Si dirà che questo Papa è solo
chiacchiere e distintivo, come del resto tutti i papi della nostra epoca che
non hanno più il bastone del potere temporale e la loro autorità è solo
d’immagine. Possono solo brandire il megafono del sacro e dell’esortazione laddove
è chiaro a tutti che il monopolio spirituale è andato e che la Chiesa deve
combattere sul mercato delle nuove e vecchie povertà una battaglia sulla
difensiva contro la concorrenza agguerrita. Ed è nell’ambito di tale lotta per
la sopravvivenza che dal galero cardinalizio è saltato fuori il nome di Bergoglio,
un prete non curiale che viene quasi dagli antipodi, che sa mostrarsi in atteggiamento
più profano rispetto al suo introverso e ieratico predecessore.
Tuttavia, in quest’anno e mezzo di
pontificato, Bergoglio, oltre a nascondere un po’ di polvere sotto il tappeto,
non ha fatto altro che il parroco in gita con i parrocchiani. Almeno per quanto
se ne sa. Non si vede all’orizzonte l’unica grande e vera riforma per tentare
di tenere ancora in piedi in questo secolo la baracca vaticana. Si vede che una
riforma simile non fu concordata in conclave. Eppure i preti, specie i più
giovani, sono in grande sofferenza, e sono in calo da decenni le
“vocazioni”.
Per fare i preti oggi bisogna
essere fuori di testa, non c’è molto da discutere su questo punto. E di gente con
gravi problemi di ogni tipo ce n’è parecchia in circolazione, stante una
società divenuta sempre più schizoide e dove l’infelicità della sopravvivenza è
messa a nudo. Ma i giovani abbracciano la jihad
invece di credere al dogma dell’immacolata concezione, alcuni preferendo praticare
la tortura agli infedeli che prendere la tonsura al servizio dei fedeli. Le
idee evolvono, si fa per dire, e i miti cangiano colore.
Anche l’istituto del matrimonio è
in crisi irreversibile, e con esso quello celebrato davanti al prete. La
disaffezione per i templi e il pantheon cattolico ricorda molto dappresso
quella per i templi e il pantheon nel Tardo Antico. In quel caso prendeva piede
progressivamente, presso le torme di manomessi che avevano bisogno di rimediare
un pasto (non ancora sacro), il mito cristologico. Costantino stabilì che la
sovrapposizione ci poteva e anzi ci doveva stare se si voleva salvare il
sistema. Invece oggi la fede
religiosa latita, almeno nelle nostre contrade, mentre è in gran spolvero in
altre, e di grandi statisti non se ne vedono. Anche questo è segno di un mondo
che non è più lo stesso e che diventerà ancor più turbolento molto presto.
*
Di statisti abbiamo la signora
Angela Dorothea Kasner in Merkel, la quale a confronto dei nostri nani può
atteggiarsi a gigante. La Kanzlerin si chiede se sono “errate le teorie oppure
se si è dato retta alle persone sbagliate”. Come se le contraddizioni su cui
poggia il sistema dipendessero da ciò che si scrive e si pensa sui temi
cruciali della nostra epoca. Malgrado le loro variopinte differenze di forma,
le teorie economiche hanno in comune il fatto che stanno tutte non sul piano
dell’analisi critica ma su quello dell’apologia della moderna società borghese.
Soprattutto è tornata dominante l’idea che le crisi del modo di produzione
capitalistico siano momentanee, che dopo la tempesta torni il sereno. Non
funziona così, proprio no. Del resto, se pensiamo che l’economia politica ha
sino a questo momento cercato a tentoni di formulare la differenza fra capitale
costante e capitale variabile senza riuscirvi con precisione, che non ha mai
fatto distinzione fra plusvalore e profitto, né ha mai spiegato cos’è il
profitto puro separato dai vari elementi che lo costituiscono che sono resi
reciprocamente indipendenti ...
Che dunque non ha mai fatto un’analisi esauriente delle differenze nella composizione organica del capitale e ancor meno nella formazione del saggio generale del profitto, allora non deve meravigliare il fatto che essa non sia mai riuscita a trovare soluzione, per dirla con Marx, alla tendenza progressiva della diminuzione del saggio generale del profitto quale espressione peculiare del modo di produzione capitalistico, in causa allo sviluppo progressivo della produttività sociale del lavoro, ossia come conseguenza della stessa natura della produzione capitalistica e come una necessità logica del suo sviluppo, per cui il saggio generale medio del plusvalore deve esprimersi in un calo del saggio generale del profitto. Ma a chi cazzo vuoi interessino queste cose?
Che dunque non ha mai fatto un’analisi esauriente delle differenze nella composizione organica del capitale e ancor meno nella formazione del saggio generale del profitto, allora non deve meravigliare il fatto che essa non sia mai riuscita a trovare soluzione, per dirla con Marx, alla tendenza progressiva della diminuzione del saggio generale del profitto quale espressione peculiare del modo di produzione capitalistico, in causa allo sviluppo progressivo della produttività sociale del lavoro, ossia come conseguenza della stessa natura della produzione capitalistica e come una necessità logica del suo sviluppo, per cui il saggio generale medio del plusvalore deve esprimersi in un calo del saggio generale del profitto. Ma a chi cazzo vuoi interessino queste cose?
Per contro, non si tratta, come
ancora alcuni si ostinano a credere, di inventare un nuovo e più perfetto sistema di ordinamento sociale e di
elargirlo alla società dall'esterno, di sperimentare dei modelli, vuoi di
decrescita o di altro. Questi nuovi sistemi sociali sono, sin dal principio,
condannati ad essere utopie: quanto più sono elaborati nei loro particolari,
tanto più restano nella pura fantasia.
E allora? Eh, cari, voi volete la formuletta magica, la pappa pronta,
magari espressa in 144 caratteri, per non annoiarvi. Ed invece bisogna
osservare e studiare, poi studiare ancora e muoversi di conseguenza. Ma chi ve lo fa fare d'impegnarvi quando questo sistema vi garantisce, ancora, tre pasti al giorno e acqua calda per lavarsi?
Nessun commento:
Posta un commento