi motivi di dispetto,
dovrei farmi trovare davanti al seggio già alle sette del mattino! Vedi in
quale vortice di grave peccato può condurti una (tentata) burla a Renzi.
Senza
dover rifare la storia dall’età di Pericle ad oggi, rammento di come per far
dispetto a Giolitti per averci portato in Libia ci ritrovammo poi con Salandra
e Sonnino, in gran segreto, sul Carso e l’Altipiano. Il primo dopoguerra fu un
susseguirsi di dispetti, che culminarono con un dispettaccio di vent’anni di
dittatura.
Nel
1946, nonostante la monarchia fosse defunta nel 1922 e poi fosse stata sepolta
l’8 di settembre del 1943 sotto tonnellate di merda, per dispetto rischiammo di riesumarne la salma, tanto che si
dovette minacciare la guerra civile perché il Carignano sloggiasse dal
Quirinale. Seguirono, con l’avvento della Repubblica, cinquant’anni di dispetti
e paure, democristiane e comuniste. Anche a colpi di bombe e stragi. Poi, per farla breve, ci fu il dispetto di
Berlusconi e della sua teppa, mischiato ad altre meschinità di cui
è capace il paese del Gattopardo (o
de Il giorno del giudizio, se preferite).
Creduli
di aver fatto dispetto a quell’onesta nullità di Bersani e di Prodi presidente,
eccoci a fare la fronda a quell’antipatico di Renzi, un furbo a capo di un
paese che la furbizia (e il dispetto) l’ha elevata a sistema. Da oltre un
secolo Pulcinella dà forma ai suoi sogni inesausti con dispettucci riposti nel
segreto dell’urna, e però lor signori non hanno mai smesso di comandare e
fotterci, con o senza trivella.
domenica 10 aprile 2016
In fondo e nella sostanza
Arriva
troppo tardi Bergoglio con il suo “caso per caso” e la scoperta
dell’”inculturazione”. Le parole perdono la faccia man mano che il mito perde
potere e va in pezzi nello spettacolo screziato delle nuove ideologie. Poteva
funzionare nelle società dove predominava il sistema agrario, o proto
industriale, ma ora il capitale non ha più bisogno della famiglia tradizionale
per estorcere plusvalore e riprodurre il sistema. L’individualismo privatizza
l’alienazione collettiva e dunque va bene qualunque legame e qualsivoglia
morale purché s’identifichino con la libertà degli scambi controllata dal
monopolio.
Eugenio
Scalfari non è ignaro di queste cosucce, e però s’attarda nell’esegesi del
vangelo. Tanto vanno le parole alla derisione che infine vi annegano. Stia
tranquillo, un posto in paradiso glielo trovano, magari dopo un breve periodo
trascorso in purgatorio a dirigere uomini curvi che trascinano, senza riposo,
enormi massi di pietra. A questo scopo ciò che è proclamato, sia pure in limine vitæ, ha maggior peso di ciò che
viene compiuto, come la Chiesa ha dimostrato più e più volte, quando un’affermazione
di Galeno e l’astronomia della Bibbia possedevano più verità di un’osservazione
anatomica e degli esperimenti di Galileo. In fondo e nella sostanza non è
cambiato nulla.
venerdì 8 aprile 2016
Allora si distinguerà la verità della messinscena
Gente
superficiale crede che la storia degli ultimi decenni voglia
smentire ciò che era stato detto e fatto prima e per tanto tempo. Tutto ciò ha
impedito di vedere le cose per quel che erano e sono, facendo del presente il
punto d’arrivo della storia. Salvo poi, in un attimo di resipiscenza, farsi
venire il dubbio, subito scartato, che “la democrazia funzioni veramente
soltanto negli anni della crescita e della redistribuzione, mentre quando
cambiano i tempi si fa da parte, cede il governo del sistema e contempla
l'azione della crisi”.
L’azione
della crisi! Bella espressione usa il formalismo liberale per mascherare la
realtà. Non hanno il coraggio di declinarla nei suoi effetti questa cazzo d’azione,
nei reali soggetti sociali ai quali viene fatta pagare, come se la lotta di
classe in atto fosse qualcosa di astratto e non l’espressione della dittatura
economica della borghesia. Poi, nel timore che il dubbio possa essere letto
come un appello, dopo aver lanciato il sasso, si riprende in mano la stilografica
per rianimare con il solito inchiostro le illusioni del riformismo.
*
Quando
in metà di un Paese il reddito è la metà dell’altra metà, si dovrebbe evitare
di sostituire l’insinuazione alla conoscenza dei fatti, ossia scrivere: “I
centri sociali, non sappiamo quanto infiltrati dalla camorra, si sono messi al
servizio di un gioco politico distruttivo” (Stefano Folli su Repubblica di ieri). Se non sai, taci.
Se sospetti, vai a verificare, a renderti conto di persona, insomma muovi il
culo ed entra nei famigerati centri sociali, zone franche, secondo lo
stereotipo diffuso ad arte, di ogni nequizia sovversiva e terroristica.
Quanto
alla criminalità che taglieggia e spara, le responsabilità politiche vanno
cercate in covi ben individuabili, come del resto ce ne offrono scampolo, da
ultimo, le intercettazioni ministeriali che rivelano “un gioco politico” ben
più “distruttivo” di quello dei centri sociali. Dire, tanto per fare un
parallelismo storico, che i sanculotti alla Bastiglia erano al soldo di certe
cricche aristocratiche che facevano la fronda alla corona, può anche trovare
qualche riscontro, e tuttavia le torme di disperati che entrarono a Parigi in
quel tempo erano spinte da una fame senza speranza più che dalla pigrizia e dal
calcolo politico di qualche “fogliante”. Poi possiamo anche ricamarci sul fatto
che la plebe è plebe e che le rivoluzioni non sono pranzi di gala, così come le
proteste di piazza, signora mia, mancano assolutamente di bon ton.
Quando
la crisi raggiungerà un livello superiore, quando infine sarà, qui come in Grecia e altrove, guerra a
questa marcia società, allora si distingueranno facilmente le ragioni della
verità da quelle della messinscena, e però anche in tal caso gli scribacchini
di Repubblica giudicheranno
incredibile quanto starà accadendo sotto i loro occhi.
In
un paese così prevedibile non è difficile vaticinare ciò che nelle premesse è già realtà.
giovedì 7 aprile 2016
L'attenzione
Il
caso dei Panama Papers rivela l’
ipocrisia di cui è capace questo sistema, anche se non c’era bisogno di questo
ennesimo scandalo per scoprirlo. Il fatto, poi, che esita la possibilità legale
di pagare le tasse in certi paesi della UE, come per esempio l’Irlanda, rivela fino a
che punto il gioco sia sporco.
Dice
il re dell’ipocrisia, vale a dire Obama: “Le grandi aziende non possono giocare
con regole diverse rispetto al resto degli americani. L'elusione fiscale è un
grande problema. Sono stati fatti progressi ma molte di queste pratiche sono
legali, non illegali”.
I
rapporti giuridici che stanno alla base del sistema sono legali quanto il
capitalismo stesso. La schiavitù, per esempio, entro tali rapporti ha trovato
le sue forme di regolamentazione, di sublimazione, che sono diventate così
“naturali” da non essere messe in discussione.
L’aveva
già osservato un borghese un po’ di tempo fa: “l’ordine esistente è il
disordine messo in leggi” (Saint Just).
È
un fatto che non vi sia ormai più chi lavora attivamente alla sovversione
dell’ordine esistente. Da ciò, i proprietari del mondo deducono, fingendo una
qualche inquietudine, che i loro veri problemi siano effettivamente quelli
descritti dai loro “critici” salariati.
E
anche per quanto riguarda le classi lavoratrici, che tanti tradimenti hanno
subito da parte dei loro pretesi (ex) rappresentati, è naturale seguano la
propria sorte, nella povertà e nella disoccupazione, nel mentre la rivoluzione
tecnologica mette in gioco le posizioni e gli interessi di tutti.
Fino
a quando l’attenzione sarà attratta dagli scandali delle tasse non pagate ma
non dall’estorsione sistematica e legale di quella stessa ricchezza, dall'ordinamento che la tutela, gli schiavisti possono dormire
e godersela tranquilli.
martedì 5 aprile 2016
Cacadubbî
Ci
sono ancora anime belle, ma tutt’altro che oneste, che manifestano
pubblicamente simili esilaranti dubbi. Sono gli stessi avvocati difensori del sistema
capitalistico (che ovviamente si guardano bene dal nominare col proprio nome)
che eiaculano la propria arringa raccontandoci che per mandare avanti questa
baracca di mondo abbiamo bisogno dei trust bancari e di politicanti
(riformisti!), di mercenari patroni di ogni abuso e naturalmente di tutta
quella gente il cui mestiere consiste principalmente nel mostrarsi necessari ai
loro datori di lavoro.
Gentaglia
che non è in alcun modo in grado di dare risposte perché parla in continuazione
e a vanvera di ciò che più manca, ossia la democrazia, e soprattutto perché
manca di coraggio, il coraggio minimo
di esprimere pubblicamente il disgusto vero
che dovrebbe ispirarli per questo stato di cose. Ma in questo stato di cose
loro nuotano fin troppo bene, e nessuno del resto domanda loro di essere
coraggiosi almeno a parole.
Nelle
epoche in cui regna l’intelligenza, si possono giudicare le persone dall’uso
che ne fanno e quelle valide e abili dal merito; nella nostra epoca, invece, in
cui un’estrema mediocrità si scontra con grandi difficoltà, bisogna considerare
le pretese di quelli che sono al potere solo con le loro paure, le loro viltà e
i loro interessi particolari, e fare di questa mistura la regola del nostro
giudizio.
lunedì 4 aprile 2016
Chi non capisce questo ...
C’è
una voglia matta d’inflazione, tanto che siamo all’”opzione nucleare”, ossia,
come spiega Fabrizio Galimberti sul Sole
di ieri (p.15), “all’arma più potente di tutte: i soldi dall’elicottero”, come
proponeva, scrive l’articolista, Milton Friedman nel 1969. “Gettate pacchi di
banconote da un elicottero sul popolo grato”. Non manca naturalmente nemmeno il
richiamo a Keynes, il quale nel 1936 suggeriva: “seppellite sacchetti pieni di
banconote e poi dite ai cittadini di scavare”.
Questo
lo stato dell’economia politica sul fronte dell’apologia borghese. “Naturalmente,
ambedue i mezzi indicati erano immaginifici e provocatori, ma ci sono maniere
meno pittoresche – scrive seriamente Galimberti – per ottenere lo stesso risultato. Per esempio, la Banca
centrale potrebbe accreditare i conti in banca di ogni famiglia con, diciamo,
10mila euro”.
In
buona sostanza è la domanda di merci che manca e bisogna in qualche modo
stimolarla. Tutto il cogito borghese punta alla formula della dolce
euchessina.
*
venerdì 1 aprile 2016
Non sarà il problema permanente della specie umana
Questi
famosi “problemi”, innominati o falsati da tutti i prosatori di professione, in
che cosa consistono effettivamente, di preciso? Le menzogne della “democrazia”
e della “libertà” non si trovano più a funzionare nel momento storico in cui la
loro realtà è messa universalmente in discussione, nel momento in cui produrre
e consumare ha mutato paradigma di riferimento, ed allora tali menzogne sono
attaccate da un rifiuto che non è fugace o parziale, ma stabile e totale.
Il
capitalismo – per parafrasare Luigi Capeto – deve regnare o scomparire. Per
regnare, esso deve saper prevedere costantemente, e costantemente cercare di
evitare, il punto di rottura dell’equilibrio instabile che esiste fra tutto ciò
che deve imporre e infliggere a tutti, e ciò che tutti possono oggettivamente
sopportare e soggettivamente tollerare. Bel tema questo, al quale nessun
coglione, dati percentuali di infinocchiamento alla mano, può nemmeno
immaginare di rispondere, per il semplice motivo che questi ideologi da
strapazzo mai sono stati veramente coscienti che il capitalismo non solo
combatte contro una tendenza necessaria ed esplosiva, ma si è storicamente esaurito.
Abbiamo
potuto costatare a nostre spese – e quelle più onerose devono ancora venire –
che lavorare per questo mondo in mano ad un’accolta di spudorati grassatori e banditi
veri, significa semplicemente scambiare il proprio tempo di vita – che nessuna mostruosa
lusinga consumistica ci potrà restituire – con una sopravvivenza in fondo assai
miserabile, costellata di paure e di perenne precarietà. Ed è appunto questo
tipo di sopravvivenza – come mostrano le manifestazioni di protesta francesi di
queste ultime settimane – ad essere rifiutato in mille maniere e occasioni
differenti.
“Non
lavorare mai” era scritto sui muri di Parigi, oramai mezzo secolo fa, e poi in
Italia nel 1977. La controrivoluzione s’è presa la sua rivincita, tuttavia sul
tempo lungo si è trattato di un fuoco di paglia. Lo scontro sociale ritorna e
non sarà lo spauracchio terroristico impalcato ad arte a fermarlo. Ne avremo
conferma nei prossimi anni, lustri, decenni, per tutto il tempo occorrente. Il
superamento dell’economia è dappertutto all’ordine del giorno!
Dalla loro bandiera devono cancellare
questa massima conservatrice: “un salario equo per una equa giornata
lavorativa”, e iscriverci la parola d’ordine rivoluzionaria: “Abolizione del
lavoro salariato!" (Marx).
Nugoli
di pettegole mosche coprofaghe argomenteranno irridendo queste parole. Prima o
poi ci sarà chi s’incaricherà della disinfezione da questi parassiti, ai quali sarà
del tutto vano rammentare che perfino Keynes dovette convenire, nei famosi Saggi sulla moneta, che “il problema
economico non è, per chi ha lo sguardo rivolto all’avvenire, il problema permanente della specie umana”.
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