«La verità non sarà mai saputa
veramente;
da che parte il diritto, nemmeno;
da che parte la giustizia, meno ancora:
dove ci sono passioni non c’è nulla di
quelle tre cose»
(A. Gatti, Un italiano a Versailles, p. 283).
Versailles, seconda decade dicembre 1917. Nella villa
Béthune, un magnifico palazzo costruito da pochi anni nell’omonima via appena
fuori città, si serve la prima colazione. Il Generale, come già faceva nella
sede di Udine, vi provvede con caffellatte e biscotti.
Dopo colazione, dalle otto e mezzo fino alle nove, il
Generale esce a passeggio, accompagnato dal suo ufficiale d’ordinanza. Con
passo pesante, il bastone, i capelli bianchi ed il cappottone che svolazza e s’attorciglia
alle gambe. Alle nove in punto, seguito dai suoi ufficiali, si avvia verso
l’albergo Trianon, sede il Consiglio
di guerra interalleato.
È molto meticoloso il Generale, spacca il minuto, un
maniaco della puntualità, dell’esattezza. Di là a qualche giorno, nel mezzo di
un’importantissima discussione del Consiglio di guerra, cominciò ad innervosirsi,
a muoversi, e disse rivolto ai presenti: «Sono già le dodici, che cosa stiamo a
fare? Mi fanno ritardare la colazione!».
È nevicato copiosamente, il vento spazza le strade e
gli amplissimi viali sotto un cielo è terso. La piccola città è tranquilla,
raccolta e pensosa. Soltanto nella piazza del mercato e nei vecchi quartieri di
via della Passione o di Saint-Pierre, la vita pulsa un po’ più freneticamente.
Il Generale e i suoi ufficiali sono accolti dal
comandante Marsollet, custode e governatore del palazzo; compaiono dei soldati
e i gendarmi francesi si schierano a rendere gli onori all’ospite. La missione
italiana sale al secondo piano, destinatole per metà; l’altra è per gli
americani, mentre il primo piano e diviso tra gli ufficiali francesi e quelli
della missione inglese.
La missione italiana è giunta a Versailles da pochi
giorni, partita da Torino, in treno ovviamente. Durante il tragitto è stata testimone
egli esiti del disastro ferroviario accaduto pochi giorni prima, quando un
convoglio di soldati francesi e inglesi inviati in licenza ai loro paesi dalla
Macedonia e dall’Italia, deraglia nell’uscire dal villaggio di
Saint-Michel. Le carrozze si sono
incendiate e 450 dei 1500 soldati sono morti; altri 400 sono rimasti gravemente
feriti o sono impazziti.
La missione svolge il suo compito secondo gli orari stabiliti:
dalle 9 alle 12 in ufficio, quindi la colazione; poi dalle 15 alle 19.30 ancora
in ufficio, segue la cena. È lo stesso regime di Udine, presso il Comando Supremo
dell’esercito. Fino al novembre 1917, l’autocrate era il generale Luigi
Cadorna.
Nel comitato riunito a Versailles (sulla carta un
organismo importantissimo) prevaleva un senso di “idilliaca pace”. Un consesso
che discuteva con poca energia e una palpabile sfiducia, esprimeva pareri, e
basta. Non aveva effettivi poteri, non comandava e nemmeno amministrava: non
riuscivano nemmeno a mettersi d’accordo, le varie delegazioni, per la colazione
in comune.
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