Era il 22 luglio 1944 quando i delegati di 44 paesi
lasciarono il Mount Washington Hotel
di Bretton Woods, un villaggio del comune di Caroll, contea di Coos (New
Hampshire), con il primo esplicito accordo internazionale sulle regole dei
pagamenti tra paesi. Gli obiettivi principali erano la crescita bilanciata del
commercio internazionale, promuovere la stabilità dei cambi e la riduzione
degli squilibri delle bilance dei pagamenti. Keynes credeva nella pietra
filosofale, il bancor, così come poi
in Europa si crederà, almeno inizialmente, alle virtù taumaturgiche dell’euro.
Invece del bancor fu adottato il
dollaro convertibile a 35 per oncia e con il FMI che avrebbe dovuto provvedere
agli aggiustamenti dei tassi di cambio. Dopo l’agosto 1971, il dollaro divenne
a tutti gli effetti per gli Usa un mezzo di scambio “gratuito” e illimitato
garantito dai missili e dalle portaerei, una forma di signoraggio questa sì
reale.
A distanza di quasi 70anni, e dopo la caduta del
famoso Muro, il capitalismo globale ha creato una catastrofe a livello globale
con un forte e insostenibile squilibrio delle bilance dei pagamenti, debiti
statali stratosferici e una speculazione finanziaria che fa semplicemente ciò
che vuole. Ancora una volta nella storia si ignora tranquillamente il fatto che
denaro e moneta non sono la stessa cosa, convinti di poter stampare
all’infinito carta inconvertibile, ma prima o poi ci si dovrà arrendere ai
fatti, per esempio a quello che vede le banche ricolme di carta senza valore e
quindi di debiti che non possono onorare.
Per quanto riguarda invece la produzione, essa si
contrae anche in Cina, India e Brasile, nonché in Germania e anche negli Usa sta rallentando (vedi Federal Open Market Committee). In
Italia la produzione è in caduta libera, anche se il commercio con l’estero
fino all’anno scorso ha dato buoni risultati. Per fine anno si parlerà di una
nuova fase acuta della crisi e del resto i nodi restano irrisolti a cominciare
dal forte e insostenibile squilibrio delle bilance dei pagamenti.
La Cina è costretta a comprare debito pubblico
americano (è poi il paese che detiene la più alta riserva in dollari) per
sostenere le proprie esportazioni verso gli Usa, ma fino a che punto questi
ultimi potranno indebitarsi? Circa 14.000 miliardi di dollari (escluso il
debito locale e quello bancario), non sono pochi nemmeno per gli Usa. E infatti
la Cina sta gradualmente riducendo i titoli Usa in portafoglio, così come
Russia (-15,00%), India (-23,44%), Malesia (-12,00%) ed altri. La lotta sul
mercato internazionale dei titoli del debito pubblico condotta dagli americani
e dagli inglesi va vista anche in questa prospettiva.
Fatto singolare, anche l’Italia detiene una ventina
di miliardi del debito Usa e perfino la Spagna, in profonda crisi e bisognosa
di soldi ha più che triplicato gli aiuti agli Usa: dai 4,20 miliardi di dollari
del dicembre 2008, è passata ad avere titoli del debito Usa pari a 13,50
miliardi! La Polonia, altro esempio, dai 3,30 miliardi di dollari in titoli
Usa, del dicembre 2008, è passata ad avere 23,40 miliardi, a marzo 2010.
Tanto per dire chi comanda.
Tanto per dire chi comanda.
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