Tra le molte cose curiose occorse
durante il periodo di detenzione dei prigionieri asburgici (ve n’erano però
anche di tedeschi) all’Asinara, c’è n’è una di particolarmente singolare, ossia
la caduta di un enorme oggetto volante al cui interno furono trovati quattro
corpi. Di questo dirò poi o nel prossimo post.
Dagli atti della capitaneria di
porto e da quelli della stazione sanitaria dell’Asinara, si rileva che i
prigionieri dell’esercito asburgico sbarcati sull’isola furono complessivamente
23.339, ma da Valona ne partirono 23.854. E tuttavia sono solo 515 quelli
ufficialmente non giunti sull’isola, e non 522.
I sette corpi mancanti furono
probabilmente gettati in mare. Inoltre, bisogna tener conto che parecchie cifre
sono soltanto approssimative. Per esempio, il maggior numero di deceduti
durante la traversata si ebbe in un unico trasporto, quello del piroscafo Duca
di Genova, ma in tal caso i deceduti in mare sono indicati in “circa 300”, ufficialmente e prevalentemente morti per gastroenterite.
Furono complessivamente 20 i
trasporti, con 17 diversi piroscafi e una nave ospedale, la Re d’Italia. Solo il piroscafo Alighieri (*) e il Folkeston
effettuarono due viaggi. Vennero trasportati anche 100 profughi e “un borghese
di passeggio” (sic), nonché 488 feriti e malati italiani.
I medici di bordo dei piroscafi
ebbero a dichiarare che non vi erano malattie infettive (“diffusibili”) in
alcuna delle navi, e che i dieci prigionieri morti a bordo dell’America, uno a bordo del Cordova e due a bordo del Valparaiso, erano morti per esaurimento
e malattie comuni. Ma tutte queste diagnosi andavano poco in accordo con i
denunciati casi dissenterici e di “diarrea sospetta”, tanto più che come detto furono
centinaia i morti nel Duca di Genova (**).
I prigionieri arrivarono all’Asinara in uno stato deplorevole, molto denutriti e seminudi, dovuto alla lunga detenzione in Serbia. Naturale che moltissimi di loro fossero malati, estenuati e moribondi. L’epidemia più perniciosa e diffusa era quella colerica, ed è questo il motivo principale dei molti decessi in mare e poi all’Asinara, dove l’epidemia dilagò rapidissimamente, soprattutto nei campi organizzati a Fornelli (141 decessi solo tra il 4 e il 5 gennaio 1916) e Stretti (123 tra l’11 e il 12 gennaio), e ciò nonostante i prigionieri avessero effettuato a suo tempo in patria profilassi con iniezioni anticoleriche. Tuttavia, pur evincendo chiari sintomi (p. es. diarrea, crampi e barra epigastrica, più raro il vomito) non fu possibile stabilire ufficialmente con certezza le cause del morbo se non verso la metà di gennaio 1916 a seguito delle analisi effettuate su reperti clinici.
Ai pazienti furono somministrate
bevande di limonata, non meglio specificati tonici cardiaci, cognac e acquavite
a volontà, ma specialmente, quale “antibacillare”, vernaccia a 18° fornita
dalla società Vinalcool di Cagliari, quindi iniezioni di caffeina e olio
canforato (molto in uso all’epoca) e somministrazione di laudano. Se non altro,
forse, morirono sereni. Vi furono anche casi di tubercolosi, tifo e nifrite. Si
ebbero problemi sanitari anche per l’ingestione di bulbi della scilla marittima (cipolla di mare, molto abbondante nell’isola), una pianta dai fiori bellissimi ma i cui bulbi, specie se ingeriti freschi, sono velenosi tanto da venire usati come topicida.
Furono centinaia i soldati
prigionieri inviati per cure negli ospedali di Cagliari e di Sassari, il 17
marzo ne rientravano 100 di guariti. Gli inviati a Cagliari furono
complessivamente 571, a Sassari 65, e di questi al 22 aprile 1916 ne erano
rientrati 453, ne erano morti 78. Allo stesso giorno gli ammalati nei campi di
Fornelli, Tumbarino, Stretti, Campo Perdu e all’ospedale Cala Reale, erano
1.147. Da marzo si manifestarono anche dei casi di tifo esantematico, ma i
pareri dei medici furono discordi. Dal primo marzo al 22 aprile si ebbe una
mortalità totale di 305 uomini su una forza media giornaliera di 16.737, cioè
il 3,4 per cento al giorno.
Complessivamente si può dire che
ai prigionieri furono prestate le cure necessarie, tenuto conto del loro stato
di salute, dei mezzi sanitari disponibili all’epoca e della situazione di
guerra, e che anzi si provvide loro, superati la prima fase di difficoltà, con
molto scrupolo. Furono impiantati, con ottimi risultati, anche dei forni per il
pane, e costruite numerose infrastrutture e migliorati i collegamenti stradali. Non tutti però sono concordi con questa versione, specie a sentire l'allora capitano Giuseppe Agnelli che nel 1961 scrisse una controstoria (che però non ho letto).
Vi fu almeno un episodio di
tentativo di “eludere la vigilanza delle guardie”, a farne le spese fu il
sergente maggiore Tager, ucciso da una sentinella il 27 gennaio. Esisteva tra i
prigionieri, di diversa etnia, uno spirito di avversità che in qualche caso si
fece minaccioso, dovuto al fatto che nell’esercito austro-ungarico,
contrariamente alle leggi, era netta la distinzione ed assai diverso il
trattamento usato ai sudditi austro-ungarici in confronto a quello usato ai
sudditi appartenenti alle nazionalità crota, serba, slovena, ceca. Ciò spiega
bene anche il famoso episodio di Carzano del 1917.
Agli ufficiali, 637, fu riservato
un trattamento assai diverso da quello dei semplici soldati, infatti veniva
corrisposta loro una piccola paga, avevano cucine e vitto a parte. La loro
permanenza nell’isola fu però breve giacché, ad eccezione degli ufficiali
medici, vennero fin dai primi di gennaio trasferiti in massima parte a
Portoferraio e altri in Sardegna, al villaggio minerario di Monte Narba (qui, alla villa Madama, residenza del responsabile della miniera, e presso gli uffici tecnici, un maggiore austriaco, pratico di pittura, "affrescò con gusto". La miniera a quel tempo non era già più produttiva e vi si effettuava solo "ricerca").
Altre notizie, compresa quella di
cui ho fatto solo cenno all’inizio, al prossimo post (clicca qui).
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(*) Il piroscafo Dante Alighieri venne costruito nel 1914
dalla Società Esercizio Bacini di Riva Trigoso per conto della Società La
Transatlantica Italiana di Genova, fondata nello stesso anno succedendo alla
precedente Società Ligure - Brasiliana dell'On. Gavotti. Fu varato il 28
novembre 1914.
Prua verticale, due alberi, due
fumaioli.Stazzava 9.754 tonnellate. Lunghezza 153,48 metri, larghezza 18,10. Propulsione
a due eliche, velocità 16 nodi.Disponeva di alloggiamenti per 100 persone in
prima classe, 260 in seconda e 1.825 in terza.
Il 10 febbraio 1915 fece il
viaggio inaugurale sulla rotta Genova - Napoli - Palermo - New York e, superato
indenne il periodo della prima guerra mondiale, continuò sulle rotte atlantiche
ed iniziò l'ultimo viaggio su questa rotta nell'ottobre 1927.
Arrivò a New York il 5 novembre
1927 ed il 15 novembre ripartì per Lisbona - Napoli - Genova. Nel 1928 fu
venduto a una compagnia di navigazione giapponese che lo ribattezzò con il nome
di Asahi Maru. I due fumaioli furono
ridotti ad uno.
Il 5 dicembre 1944 fu seriamente
danneggiato in una collisione al largo di Bisan Seto nel Mar del Giappone.
Riparato e rimesso in mare, nel 1949 fu disarmato ed avviato alla demolizione
che avvenne in Giappone nello stesso anno.
(**) Il piroscafo Duca di Genova fu costruito nel 1907 dai
Cantieri Navali Riuniti della Spezia per conto del Lloyd Sabaudo.
Prua verticale, due alberi, due
fumaioli. Stazzava 7.893 tonnellate. Lunghezza 145 metri, larghezza 16,25. Motori
N. Odero & C. di Sestri Ponente. Sviluppava una velocità di 16 nodi. Poteva
ospitare 80 passeggeri di prima classe, 16 di seconda e 1.740 di terza.
Fece il suo viaggio inaugurale il
18 ottobre 1908 sulla rotta Genova - Napoli - New York. Il 29 ottobre 1912
iniziò l'ultimo viaggio su questa rotta. Al ritorno il Duca di Genova fu ceduto
alla Compagnia La Veloce e prese servizio sulla rotta del Sud America, per
passare successivamente alla Navigazione Generale Italiana. Il 27 settembre
1914 partì da Genova per un singolo viaggio per Palermo - Napoli - New York e
ritorno. Nel 1915 fece un altro viaggio sulla stessa rotta; nel 1916 ne fece
altri due, l'ultimo con partenza da Genova l'11 settembre 1916. Al suo ritorno
nell'ottobre 1916 il governo italiano requisì il Duca di Genova ed adibì il piroscafo al trasporto delle truppe.
Il 6 febbraio 1918, traversando il
Golfo del Leone, fu silurato dal sommergibile tedesco U 64 del Kapitänleutnant
Robert Morath ad un miglio da Cape Canet alla pos. 39°36’N – 00°11’O mentre era
in rotta da New York a Genova con un carico di merci varie. Il piroscafo,
danneggiato, riuscì ad arenarsi sulla costa ma venne irrimediabilmente perduto ed
affondò nelle acque di capo Canet davanti alla costa francese.
Dove vai a pescarew queste storie orginali e affascinanti?
RispondiEliminaAspetto il seguito.
domani, il prossimo parla di un oggetto volante "a forma di sigaro allungato" e del ritrovamento di quattro corpi. da una relazione del tempo. roba che scotta ...
EliminaNon si poteva parlare di tutto, in un giro di tre ore tra asini e cinghiali. E poi non tutti si appassionano a queste cose......
RispondiEliminaInfatti, nel primo post ho precisato:
EliminaMi risulta, invece, che l'ing. Pierpaolo Congiatu conosca molto bene la vicenda di cui qui per sommi capi si narra.
buon lavoro