È dai primi anni Sessanta che
sento parlare di “riforme”. Urgenti, ovviamente. E qualcuna è stata anche fatta
da allora, o almeno tentata. Quella della scuola dell’obbligo, per esempio, ma
anche la nazionalizzazione dell’energia elettrica, un provvedimento che oggi
non ci dice più nulla ma che a suo tempo fu molto dibattuto. Più tardi venne
anche la riforma che portò al servizio sanitario nazionale, assolutamente
necessario (do you remember dottor Guido Tersilli?). Da ultima anche la riforma delle
pensioni, con gli strascichi e le sperequazioni che ben sappiamo.
Non mi pare che la scuola
goda ottima salute, per tacere delle ultime vicende a riguardo delle
graduatorie dei supplenti (ma per quale motivo ci sia bisogno di così tanti
supplenti pare non chiederselo nessuno). Per quanto riguarda l’energia
elettrica essa è la più cara d’Europa, almeno così dicono. Capitolo
dolorosissimo è poi quello che riguarda l’efficienza sanitaria, a macchia di
leopardo e a impronta di primario, e con costi diversissimi da regione a regione (in Calabria la sanità pubblica è la prima voce di reddito). Per quanto riguarda le pensioni, se ne sono erogate
il 43 per cento in meno nel 2013 rispetto al 2012, ossia quasi 100 mila in
meno; e quasi 150mila in meno dovrebbero essere nel 2014; nondimeno le pensioni
erogate dall’Inps sono complessivamente oltre 20 milioni, anche se moltissimi
di questi assegni sono assai bassi.
La questione bilancio della
previdenza, che incide per oltre un terzo delle entrate statali, risente di due
fatti: la crisi economica e l’andamento demografico. Problemi questi che
nessuna riforma potrà risolvere (perciò aspettiamocene altre). Un’altra riforma molto agitata dalla
propaganda politica riguarda il lavoro, ossia le residue tutele rimaste ai
lavoratori. Nessuna ennesima riforma del cosiddetto mercato del lavoro creerà
nuovi posti poiché di lavoro ce n’è sempre meno per il trasferimento delle
lavorazioni all’estero e perché molte tipologie lavorative sono soppiantate
dall’innovazione tecnologica. Anche in questo caso le paventate riforme saranno
pannicelli caldi, salvo una drastica riduzione di tasse e oneri a carico delle
imprese, ma da questo lato vi sono problemi insormontabili di bilancio statale
per i noti vincoli di bilancio (hai voglia, Renzi, a dire che non prendi
ordini), e stante la forza dell'euro.
Riforma della pubblica
amministrazione, ossia della burocrazia e delle sue diuturne vessazioni. Cambierà, ma
molto e troppo lentamente, e ogni cambiamento non eliminerà le tare ormai
secolari che ci portiamo dietro, a cominciare dal mezzo milione di leggi, codicilli, decreti
attuativi, sentenze discordanti e interpretazioni autentiche. Faccio solo un esempio che per caso leggevo ieri: i vigili hanno 90 gg. di
tempo per notificare una multa, termine che però scatta dal momento
dell’accertamento. Dopo decenni di diatribe (se n’è occupata addirittura la corte costituzionale) non si sa bene ancora come interpretare univocamente da
quando parte il conteggio dei 90 giorni (per non parlare di autovelox e
dintorni). E per quanto riguarda le norme edilizie, ogni comune ha le
proprie con relative interpretazioni, ovviamente “autentiche”.
No, nessuna riforma degli apparati burocratici è possibile in
questo straordinario paese, non almeno nel breve e medio periodo, non nell'ordinario.
renzi, appena ha visto traballare il cadreghino, è andato a prendere ordini direttamente dal boss (draghi). Poi è tornato ed andato dall'altro per mettere a punto l'esecuzione degli ordini. Per chi c'è andato si prepara un bel rientro dalle ferie. buona giornata.gianni
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