Le biografie, specie quelle relative a Marx e di Engels (assai rare quelle dedicate a quest’ultimo) è necessario prenderle con le pinze, per ovvie ragioni. Raro, per esempio, imbattersi in un gioiello come la biografia intellettuale di Marx scritta da Siegbert Salomon Prawer: Karl Marx and World Literature (1976) tradotta da Garzanti con il titolo, ben azzeccato, di La biblioteca di Marx (1978). È invece più frequente imbattersi in lavori assai scadenti, di elevata incompetenza, quando non manifestamente opera di professionisti della falsificazione. È questo il caso di Tristram Hunt, un maldestro mistificatore che passa per essere uno storico e giornalista inglese, esponente del partito laburista, cioè di quanto c’è di peggio in circolazione, il quale si è preso la briga di scrivere una biografia dal titolo: La vita rivoluzionaria di Friedrich Engels. Il titolo originale di questo saggio diffamatorio è però rivelatore dell’atteggiamento pregiudiziale di Hunt: The frock-Coated comunist: The revolutionary life of Friedrich Engels.
Ci sono buoni e abbondanti motivi di critica e d’indignazione per ogni pagina, per ogni frase, di questo libro, ma mi voglio soffermare su un brano in particolare, contenuto nel sesto capitolo a pagina 197, poiché rende bene il ridicolo di cui non si cura Hunt e il livello di sciatta falsificazione di questo chiacchierone inglese.
«Engels – avrebbe scritto in una sua lettera a Marx del 2 agosto 1862 – una minuziosa analisi delle differenze tra capitale costante (macchinari) e capitale variabile (forza lavoro) e della teoria del plusvalore, ancora in erba, che sarebbe poi diventata, nel Capitale, il pilastro della sua spiegazione di come i capitalisti ricavassero dei profitti sfruttando la manodopera dei lavoratori».
Chiunque abbia la minima dimestichezza con l’economia politica, può trarre da tale affermazione il congruo giudizio che Hunt è un asino, un grandissimo e ragliante asino che insegna al Trinity College di Cambridge. David Ricardo, per esempio, in contrapposizione ad Adam Smith e pur esprimendosi con una diversa terminologia elaborò nettamente la determinazione del valore della merce mediante il tempo di lavoro, solo che si limitò ad affermare la determinazione della grandezza del valore mediante il tempo di lavoro soltanto relativamente alle merci prodotte nell’epoca della grande industria. Marx andò oltre alla determinazione ricardiana e pervenne infine al concetto di plusvalore quale lo conosciamo dalle sue opere di critica dell'economia politica. Inoltre, non aveva bisogno di alcuna spiegazione in merito da parte di Engels (né questi si sarebbe sognato una tale necessità), e per farsene una ragione basta leggere Per la critica dell’economia politica, capitolo primo, La merce, pubblicato nel 1859, laddove tutto è già ben delineato, compreso il concetto di plusvalore, per chi voglia farsi una cognizione di causa.
Inoltre, Hunt, finge di non sapere che la monumentale opera di critica e di spoglio degli economisti classici compiuta da Marx e pubblicata postuma in tre volumi dal titolo eloquente di Teorie sul plusvalore, fu scritta tra il gennaio 1862 e il luglio 1863, ed è parte di un più ampio manoscritto iniziato nel 1861. Come se ciò non bastasse, nei due famosi volumi noti come Grundrisse, si descrive per esteso: processo lavorativo e di valorizzazione, plusvalore assoluto e relativo, plusvalore e profitto. Il manoscritto fu redatto da Marx tra il luglio 1857 e il febbraio-marzo 1859.
Come tutti gli apprendisti stregoni, Hunt non si accontenta mai dei suoi strafalcioni, delle sue intemerate falsificazioni, punta a vette sempre più alte. Scrive subito dopo:
«Engels rispose a tono alle inchieste filosofiche [sic!] dell’amico e fu lui, in una decisiva lettera del 26 giugno 1867, a rivelare per la prima volta una delle più sconcertanti lacune economiche dell’intero sistema marxista, in particolare il fatto che la teoria dell’amico non teneva conto del plusvalore prodotto dai macchinari [sic!!!], né replicava alle critiche di coloro che si limitavano a equiparare il valore della manodopera e quello del salario pagato dal datore di lavoro: «“Se il capitalista paga al lavoratore soltanto sei ore sulle dodici lavorate, nessun plusvalore può essere prodotto, perché in questo caso ogni ora di lavoro dell’operaio conta solo come mezza, cioè quanto è stato pagato, e dunque il valore del prodotto lavoro comprende solo quello”. Per quanto questa argomentazione possa essere di una superficialità atroce, sosteneva Engels “trovo comunque sorprendente che tu non l'abbia ancora presa in considerazione, perché di sicuro è un obiezione che ti troverai davanti ed è meglio anticiparla”. La risposta di Marx, poco soddisfacente – secondo Hunt –, fu che quella critica non poteva essere adeguatamente trattata “prima del terzo libro […] Se volessi evitare in anticipo qualsiasi obiezione dovrei distruggere l’intero metodo dialettico”».
La falsificazione è palese e volontaria, premeditata e pacchiana. Scrive Engels nella lettera:
«Per quanto orribilmente superficiale sia tale argomento, per quanto identifichi valore di scambio e prezzo, valore del lavoro e salario, per quanto assurda la sua premessa che l’ora di lavoro entri solo per mezz’ora nel valore, qualora venga pagata solo mezz’ora, tuttavia mi meraviglio che tu non l’abbia ancora preso in considerazione, perché con tutta certezza ti verrà subito posto innanzi, ed è meglio che venga eliminato in precedenza. Forse vi torni sopra nel prossimo foglio di stampa».
Infatti Il Capitale era già in corso di stampa e Marx non se la sentiva di correre dietro ad ogni “orribile” ed “assurda” obiezione degli “economisti volgari”. E dei loro tirapiedi come Hunt, possiamo aggiungere.
Marx, nella sua lettera del 27 giugno, risponde da par suo, smontando in una sola frase l’obiezione che scoprirebbe “una delle più sconcertanti lacune economiche dell’intero sistema marxista”:
«Per quanto riguarda gli immancabili dubbi dei borghesucci e degli economisti volgari (che naturalmente dimenticano che se computano il lavoro pagato sotto il nome di salario, computano quello non pagato sotto il nome di profitto, ecc.), essi si riducono, espressi scientificamente, alla domanda: come si trasforma il valore della merce nel suo costo di produzione ….».
Il resto della risposta si trova nel vol. XLII della MEOC. Ad ogni buon conto Marx scrive infine: «se io volessi in precedenza togliere di mezzo simili dubbi, rovinerei tutto il metodo dialettico di sviluppo. Viceversa tale metodo ha di buono che continuamente tende a questi grulli delle trappole che li inducono a un’intempestiva manifestazione della loro asineria».
Quando all’inizio ho dato dell’asino ad Hunt, quest’ultima frase non l’avevo ancora letta. Perciò la riporto con un certo compiacimento, visto che Hunt l’ha espunta.
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