“Bisogna diffondere l’ignoranza,
così anche l’acqua calda sarà una
emozionante scoperta” (Altan).
Oggi avevo intenzione di scrivere della morte del noto cantante ed entrare così nel dibattito sulla sua (ex) vita sessuale. Invece altri pensieri più prosaici (le persone cassaintegrate sono aumentate solo del 49,1 %) mi portano a scrivere di Sergio Marchionne e delle fobie di sindacalisti e giornalisti che “ci stanno”.
Il nostro metalmeccanico, retribuito in stock grant, lamenta che in Europa e in Italia c’è un eccesso di capacità produttiva. La doglianza non riguarda, come tutti sappiamo, solo il settore auto. Questa notizia in un sistema economico razionale sarebbe accolta con manifestazioni di giubilo. Per un semplice motivo, perché ciò comporterebbe, da un lato, la riduzione o la diversa allocazione degli investimenti in eccesso (facendo contenti anche i “decrescisti”) e, dall’altro, la riduzione della giornata lavorativa, liberando tempo di vita.
Come molti fingono di non sapere, scopo del capitalista non è quello di produrre “beni” e nemmeno merci. Per Marchionne produrre auto o carri armati sarebbe uguale (anzi, preferirebbe le commesse statali se queste dessero una domanda adeguata). Invece lo scopo dominante della produzione capitalistica (oltre che riprodurre il rapporto capitalistico stesso) e quello ossessivo del singolo capitalista è il profitto, e del resto lo stesso processo lavorativo non è altro che un mezzo del processo di valorizzazione.
Pertanto, il lamento dei vari Marchionne è in contraddizione con i fatti reali. Siccome solo il lavoro ha la capacità di valorizzare il capitale, non è la sovra-capacità produttiva che si vuole diminuire, ma viceversa ogni capitalista punta per sé ad aumentarla per poter incrementare i propri profitti. Infatti, il capitalista nota, non senza raccapriccio, che il saggio del profitto tende a ridursi quanto più si sviluppa il movimento decrescente della parte variabile (salari) rispetto a quella costante (strutture, macchinari, materie prime, ecc.). Per combattere la tendenza, giustappunto, egli non ha altra strada che aumentare il saggio di sfruttamento del lavoro. Ecco allora che porta il proprio capitale dove il lavoro costa meno, lo sfruttamento è più elevato e il ricatto padronale più facile. In definitiva ciò che agita i sonni di Marchionne è la stessa legge che tormentava i capitalisti d’antan.
Gli idioti sostengono che Marx è superato, che il capitalismo al quale egli rivolgeva la sua analisi era quello inglese del XIX secolo. E invece poi si scopre che la questione è sempre la stessa e che il capitale si comporta al medesimo modo perché sottoposto alle leggi della valorizzazione. Oltretutto tale stato di cose dimostra – come rileva Marx – che “l’estensione della produzione e la valorizzazione” entrano in conflitto. Dimostra anche il fatto che questo modo di produzione non solo non è in grado di eliminare le sue crisi cicliche, ma come a un certo stadio del suo sviluppo la crisi diventi organica, generale e persistente.
Inoltre, come osserva sempre Marx, «In queste condizioni, il profitto (e non più soltanto quella parte del profitto, l’interesse, che trae la sua giustificazione dal profitto di chi prende a prestito) si presenta come semplice appropriazione di plusvalore altrui, risultante dalla trasformazione dei mezzi di produzione in capitale, ossia dalla loro estraniazione rispetto ai produttori effettivi, dal loro contrapporsi come proprietà altrui a tutti gli individui realmente attivi nella produzione, dal dirigente fino all’ultimo giornaliero». Ed è ciò che avviene sotto i nostri occhi tutti i giorni.
* * *
Chiamo capitale costante (c) gli investimenti in strutture, macchinari, materie prime, ecc.; chiamo capitale variabile (v) il salario pagato agli operai; chiamo saggio del plusvalore (pv) la parte del valore prodotta in eccedenza dal lavoro rispetto alla quota salariale (v). Per comodità di esempio suppongo che il saggio di sfruttamento o del plusvalore (pv) sia sempre uguale, ovvero il 100% (ciò significa che gli operai fanno un lavoro necessario per il proprio salario di durata uguale a quello che fanno per il capitalista: se in un giorno producono per il proprio salario un plusprodotto di 1.000 euro, ciò significa che il valore prodotto complessivamente è di 2.000 euro).
Tale saggio del plusvalore (fatto pari a 100%) si esprime però con saggi del profitto (p’) molto diversi a seconda della diversa entità del capitale costante (c) e quindi del capitale complessivo (C).
Se c = 50, v = 100, il saggio del profitto (p’) = 100/150 ossia a 66 e 2/3%;
Se c = 100, v = 100, il saggio del profitto (p’) = 100/200 ossia a 50%;
Se c = 200, v = 100, il saggio del profitto (p’) = 100/300 ossia a 33 e 1/3%;
Se c = 300, v = 100, il saggio del profitto (p’) = 100/400 ossia a 25%;
Se c = 400, v = 100, il saggio del profitto (p’) = 100/500 ossia a 20%.
Questo dimostra che per effetto dell’aumentata produttività sociale del lavoro, aumenta il capitale costante (c) in rapporto al capitale variabile (v), e ciò comporta, restando immutato il grado di sfruttamento, la diminuzione del saggio del profitto.
Questo dal lato del valore, ma la faccenda andrebbe analizzata anche dal lato della materia, come grandezza fisica dei mezzi di produzione (Mp) relativamente alla forza-lavoro che li attiva. Ma non è il caso che annoi il lettore anche con questo esempio.
E chi s'annoia?
RispondiEliminaPersonalmente è da decenni che provo
disgusto a sentir dire che Marx è superato,
che bisogna guardare al mercato.
Al disgusto si aggiunge poi un'imponente
incazzatura, quando queste pirlate escono
dalla bocca da chi sta a sinistra, e ha costruito
le proprie fortune, privilegi e poteri in nome di tanti che hanno lottato, hanno perso il lavoro, sono finiti in carcere o peggio.
Grazie Olympe!
gianni
Ottimo post, talmente chiaro che solo chi non vuol vedere non vede.
RispondiEliminaHai visto per caso Presa diretta domenica sera? la parte dello sfruttamento mostrato in India non ti è sembrato la rappresentazione visiva del Libro primo sezione III del Capitale?
Lo stavo proprio in quei giorni e m'ha fatto grossa impressione.
Io non mi annoio, anzi. Il problema è tradurre in azione politica per le "masse" questa teoria, ovvero come riuscire a far sì che dal «dirigente fino all'ultimo giornaliero» sia trovata unità d'intenti per rivoluzionare il sistema. In buona sostanza: il dirigente (Marchionne) è un superpagato paladino del sistema; il giornaliero vive rassegnato in attesa del 6 al superenalotto o delle promesse dei vari berlusconi di turno.
RispondiEliminaMi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensi
RispondiEliminahttp://www.conflittiestrategie.it/2012/03/06/a-proposito-di-alcune-presunte-filosofie-anticapitalistiche/
rispondo dopo. ciao
RispondiEliminaa maurizio: 1) ho visto in parte il programma e ciò non fa che confermare le comuni preoccupazioni; finirà male, molto male. 2) non avevo ancora letto il post di tozzato che condivido. del resto nella mia molto più modesta perosa ho scritto spesso di queste cose
RispondiEliminaa luca: marchionne non è il tipo di dirigente cui allude marx. marchionne non è un salariato di alto livello tecnico, è un azionista e un proprietario, un esperto di finanza e non di produzione. al momento non c'è alcuna condizione per l'azione politica e tanto meno per l'unità d'intenti. la sconfitta storica subita peserà ancora e solo dio sa a cosa andiamo incontro.
Volevo capire se il suo punto di vista su Negri e C. è condiviso anche da te.
RispondiEliminaparola per parola
RispondiElimina:)))
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