domenica 8 aprile 2012

Orca alla mugnaia


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Ieri sera ho sentito in tv una tipa dire che i suoi due primi libri (presentava il terzo) hanno venduto complessivamente 2.000.000 (duemilioni) di copie. In Italia! Ho pensato: a fronte di tali dati di vendita come si fa a parlare di perdita di centralità della lettura come «percorso di formazione indispensabile per gli individui»? Quindi, assecondando la mia curiosità, ho arrestato il passo e seguito l’oracolo televisivo per capire di cosa si trattasse, di quale nuovo fenomeno editoriale, linguistico e culturale in grado di sovvertire l’inarrestabile declino del libro. E mentre guardo Fazio Fabio chiedendomi, tra l’altro, quale rapporto privato possa egli intrattenere con l’oggetto semiotico che sta reclamizzando, scopro che i milioni di copie vendute dalla prolifica scrittrice si riferiscono a due ricettari di cucina.

La prima domanda che mi pongo, non nuova per la verità, è: perché abbiamo sbagliato così clamorosamente in gioventù e soprattutto perché non ci vogliamo rassegnare al cambio di passo di questo mondo? La seconda: quando oggi si dice che i sensi vengono adoperati in modo sinestetico, forse ci si riferisce a questo genere merceologico? Non sono tra i nostalgici di Horcynus Orca e tantomeno delle Lettere di Natale del cardinale Martini, ma una cosa è certa: si legge e si mangia sempre più alla stessa mensa e la medesima merda. Buona pasqua comunque a tutti.

8 commenti:

  1. Concordo :)
    Buona Pasqua anche a Te.

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  2. oh Francy, che bella sorpresa di pasqua. grazie, anche a te

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  3. Buona pasquepasquetta, Olympe. Forse per contraddizione rispetto allo spirito dei tempi, ogni tanto consulto il vecchio Ricettario Carli della nonna (fornitori della Santa Sede e della Real Casa, mica robetta per teledipendenti decerebrate).

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  4. buona pasquepasquetta, Popinga. e le salse dell'artusi?

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  5. si potrà mica mettergli in allegato che so, un saggio, con 50 centesimi di sovrapprezzo?

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  6. Leggo solo oggi (il 27 agosto 2013) il post che cucina à la olympe orche, fazi, malvezzi. Visto che il piatto è ricco, perché amalgama una varietà di ingredienti di mio gusto, mi prendo la soddisfazione di aggiungergervi qualcosa di mio, così: per sfizio.
    Letto il post, capisco che il punto è, più che nei gusti culinari, nei gusti librari (e televisivi) di noi italiani del 2000. Trovo nella provvida rete circa 20 minuti di FabioFazio, Parodi, Cracco. Gli sguardi di FabioFazio non mi inducono a pensare a qualche liaison “privata” tra lui e gli oggetti semiotici che pure reclamizza. FabioFazio alla fine è come Berlusconi (anche lui!): potrebbe, anzi dovrebbe, vendere pentole. Nello specifico, vendeva un paio di libri, uno del Cracco e uno della Parodi (o più di uno a testa, non saprei). I due, frattanto, con garbo salottiero (innegabilmente, insieme a un'insopportabile superficialità, la cifra del fabiofazzismo televisivo), si esibivano in banalità, quando non assurdità: una magnificava il potere temporale dei dadi, l'altro “latouchava” col mangiare poco, mangiare meglio (“meglio”, non “tutti” e se qualcuno dirà che è lo stesso, io dovrò stendergli un'altra lenzuolata come questa), col seguire le stagioni, col cuoco che non mangia quello che non c'è, ma fa con quello che offrono i mercati e le stagioni e a casa sua ha solo formaggio e salame. Mi sembra che il Cracco partisse dalla confusione fra cibi conservati e cibi manipolati (non sempre è lo stesso), come se salame e formaggio non fossero rispettivamente, nonché manipolazioni, tentativi ben riusciti di conservare carne di maiale e latte. Certo glutammato monosodico fa più paura di sale e pepe, ma bisognerebbe leggere fino in fondo anche l'etichetta del salame per non parlare di quella del formaggio.

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  7. Segue...Quanto alle operazioni di commercio e smercio di libri, direi che ogni epoca in ogni nazione ha avuto le sue. Lo stesso Artusi, di cui si magnificano le salse, fu un artigianale sperimentatore culinario e un accorto venditore per corrispondenza dell'opera sua alla quale, certo illustre cuoco fiorentino, Louis Monod, replicava con un manualetto di cucina “professionale” non prima di aver apostrofato il povero Pellegrino col titolo di “signorino Biascintingoli”, cioè di non-addetto-ai-lavori, dilettante. Che lavoro facesse Pellegrino non lo so, so che era uno “scapolo freddino”, che avrebbe dedicato il suo best-seller ai suoi gatti Biancani e Sibillone (parola dl compianto Aldo Santini), che sperimentava le sue ricette a casa sua, con l'aiuto di una cuoca (la Marietta) e di un cameriere (il di lei marito), non trovò editori per il suo libro, lo fece stampare a sue spese e, come dicevo, se lo distribui da solo, per posta. E non mi si chieda tutto questo coi soldi di chi: forse suoi, se poté darsi a tali onesti diporti . Era circa il 1890. Il libro ebbe successo come manuale di cucina, piacque nelle case ricche dove certo non era compulsato dalle padrone, ma dalle serve e alle serve, proprio mentre furoreggiavano, con cinquant'anni di ritardo, i toscani e i toscanisti, sciacquava in Arno i panni con il toscano-fiorentino delle “classi colte”. Più che per i contenuti, talvolta notevoli, talvolta no, della sua opera l'Artusi, come Collodi o De Amicis e poi Vamba e Yambo (quello di Ciuffettino), vale come veicolo linguistico. Rispetto a certe sue mende il tempo lo ha ampiamente riabilitato: oggi (almeno per quelli della mia generazione) è il manuale della “cucina materna perduta” (definizione del prefatore di una delle innumerevoli edizioni moderne dell'opera) o, almeno, una certa madeleine e questo anche se le cucine “materne” e relative memorie e/o madeleine l'Artusi ha in parte contribuito a distruggerle, semplicemente uniformandole.
    Quello che viene da chiedersi è quanto, da sempre, venga fatto filtrare nei libri della cultura popolare. Quanto i libri siano “organici” all'unica classe che può permettersi di produrli, distribuirli e conservarli. Quanto avesse ragione Ranuccio Bianchi Bandinelli che la cultura materiale (se non popolare, e chissà – e questa non è una domanda retorica - se le due cose si identificano) andava a cercarla armato di cazzuola sotto numerosi strati di polvere. Viene da chiedersi, se un editore è un capitalista, perché non dovrebbe far soldi con i libri e perché il miliardario FabioFazio (che guadagnò un miliardo per stare un anno lontano dalle telecamere), non dovrebbe aiutarlo in questo, insieme al Cracco e alla Parodi (e forse anche alle orche).

    Saluti
    Ale

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    Risposte
    1. sul glutammato:
      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2013/01/de-gustibus-non-est-disputandum.html

      ricambio i saluti

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