giovedì 21 agosto 2014

Qui ventum seminabunt et turbinem metent


Ogni aggettivo per definire l’assassinio del giornalista americano James Foley è inadeguato. Il 12 scorso scrivevo di un orrore che ricorda altre epoche, aggiungendo che la responsabilità degli Usa è di aver alimentato in ogni modo il fondamentalismo islamico, con il quale prima o poi anche la silente Europa dovrà fare i conti. Quello stesso fondamentalismo su cui poggia il regime dell’Arabia Saudita laddove le decapitazioni sono all’ordine del giorno. Nondimeno l’omicidio del giornalista è stato colto al volo dai predatori dell'imperialismo per giustificare la loro politica in tutta la regione, a cominciare dalla distruzione della società irachena e l'uccisione di un milione d’iracheni in una guerra dichiarata sulle menzogne.



Obama ha brevemente interrotto la sua vacanza a Martha Vineyard per raccontare ai media la sua telefonata di condoglianze alla famiglia di Foley, affermando che l’ISIS “non ha posto nel XXI secolo”. Per due volte il presidente ha richiamato i "valori americani" che sono “il contrario di quello che abbiamo visto nel video”, e ha quindi promesso che “Washington sarà implacabile nel fare giustizia”.

Le dichiarazioni di Obama sono sature di retorica e d’ipocrisia posto che il movimento islamista è un prodotto dei successivi interventi dell'imperialismo Usa nella regione. L'amministrazione Obama è rimasta in silenzio fino a quando questi crimini sono stati commessi in Siria dall’ISIS e da altri islamisti che operano sotto l'ombrello dei cosiddetti “ribelli”, le cui operazioni sono state sostenute direttamente e indirettamente da Washington in una guerra per rovesciare il presidente Bashar al-Assad.

Per lo stesso motivo, il rapimento di James Foley (avvenuto due anni prima in Siria), di Steven Sotloff e almeno altri tre giornalisti americani aveva ricevuto poca attenzione dai media, posto che i loro rapitori erano proprio i "ribelli" sostenuti dagli Stati Uniti.

Gli stessi elementi islamici utilizzati in Siria e nella guerra per rovesciare il regime in Libia tre anni fa, sono stati presentati all’opinione pubblica come paladini della "libertà" e della "democrazia", salvo poi diventare improvvisamente "terroristi" quando hanno attraversato il confine in Iraq collegandosi con i ribelli sunniti.


I principali alleati degli Stati Uniti nel mondo arabo sono l'Arabia Saudita e il Qatar. Questi paesi sono stati le principali fonti di finanziamento e d’ispirazione ideologica per gli islamisti che ora combattendo in Siria e Iraq, così come dall’epoca del sequestro della grande moschea della mecca nel 1979 l'Arabia Saudita è stata la fucina del movimento wahabita di al-Qaeda. Chiaro che l’assassinio del giornalista e la minaccia di ucciderne altri è seguita ai bombardamenti aerei americani. Chi semina vento raccoglie tempesta.

3 commenti:

  1. Le ipocrisie dell'imperialismo britannico nella lucida analisi di John A. Hobson

    Prendiamo il caso dell'imperialismo classico, dell'imperialismo "per eccellenza", fra quelli del mondo moderno: ossia quello britannico, quando (alla vigilia della prima guerra mondiale) circa un quarto delle terre emerse del globo vivevano all'ombra dell'Union Jack, e a tanti bambini africani si insegnava che la regina Vittoria era il sovrano più potente del mondo - né si andava molto lontano dal vero.
    Gli uomini politici, la stampa e gli ambienti della finanza e dell'industria che avevano interessi di espansione coloniale giustificavano la politica imperiale britannica come una missione di civiltà: il famoso white man's burden, "il fardello dell'uomo bianco", caro alla retorica imperialistica di letterati come Rudyard Kipling. Essi affermavano che tale missione si esplicava attraverso l'imperialismo non solo perché esso era lo strumento necessario per diffondere il cristianesimo, l'ordine e la pace fra i "selvaggi"; ma anche - e qui l'ipocrisia toccava il vertice - per preparare quelle popolazioni all'autogoverno e alla democrazia, ossia per "elevarle", sia pure in un domani non meglio definito, verso gli istituti politici propri della madrepatria, e felicemente collaudati in secoli di storia (in particolare, a partire dalla Glorious revolution del 1688, che aveva stabilito la monarchia parlamentare).
    E questo giustificava tutto.
    Lo sterminio dei Tasmaniani e degli aborigeni australiani, cacciati come belve feroci (mentre erano miti e assolutamente inermi); l'asservimento e lo sfruttamento dell'antichissima civiltà indiana; la guerra spietata contro i liberi coloni boeri dell'Orange e del Transvaal, con tanto di campi di concentramento per vecchi, donne e bambini; e così via: tutto appariva giustificato alla luce della nobile missione di estendere ai popoli "primitivi" i vantaggi dell'autogoverno e degli istituti della democrazia rappresentativa.
    Impero e democrazia possono coesistere temporaneamente, ma alla fine l'uno divorerà l'altra. Questa è la lezione della storia e ha ormai duemilacinquecento anni: è giù evidente nell'Atene di Pericle e nel disastro annunciato della guerra del Peloponneso, che ha avuto anch'essa il suo lucido e spassionato testimone: Tucidide, il più grande storico del mondo antico.
    Speriamo che non ci sia bisogno di un altro Tucidide per descrivere il disastro annunciato della guerra di civiltà, verso il quale gli irresponsabili dirigenti della Casa Bianca e del Pentagono stanno sospingendo l'intera umanità, con perseveranza degna di una migliore causa, da circa un ventennio, ossia da quando è terminata la "guerra fredda" con l'ex superpotenza sovietica.
    Saluti

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  2. Lei non e''solo un eccellente marxista, ma e' anche un ottimo giornalista.
    Buona serata

    XXX

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  3. Tutto da condividere.Riusciremo ad avere una societa piu giusta? Giuseppe39 torino

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