La partita della sinistra
di Alberto Burgio, da il
manifesto di oggi (ampio stralcio)
Il discorso sul
capitalismo deve diventare subito la «narrazione» condivisa di tutta la
sinistra e la base reale delle sue opzioni pratiche. Solo così sarà possibile
uscire da quello che sempre più assomiglia a un catastrofico stallo
Di che cosa si può parlare oggi? Di
che cosa dovrebbe parlare la politica oggi? Di solito la politica parla di se
stessa. Schieramenti, alleanze, elezioni. Tutt'al più, programmi e decisioni.
Questa sembra la materia naturale, questo l'oggetto di un discorso serio della
e sulla politica. Infatti di queste cose si continua a parlare, in modo più o
meno decente e coerente. Mentre, coerentemente, si persevera in pratiche
consuete (nomine e spartizioni varie). E invece questo è precisamente il
discorso che non si può più continuare a fare, che non è più possibile fare in
questo momento.
Se soltanto si avesse un vago
sentore della gravità di quanto sta succedendo e dei rischi che stiamo
correndo, si metterebbe da parte l'ordinaria amministrazione per guardarsi
seriamente negli occhi. Che cosa ci dice questo scenario esplosivo (crisi
sociale, crisi finanziaria degli Stati, distruzione degli apparati produttivi,
ripresa dei nazionalismi e delle tensioni internazionali e intercontinentali),
mentre le classi dirigenti europee non accennano a ripensare le politiche praticate
da trent'anni, responsabili del disastro? Che cosa mostra, se non che questo
sistema sociale (modello di sviluppo e gerarchie di classe) ha generato non per
caso l'attuale situazione?
In particolare la sinistra - in
tutte le sue diramazioni - di che cosa dovrebbe occuparsi, se non del fatto,
sin troppo evidente, che sta all'origine di questa crisi generale? Il
capitalismo, lasciato solo, a mani libere, senza minacce né avversari, da oltre
vent'anni finalmente libero di plasmare il mondo a proprio talento, sta
ricreando puntualmente le stesse condizioni di caos e di conflitto
ingovernabile che hanno prodotto i conflitti mondiali. In questi vent'anni,
dalla guerra del Golfo alla guerra economica che sta spingendo l'Europa verso
un abisso, abbiamo vissuto immersi in un'ininterrotta sequenza di «scontri di
civiltà»: contro il Sud del mondo, contro le periferie del mondo capitalistico,
contro le classi lavoratrici. Stupefacente non è che di fronte a questo
scenario (di fronte al «fallimento dell'ordine economico mondiale», per
riprendere parole di Alfredo Reichlin, ormai un estremista nel suo partito) si
continui a parlare d'altro. Stupefacente è che si parli soltanto d'altro, forse
nell'illusione che tutto spontaneamente rientrerà nei cardini. In fondo non ci
si ripete da decenni che il mercato non ha bisogno di governo né di regole, che
basta a se stesso, che risolve da sé le crisi che produce?
In realtà, proprio questo rifiuto di
occuparsi dei fondamentali (che non sono quelli economici, definiti sulla base
dei presupposti ideologici del neoliberismo, bensì le ragioni ordinatrici del
rapporto sociale capitalistico), proprio questa rimozione dei problemi-chiave
(che riguardano le finalità della cooperazione sociale e le ragioni di fondo
che informano i rapporti di classe) è palesemente una concausa del perpetuarsi
dell'attuale condizione o, per lo meno, dell'incapacità di individuare una via
per sortirne senza correre il rischio di una distruzione generalizzata (mentre
la distruzione parziale di intere popolazioni è già nei fatti, oltre che
nell'agenda di classi dirigenti ciniche e irresponsabili). Non è forse così?
Questo vale a porre una domanda ai
compagni non comunisti della sinistra di alternativa. Oggi (da diversi anni, in
verità) è senso comune ritenere che il
comunismo sia ormai un residuato bellico. Chi ancora si ostini a definirsi,
nonostante tutto, «comunista» e a pensare in termini di classe e di
sfruttamento del lavoro salariato è considerato un po' scemo o stravagante: comunque un tipo da lasciar perdere, perché
non ha capito dove siamo e in che mondo viviamo, un po' come chi oggi
andasse in giro coi pantaloni a zampa d'elefante. Questo senso comune è diffuso
anche a sinistra e la cosa non stupisce. Molte ragioni aiutano a spiegarla. La
prima è che critiche al capitalismo su basi diverse dal classismo ce ne sono sempre
state (anche di destra, del resto). Il capitalismo genera (o eredita ed
esaspera) molteplici contraddizioni sistemiche e «strutturali» (non in senso marxiano).
Distrugge l'ambiente, per esempio, e radicalizza i conflitti di genere. Benché
l'analisi di queste contraddizioni rischi di rimanere monca se enucleata dal quadro di riferimento della «critica
dell'economia politica» (cioè dall'analisi del modo di produzione come
dispositivo-base della dinamica riproduttiva sociale), non è una novità che ci
sia anche una sinistra anticapitalista non marxista né comunista.
Una seconda ragione la indica lo
stesso Marx quando sostiene che «le idee dominanti sono quelle delle classi dominanti».
È il nòcciolo un po’ ruvido di quella problematica che Gramsci indagherà in
tutte le sue complesse articolazioni sotto il titolo di «egemonia». Insomma, nel rifiuto del comunismo pesa, forse,
anche la subalternità all'ideologia
dominante, che da vent'anni
(dalla caduta del Muro) o trenta (dall'imporsi dell'egemonia neoliberista) viene trionfalmente dichiarando obsoleta la
prospettiva della trasformazione nel segno della liberazione del lavoro dallo sfruttamento
capitalistico. Un'altra ragione - senza offesa per nessuno, ma senza
nemmeno eccedere in diplomazia – è l'opportunismo.
[…]
Lo si è detto tante volte: siamo
seduti su una polveriera, viaggiamo sul Titanic a poca distanza dall'iceberg.
Ma ormai non c'è bisogno di Cassandre per sapere che non si tratta di
esagerazioni. Per questo il discorso sul capitalismo - discorso concretamente
politico, che evoca un'agenda di misure tese a ribaltare il dominio dei
capitali sul lavoro e sulla società […]. Solo così sarà possibile uscire da quello
che sempre più assomiglia a un catastrofico stallo. Diversamente, non ci sarà
scampo per nessuno. E nessuno, di fronte al disastro annunciato, potrà un
domani rivendicare la propria pretesa innocenza.
... l'attuale capitalismo sta predisponendo le basi del futuro comunismo, ovvero più l'ultra capitalismo determinerà situazioni conflittuali e più queste faranno da fondamenta per la nascita di un neo comunismo.
RispondiEliminaOlivier
"...catastrofico stallo. Diversamente non ci sarà scampo per nessuno." Mi sembra una mezza verità. Sulla catastrofe, purtroppo, non c'è dubbio alcuno, ma che ci sarà dannazione per tutti, nutro invece seri dubbi. Il cambiamento vuole sacrifici, quello drastico li vuole ancora maggiori, e questo cambiamento è imposto da chi il potere lo detiene a livello mondiale. Chi ad esso è subalterno lo subisce pesantemente e cerca, piu' o meno consapevolmente, d'ostacolare e ritardare questa mutazione 'che il futuro è percepito essere certamente peggiore del gia' incerto presente. La sinistra storica, o quel che ne rimane, dell'analisi e dell'idea marxista ha fatto negazione opportunistica che è cosa diversa e piu' grave, di qualsiasi altro processo di rimozione politica razionale, non consentendo, in questo modo, a se stessa, la possibiltà di un ritorno all'unica strategia percorribile: quella dello scontro di classe organizzato e diretto. Le forze in campo, come non mai, sono dispari e non vedo che un possibile vincitore destinato a dominare sulle macerie. Dopo i giochi si riapriranno e qualcuno vedra'.
RispondiEliminaConscrit
probabilmente nessun vincitore
RispondiEliminaMi manderai affad'altro e me lo sarò meritato:
RispondiEliminaIn una scena di SuperMario bros Il principe rettiliano di questi tipi che vivono sottoterra prova su due scemi una medicina che fa diventare intelligenti;scena seguente,i due vengono scortati verso la galera mentre fanno proclami di lotta per la liberazione del proletariato dall'oppressione capitalista."Funziona!" -dice il principe trionfante.
Basterebbe un piccolo coriaceo prolungato sciopero bianco nell'ambito dei nostri due lavori-produttore e consumatore-per cambiare le nostre sorti,anche se restiamo nel mero orizzonte rivendicativo,è che manca la medicina o-nella migliore delle ipotesi e sempre se la miseria non produrrà altro abbrutimento-è ancora troppo poca.