venerdì 14 maggio 2010

Lo chiamano default


Gli apologeti del capitalismo sostengono che la crisi attuale è il fallimento di questa o quella politica, o semplicemente il prodotto degli individui disonesti e avidi (speculazione e ruberie varie). Volutamente cercano di ignorare che si tratta di una crisi di ordine economico e sociale di un modo produzione e di accumulazione che ha nelle sue leggi la causa fondamentale delle sue contraddizioni e il proprio limite storico.
Gli economisti stimano che nel corso del solo 2008 circa 50.000 miliardi di dollari di ricchezza è stata distrutta, l'equivalente della produzione economica mondiale di un anno. I mercati azionari nello stesso anno hanno perso circa 30.000 miliardi di dollari. La produzione industriale globale è  in calo del 20-30 per cento.
Cosa che non interessa (quasi) nessuno: secondo le Nazioni Unite quasi 400 milioni di africani vivono con meno di 1,25 dollari al giorno e hanno subito un calo di reddito del 20 per cento a causa della crisi, producendo un aumento da 200.000 a 400.000 morti infantili all'anno.
L'Organizzazione Internazionale del Lavoro, l'agenzia delle Nazioni Unite, ha dichiarato che ben 50 milioni di lavoratori hanno perso il posto di lavoro in tutto il mondo dall’inizio della crisi e che circa 200 milioni di persone potrebbero essere spinte in condizioni di povertà.
Negli Stati Uniti, sono circa 25 milioni i disoccupati o coloro che hanno un lavoro precario e di breve durata, un sesto della forza lavoro. Sei milioni i posti di lavoro che sono stati distrutti dal dicembre 2007, e i prezzi delle abitazioni sono scesi del 30-70% per cento, mentre l'industria automobilistica, ma non solo, è un campo di battaglia.
L'élite dominante americana ha promosso Barack Obama in parte per prevenire disordini, oltre che per effettuare i dovuti cambiamenti nella sua tattica globale e nazionale, dopo otto anni di regime demenziale sotto Bush. Dopo il disastro in Iraq, che ha devastato il paese e già lasciato più di un milione di morti, il governo Obama ha spostato la sua attenzione in l'Afghanistan inviando decine di migliaia di nuovi soldati e massicci armamenti per combattere una guerra che non potrà vincere, che causa ogni mese decine di vittime civili, il tutto per perseguire con mezzi militari l'egemonia economica e politica americana nel mondo.
La presenza di un presidente afro-americano “riformista” è solo un inganno, poiché egli in realtà rappresenta gli interessi dell’aristocrazia economica e, al di là delle iniziative di stampo propagandistico e dagli scarsi effetti pratici, le sue politiche sono a difesa della ricchezza della classe dirigente con migliaia di miliardi per i banchieri, mentre per chi vive di salario c’è l'austerità e la "responsabilità".
Un commentatore ha scritto sul Financial Times: "Sento la paura, la rabbia e un profondo sentimento d’ingiustizia che ricorda il clima alla vigilia della rivoluzione francese: basta sostituire la carenza di pane con l’esecuzione di pignoramenti di massa, gli aristocratici con i banchieri e i privilegi con il diritto di non pagare le tasse grazie alle stock options".

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