"Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi".
Ascolto i vaniloqui di politici e tecnici di questi giorni. È quasi un trionfo, già si immaginano le sorti magnifiche e progressive per le elezioni del 2013. Diamo tempo al tempo, perché sulla sagacia vaticinante dei grandi statisti italiani ci sarebbe molto da dire. La storia offre sempre buoni esempi per leggere l’attualità. Ho sottomano un articolo pubblicato sul Popolo d’Italia del 31 ottobre 1917 a firma di tal Mussolini Benito che esordisce così: Un popolo degno di un grande avvenire ha – specialmente nelle ore critiche della sua storia – il coraggio di guardare in faccia alla realtà nei suoi aspetti negativi e positivi.
Ci sarebbe da soggiungere: e tuttavia tale coraggio non riesce a scorgere i lestofanti che si alternano al comando. Leggo ancora la prosa guerresca: Ora, l’aspetto “negativo” della realtà attuale della quale noi siamo al tempo stesso attori e spettatori, può essere sintetizzato nei termini seguenti: da invasori siamo invasi. Pochi giorni di offensiva austro-tedesca hanno annullato, almeno in un settore del nostro fronte, i risultati di due anni di guerra paziente, tenace, eroica che aveva commosso d’ammirazione il mondo.
Oltre due anni di assalti frontali folli – in ossequio allo “studio” pubblicato alcuni decenni prima dal comandante supremo – erano costati centinaia di migliaia di morti, e avevano condotto – tra l’altro – al crollo morale e all’usura dei combattenti (ufficiali e soldati), due anni di carneficina che venivano accolti e quasi derisi in Francia e altrove, come scaramucce.
Prosegue il Mussolini: Come ciò sia avvenuto, e perché sia avvenuto, è questione che vedremo poi.
In realtà la questione era urgentissima e nelle sue cause e nelle sue responsabilità personali era ben chiara al nuovo stato maggiore che di lì a qualche giorno si sarebbe insediato. Ma ciò che mi preme evidenziare è il seguente impegno del Mussolini:
Ci sarebbe veramente da disperare di noi stessi, se a tormenta passata, non avessimo il coraggio di indagare le responsabilità e stabilire le sanzioni necessarie.
Infatti, uno dei maggiori responsabili della rotta di Plezzo e Caporetto fu il generale Pietro Badoglio. Pagò assai caro: infatti divenne il vice di Diaz e in seguito, proprio l’allora direttore del Popolo d’Italia, divenuto capo del governo e duce di otto milioni di baionette, gli affidava il governatorato della Libia, poi il comando della campagna d’Etiopia (Badoglio ne divenne Viceré), quindi quello dell’Esercito. Con relative promozioni e benemerenze. Il resto è ben noto, meno invece il tentativo di processarlo come criminale di guerra, sventato dagli inglesi. Tutt’ora una località italiana porta il suo nome.
Scriveva ancora nell’articolo il più grande statista italiano del ‘900: All’interno, il colpo di austro-tdesco-tartaro, è completamente mancato. I nemici spreravano molto nell’aiuto che avrebbero ricevuto dagli italiani stessi. Ma l’Italia non è la Russia. […] Roma non ha due secoli di vita come Pietrogrado. Il nostro temperamento ci porta a valutare l’aspetto concreto dei problemi, non già le loro sublimazioni ideologiche o mistiche.
Infatti, mutatis mutandis, un quarto di secolo dopo, la Pietrogrado citata nel 1917 da Mussolini, divenuta Leningrado, resistette accerchiata dalle truppe dell’Asse dal settembre 1941 al gennaio 1944, pagando con 900mila morti tra i civili.
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