mercoledì 3 novembre 2010

Cadorna, il Napoleone de noantri /5



[Segue]


Data la concezione tattica, il carattere impermeabile di Cadorna ad ogni argomentazione contraria, considerata la situazione sul terreno e le indubbie difficoltà a superare gli sbarramenti trincerati austro-ungarici, il bagno di sangue fu una conseguenza inevitabile. Del resto sugli altri fronti europei le cose non andarono molto diversamente, segno di una mentalità e un atteggiamento comune presso gli alti comandi alleati. Ciò che lascia sgomenti sono le modalità della carneficina, gli inutili assalti contro le mitragliatrici, in campo aperto, armati, almeno all’inizio, solo di moschetto. Inoltre le condizioni di vita erano al limite della sopportazione per l’assenza di logistica, di servizi essenziali e un minimo di organizzazione.
Il tratto distintivo di Cadorna, comune in genere in molti ufficiali di carriera, era il disprezzo per la vita miserabile e sofferta dei proletari in divisa mandati con noncuranza a morte certa. L’episodio del fiume Timavo, raccontato da Thompson nel suo libro, e che vide protagonista quello psicopatico di D’Annunzio, poeta del massacro, è solo un esempio tra mille consimili, ossia dei tanti sadismi mistici che si compirono in nome della patria, dell’onore e balle varie.
Sul Monte Gabriele vi furono 25mila morti in una sola battaglia, il fuoco fu così intenso che la montagna perse dieci metri, eppure Cadorna di notte dormiva sonno pieno e tranquillo.
È in tale frangente che «apparvero i difetti costituzionali della sua [di Cadorna] mente e del suo carattere», scrive Gatti a p. 424, sicuramente aggravati dalla dittatura di fatto che in quel momento esercitava anche sul fronte interno, sostenuto da una stampa strettamente sorvegliata e sotto stretta censura.
Oltretutto Cadorna aveva una totale “mancanza di facoltà politica” (p. 357) e dato il suo “carattere che predomina sull’intelligenza […] non era nemmeno un uomo che sapeva vedere le grandi questioni d’Europa” (p. 360), per cui il suo potere assoluto, la sua ostinazione, riuscivano ad alzare tante barriere quante ne voleva e poteva. Lo scontro con i vertici istituzionali e il Parlamento fu inevitabile e aspro.
Arrivò la disfatta di Caporetto, ovviamente non voluta da Cadorna, ma nemmeno evitata. Vi concorsero tutti gli elementi e le situazioni, non ultimo il comportamento di Badoglio, la cui carriera era stata fulminea, da tenente colonnello a generale nel giro di un anno. Egli ritardò di ben dodici giorni di far eseguire gli ordini di Cadorna sulla disposizione delle truppe nel settore dove poi il nemico sfondò. Badoglio aveva ordinato che il fondovalle venisse “custodito” anziché difeso da un contingente minimo. Inoltre – come scrive Thompson – ordinò al comandante dell’artiglieria di corpo d’armata di non aprire il fuoco senza il suo ordine. Intorno alle 2.30 del 24 ottobre il comandante richiese il permesso di sparare per contrastare l’offensiva nemica, ma gli giunse il rifiuto. 

Stava crollando il fronte, e tuttavia quel mattino, come di consueto, Cadorna, dopo aver fatto colazione con latte, caffè e savoiardi con il burro, scrive la lettera giornaliera alla famiglia (Thompson, p. 319). La sera stessa, Gatti vide Cadorna “tranquillo e sorridente (Thompson, cit., p. 326). Nelle ore cruciali non mancò di diramare un ordine del giorno: «Chiunque non senta di dover vincere o cadere con onore sulla linea di resistenza, non è adatto a vivere».

Nessun commento:

Posta un commento