giovedì 11 novembre 2010

Fine corsa



La Cina non rivaluta la sua moneta perché ciò renderebbe meno vantaggiose le sue merci, quindi aumenterebbe la disoccupazione e la rivolta sociale sarebbe inevitabile.
Gli Stati Uniti hanno bisogno di svalutare, lo fanno stampando moneta e comprando carta straccia dalle banche. Un gioco rischiosissimo. La disoccupazione dilaga e coloro che vivono con il sussidio alimentare sono oltre 42 milioni.
L’Europa non sta meglio. La disoccupazione è endemica e in crescita, i tagli di bilancio inusitati. Le proteste e le manifestazioni si moltiplicano.
Il Giappone soffre una stagnazione da almeno vent’anni. Il suo debito pubblico è il più alto del mondo e non sanno come uscire da tale situazione.
Uno dei rimedi sarebbe lavorare meno, diminuire il tasso di sfruttamento, garantire pari diritti ai lavoratori salariati di tutto il mondo. Non è una misura di stampo comunista, è un rimedio di buon senso. Ma, come sappiamo, impraticabile. Le leggi che determinano il sistema economico che chiamiamo capitalismo non lo permettono. Esse operano a prescindere e il fallimento delle politiche riformistiche è sotto gli occhi di tutti.
Cambiare questo sistema economico e sociale demenziale con metodi pacifici è impossibile. Vi si oppongono gli interessi particolari della borghesia e, come detto, la natura stessa del sistema. Solo un’azione collettiva, cosciente e diretta, sotto la spinta di condizioni tragiche e insostenibili, può incaricarsi di un simile cambiamento epocale. Naturalmente non sarebbe, come ebbe già a dire qualcuno, un pranzo di gala.
Nel frattempo il sistema basato sulla concorrenza tra stati nazionali e sull’accumulazione privata (ne ho parlato in questo post), messo alle strette, risolverà, presto o tardi, le sue “controversie” al solito modo: peggiorando le condizioni di esistenza delle classi salariate e predisponendosi allo scontro aperto tra nazioni.


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