La missione italiana, guidata dal Cadorna, è composta
dai seguenti ufficiali: i colonnelli Bianchi d’Espinosa e Angelo Gatti, i
tenenti colonnelli Pintor (padre di Luigi, cofondatore del quotidiano il manifesto) Ponza di San Martino e il
maggiore Martin Fraklin, quindi il ten. col. medico Casali e il maggiore Leone.
Tra loro vi è, minore di grado ma non d’importanza, il tenente Tommaso
Gallarati Scotti dei principi di Molfetta (la cui madre era Maria Luisa Melzi
d'Eril), ufficiale d’ordinanza del Cadorna e, di fatto, confessore spirituale
di quest’ultimo. Il tenente ebbe come istruttore di catechismo ed assistente
nei primi studi il giovane prete don Achille Ratti, cosa che non gli escluse
una condanna nel 1911 da parte della Chiesa per le sue novelle Storie dell'amor sacro e dell'amore profano.
A suo onore, l’immediata opposizione al fascismo: firma il Manifesto degli intellettuali antifascisti. Otterrà personalmente
dal governo inglese che il comando delle forze partigiane sia affidato al
generale Raffaele Cadorna, figlio di Luigi e omonimo del nonno. Fu fervente
anticomunista.
Torniamo al generale Luigi Cadorna, al perché era
stato, infine, destinato a guidare la missione italiana a Versailles? Qui non
si tratta di tracciarne la biografia, nemmeno per sommi capi, sarebbe
soprattutto fuori luogo, ma solo di tentare di lumeggiarne il profilo con
l’aiuto fondamentale di un’opera: Un
italiano a Versailles, Ceschina, 1958. Si tratta del diario, pubblicato,
non casualmente postumo, del colonnello Angelo Gatti (1875-1948).
Angelo Gatti, durante la sua esperienza a Versailles,
ebbe modo di scrivere un ritratto diretto e lucido di Cadorna, come uomo e quale
generale, tanto più che era già stato al suo fianco quale capo dell’Ufficio
storico del comando supremo a Udine, dal 1915 al novembre 1917.
Gatti considera Cadorna il migliore dei generali
italiani (p. 424), e ne traccia un profilo con onesto rigore. Un tratto
saliente è già in questo giudizio, a pagina 134: “Egli solo è un uomo, e gli altri sono numeri”. Ciò la dice lunga sul noto, smisurato ego di
Cadorna (il suo metro di paragone costante è Napoleone) e il suo totale
disinteresse per la vicenda degli altri: “Non
aveva curiosità per nessuno” (p. 426).
Luigi Cadorna (1850-1928) è figlio di Raffaele
(1815-1897), generale veterano delle guerre risorgimentali ma noto anche per le
vicende della rivolta di Palermo detta del “Sette e mezzo” (settembre 1866),
quale comandante delle truppe di terra inviate a reprimerla (la marina italiana
e quella inglese bombardò la città). Luigi fu avviato giovanissimo alla
carriera militare, che fu lenta ma costante, senza alcun episodio di spicco,
fino a fermarsi al grado di tenente generale (generale di corpo d’armata) nel
1904. Era noto per la sua rigida interpretazione del regolamento di disciplina
e per l’inflessibilità con la quale lo applicava, oltre che per un articolo,
che divenne in seguito un librettino, di cui andava molto fiero: Attacco frontale e addestramento tattico.
Egli seguiva la dottrina vigente in quell’epoca, che
non teneva conto dei progressi tecnologici, quindi dell’uso delle mitragliatrici
e delle bombe a mano, dei reticolati e delle difese in cemento armato.
Auspicava offensive compatte di fanteria, senza tener conto del poderoso
potenziale di fuoco delle difese avversarie, che riteneva di mettere a tacere a
colpi di cannone. Cadorna scriveva di un’avanzata “su terreno morto”, che nel
caso del Carso non troverà. Inoltre era convinto che il difensore, nella
maggior parte dei casi, in vista della massiccia avanzata degli assalitori
dovesse “scoprirsi se vorrà batterla col fuoco”. Tale concezione fu smontata dal
generale Pollio, dal 1908 capo di stato maggiore dell’esercito, il quale, tra
l’altro, osservava: “Perché, non ci possono essere trincee che permettano di
far fuoco anche da vicino?”. Bella domanda!
[2/ continua]
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