Le nostre sventure dipendono solo dalla nostra infedeltà al Signore, dal fatto d'aver abbandonato la strada che Dio ci ha indicato (Isaia,48, 17-19).
Per nostra fortuna ogni domenica l’omelia dell’Eugenio nazionale [*] tiene desta la nostra coscienza e ci rassicura che un giorno, ormai non molto lontano, questo nostro corpo nazionale corroso ora dal berlusconismo e dal malaffare risorgerà a nuova vita, mettendo in luce “la sua parte migliore”.
Scriveva ieri Scalfari:
«conosco da trent'anni Silvio Berlusconi e sono da tempo arrivato alla conclusione che il nostro presidente del Consiglio rappresenta per molti aspetti il prototipo dei vizi italiani, latenti nel carattere nazionale insieme alle virtù che certamente non mancano. Siamo laboriosi, pazienti, adattabili, ospitali. Ma anche furbi, vittimisti, millantatori, anarcoidi, insofferenti di regole, commedianti. Egoismo e generosità si fronteggiano e così pure trasformismo e coerenza, disprezzo delle istituzioni e sentimenti di patriottismo.
Berlusconi possiede l'indubbia e perversa capacità di aver evocato gli istinti peggiori del paese. I vizi latenti sono emersi in superficie ed hanno inquinato l'intera società nazionale ricacciando nel fondo la nostra parte migliore».
Dov’è l’analisi dei motivi di classe (parola fuorilegge), degli interessi, fatto salvo il dovuto accenno alla solita Confindustria, che hanno favorito e anzi determinato l’ascesa di Berlusconi e l’affermarsi del berlusconismo? La politica nazionale è forse l’espressione dei rapporti di classe o solo il prodotto volitivo di un solo uomo e di un gruppetto di sodali faccendieri e di grisettes disposte a tutto? Non è forse attraverso la politica che si governano le cose, si determina in gran parte la realtà sociale e il flusso della ricchezza verso quei settori della società di cui la politica stessa rappresenta direttamente gli interessi?
Ricorda Eugenio Scalfari quando sulle pagine dell’Espresso nei primi anni Ottanta si dilettava, con Craxi, proudhonianiamante, a far la “barba al Profeta”? È in quegli anni che conobbe Berlusconi. Ed è degli anni Novanta la campagna martellante del suo quotidiano a favore delle virtù miracolistiche del mercato e delle privatizzazioni pilotate, l'appoggio al più colossale e opaco trasferimento di ricchezza dalla proprietà pubblica in mani private. Scalfari in quegli anni remava per conto dei suoi protettori, ma la barca seguiva la rotta dei grandi interessi privati e non quella dell'interesse dei “generosi” e “patriottici” cittadini italiani.
Chi dunque ha favorito la situazione da cui è potuto emergere un prodotto italiano così genuino come Berlusconi? Possiamo quindi ridurre semplicisticamente il berlusconismo ai meri “vizi italiani”, un tempo latenti e ora divenuti palesi e dominanti per la “perversa capacità di Berlusconi di averli evocati”?
Infine, si potrebbe chiedere, a costo di venire a noia, quante delle leggi ad personam o sul precariato la “sinistra” ha abrogato o modificato? Chi ha "inciuciato" fino allo sfinimento con la "bicamerale"?
Il berlusconismo (e il leghismo) è un fenomeno che viene da lontano, anzitutto dal sostanziale e storico fallimento del vantato riformismo, che precede e segue il 1989. Dal mantenimento e consolidarsi di una situazione feudale di privilegio, di status, di caste burocratiche, di monopolio familiare, di welfare clientelare, di contiguità delle istituzioni con la criminalità e i cartelli elettorali; tale fallimento non può essere a carico, da un certo momento storico in poi, esclusivamente al blocco cattolico e conservatore. A ciò si aggiunse l’incapacità culturale e politica degli ultimi dirigenti del PCI di elaborare un’analisi autonoma e una strategia alternativa, cioè una politica che non fosse quella del compromesso con la reazione e la convinta e totale adesione alla filosofia e prassi liberista (l’abbraccio con i “Poteri Forti” – come li chiama Prodi –, nostrani, europei e atlantici), quindi il tradimento degli interessi delle classi popolari.
Berlusconi non incarna semplicemente i “vizi”, l’individualismo e i tic degli italiani; non è solo Sordi e Verdone. Berlusconi è il rappresentante più genuino, fedele e adeguato degli interessi concreti della borghesia, quegli stessi che il trasformismo della sinistra ha cercato d’interpretare e cavalcare, peraltro senza raccogliere il successo elettorale preventivato, poiché l’aristocrazia del denaro preferisce l'originale a una destra in fotocopia. Finché le conviene.
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