«Sarebbe davvero meglio» per i sacerdoti colpevoli di abusi sessuali su minori che i loro crimini fossero «causa di morte» perchè per loro «la dannazione sarà più terribile». Lo ha detto il promotore di giustizia della Congregazione della Fede, monsignor Charles Scicluna, incaricato di seguire tutti i casi di preti abusatori, in una preghiera di riparazione a San Pietro per lo scandalo di pedofilia nella Chiesa.
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Vi sono giorni in cui sono ossessionato da un sentimento più tetro della più nera malinconia: il disprezzo per gli uomini. E per non lasciare alcun dubbio su ciò che disprezzo e su chi disprezzo, dirò che si tratta dell'uomo di oggi, del quale sono fatalmente contemporaneo. L'uomo di oggi: soffoco a causa del suo alito impuro... Come ogni uomo di cultura, nei riguardi del passato io sono assai tollerante, ossia mi controllo generosamente: attraverso millenni di un mondo di pazzi, con tetra circospezione, si chiami esso «cristianesimo», «fede cristiana», «Chiesa cristiana», mi guardo dall'attribuire al genere umano la responsabilità delle sue malattie mentali. Ma il mio sentimento d'un tratto cambia e prorompe, non appena m'addentro nell'età moderna, nella nostra epoca. Il nostro tempo è un tempo che sa... Ciò che un tempo era soltanto malato oggi è diventato indecente, essere cristiani oggi è indecente. Ed è qui che ha inizio il mio disgusto. Mi guardo attorno: non una parola è rimasta di ciò che un tempo si chiamava «verità», non sopportiamo neppure più che un sacerdote pronunci la parola «verità». Sia pure secondo le più modeste esigenze di rettitudine, oggi bisogna sapere che un teologo, un sacerdote o un papa, a ogni frase che pronuncia non è solo in errore, ma mente; che non è più libero di mentire «innocentemente», per «ignoranza».
L’Anticristo, XXXVIII.
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La prossima settimana il blog non verrà aggiornato.
Il Sole 24 ore informa che la senatrice repubblicana Lisa Murkowski, dell'Alaska, è riuscita ad affossare una legge che puntava a innalzare il tetto massimo di risarcimento per le compagnie petrolifere da 75 milioni a 10 miliardi di dollari. Nonostante il disastroso sversamento di petrolio dalla piattaforma della Bp, nel Golfo del Messico, tuttora in corso, la senatrice Murkowski ha preso le difese delle grandi compagnie petrolifere sostenendo che questa legge farebbe salire i costi della produzione di petrolio.
Il 25 maggio, il segretario al Commercio Gary Locke ha detto che lo sversamento di petrolio dalla piattaforma della Bp rappresenta una catastrofe per l'industria della pesca dei tre Stati americani che affacciano sul Golfo del Messico. In molte aree le attività di raccolta delle ostriche, di pesca del gambero e delle altre specie ittiche sono bloccate, con effetti devastanti per quella che rappresenta una delle principali attività economiche della regione. Nonostante settimane di sforzi frenetici per bloccare lo sversamento, gli ingegneri della Bp e di una serie di altre compagnie petrolifere non sono approdati a niente.
Una società sempre più malata ha ricreato il mondo come ambiente e scenario della sua malattia.
Veltroni, Grasso e ora Ciampi, il quale, da presidente del consiglio e da presidente della repubblica non avvertì la necessità e l’urgenza di fare chiarezza su quanto era avvenuto con le stragi e le bombe. Quindi la domanda è: perché adesso?
Sul fronte interno c’è un gran disordine sotto il cielo. La situazione sociale si sta deteriorando a vista d’occhio e per governare i prossimi salassi, quelli veri, c’è bisogno di ben altro di un Berlusconi, al quale nemmeno Confindustria è disposta a concedere più potere di quello che ha già (al Quirinale non siederà mai). Poi c’è il partito del meridione, il partito della spesa statale, che vede il federalismo come il fumo negli occhi.
Poi ci sono le manine esterne …….
Ieri sera Rino Formica, dalla Gruber, ha detto poche cose, ma chiare. Anzi, ne ha detta una sola: ha parlato di dossier.
- 260 milioni di ragazzi, al di sotto dei 18 anni, ogni giorno nel mondo, sono costretti a lavorare.
- 211 milioni hanno meno di 11 anni.
- 180 milioni si trovano in pericolo di vita.
L’Asia detiene il triste primato di continente con il maggior numero di bambini lavoratori: 61 % del totale mondiale.
In Africa il 32 % dei bambini è costretto a svolgere precocemente un’attività lavorativa.
In America Latina lavorano precocemente il 21 % dei bambini.
Nei Paesi ad economia avanzata 2,5 milioni di bambini sono economicamente attivi.
In Europa
A partire dal secolo XX, con l’introduzione graduale di un sistema educativo obbligatorio e con le varie legislazioni nazionali, il lavoro minorile si è ridotto, soprattutto nell’Europa Occidentale.
Nel Regno Unito
Su 3 milioni e mezzo di ragazzi, da 11 a 15 anni, 1 milione e mezzo lavorano con modalità diverse, 2 milioni e mezzo di ragazzi lavorano nel periodo del raggiungimento dell’età in cui si lascia la scuola. Il 50 % circa dei ragazzi, tra i 13 ei 15 anni, svolge attività lavorative varie, diverse per tipologia e durata.
In Portogallo
Per quanto riguarda questa nazione le cifre stimate, di minori che lavorano, variano tra le 24 mila e le 200 mila unità.
In Romania
In questa nazione dell’Europa Orientale,con una popolazione di circa 23 milioni di abitanti, la
percentuale di popolazione compresa tra i 5 e i 17 anni è di 17,4 %. È il primo paese dell’ Europa Centrale e Orientale ad aver partecipato al programma per l’eliminazione del lavoro minorile (MOU)
All’inizio degli anni 90 la percentuale di ragazzi economicamente attivi era del 23 %, nel 1993 era scesa al 16 %, nel 1998 era risalita al 23 %. Ora la percentuale sta lentamente scendendo.
In Italia
Nella nostra nazione le stime sul numero dei minori, che lavorano illegalmente, oscillano tra le 200 mila e le 500 unità.
Questi dati sono stati ricavati da Bambini e adolescenti che lavorano, Quaderni del Centro nazionale di documentazione ed analisi per l’infanzia e l’adolescenza, Istituto degli Innocenti.
Giulio Tremonti:“Ieri Netanyahu ha citato Karl Marx, questa mattina lo abbiamo fatto anche noi. Forse, vedendo che le organizzazioni sindacali e le imprese convergono su uno stesso testo, credo che anche lui sarebbe sorpreso dal risultato raggiunto".
È questa un’affermazione sciocca tipica della iattanza e ignoranza di chi non conosce Marx se non nella vulgata della “sinistra”. Basterebbe leggere la Critica al Programma di Gotha per rendersi conto che Marx non si sorprendeva affatto che, fin dalla sua epoca, i partiti e i sindacati socialdemocratici s’interessassero, per esempio, esclusivamente della distribuzione della ricchezza e non anche della sua produzione, e cioè che questi sedicenti rappresentati dei lavoratori non mettono in discussione la bontà di un sistema produttivo schiavista.
Proviamo ad immaginarci un invalido al 75%. Uno dei tanti, di quelle migliaia d’invalidi per cause di lavoro che ogni anno vanno ad aggiungersi a quelli degli anni precedenti, un muratore che è caduto dall’impalcatura, con agenesia completa dell’arto superiore, oppure un metalmeccanico con l’amputazione completa di un braccio (la perdita del “solo” avambraccio dà il 65%). Ebbene costui da oggi non avrà più diritto a pensione d’invalidità (ci vuole l’80%, prima “bastava il 74%), quindi ad un reddito di sopravvivenza. L’hanno deciso Berlusconi e Tremonti. Ne hanno dato notizia in una conferenza stampa dove non sono mancati i sorrisi e le battute. La Marcegaglia ha detto che ….., le borse hanno festeggiato.
di Roberto Scarpinato, procuratore aggiunto di Palermo - 26 agosto 2009, Corriere della sera
Se provate a chiedere a un fruitore medio di fiction e di film sulla mafia che idea si sia fatto della stessa, vi sentirete sciorinare i nomi dei soliti noti: Riina, Provenzano, i casalesi e via elencando. Sentirete evocare frammenti di una storia di bassa macelleria criminale, intessuta di omicidi, cadaveri sciolti nell’acido, estorsioni, traffici di stupefacenti, di cui sono esclusivi protagonisti personaggi di questa risma: gente che viene dalla campagna o dai quartieri degradati delle città, e che si esprime in un italiano approssimativo. Una storia di brutti sporchi e cattivi, e sullo sfondo la complicità di qualche colletto bianco, di qualche pecora nera appartenente al mondo della gente “normale”. Ma, del resto, in quale famiglia non esiste qualche pecora nera? Se dunque la mafia è solo quella rappresentata (tranne qualche eccezione) da fiction e film, è evidente che il fruitore medio tragga la conclusione che la soluzione del problema consista nel mettere in carcere quanti più brutti sporchi e cattivi, e nel fare appello alla buona volontà di tutti i cittadini onesti perché collaborino con lo sforzo indefesso delle forze di polizia e della magistratura per estirpare la mala pianta. Questo, con le dovute varianti, il pastone culturale ammannito da fiction e film di conserva con la retorica ufficiale televisiva, e metabolizzato dall’immaginario collettivo. Un pastone che non fornisce le chiavi per dare risposta ad alcune domande elementari. Ad esempio come mai, tenuto conto che le cose sono così semplici, lo Stato italiano è riuscito a debellare il banditismo, il terrorismo e tante altre forme di criminalità, ma si rivela impotente dinanzi alla mafia che dall’unità d’Italia a oggi continua a imperversare in gran parte del Paese?
Come mai parlamenti, consigli regionali e comunali, organi di governo e di sottogoverno sono affollati di pregiudicati o inquisiti per mafia, tanto da insinuare il dubbio che quel che combattiamo fuori di noi sia dentro di noi? Come mai, oggi come ieri, tra i capi organici della mafia vi è uno stuolo di famosi medici, avvocati, professionisti, imprenditori, molti dei quali già condannati con sentenze definitive? Come mai commercianti e imprenditori a Palermo, a Napoli, in Calabria continuano a pagare in massa il pizzo e, a differenza del fruitore medio, non si bevono la buona novella che la mafia è alle corde? Come mai i vertici di Confindustria lanciano tuoni e fulmini contro i piccoli commercianti che non hanno il coraggio di denunciare gli estorsori, minacciandoli di espellerli dall’organizzazione, ma vengono colti da improvvisa afasia quando si chiede loro perché intanto non comincino a prendere posizione nei confronti delle centinaia di imprenditori, inquisiti o già condannati, che hanno azzerato la libera concorrenza e costruito posizioni di oligopolio utilizzando il metodo mafioso? Ecco, quando a un fruitore medio ponete queste e altre domande, lo vedrete annaspare cercando vanamente possibili risposte nell’infinita massa di fotogrammi, immagini e battute stipate nelle sue sinapsi, dopo centinaia di ore trascorse a vedere fiction e film che raccontano le note storie di brutti sporchi e cattivi. Mentre sceneggiatori continuano a proiettare catarticamente il male di mafia sul monstrum (colui che viene messo in mostra) - Riina, Provenzano, Messina Denaro, i casalesi - elevato a icona totalizzante della negatività, centinaia di processi celebrati in questi ultimi quindici anni hanno raccontato un’altra storia della mafia, sacramentata da sentenze passate in giudicato, che fornisce risposte illuminanti a molte delle domande di cui sopra. Un’altra storia intessuta di centinaia di delitti, di stragi di mafia decise in interni borghesi da persone come noi, che hanno fatto le nostre stesse scuole, frequentano i nostri stessi salotti, pregano il nostro stesso Dio... Un’altra storia che ha dimostrato come la città dell’ombra - quella degli assassini - e la città della luce, abitata dalle “persone perbene”, non siano affatto separate ma comunichino attraverso mille vie segrete, tanto da rivelarsi come due facce dello stesso mondo. Un’altra storia che racconta l’osceno di questo Paese, quel che è avvenuto ob scenum, mettendo a nudo un fuori scena affollato di una moltitudine di sepolcri imbiancati che hanno armato la mano dei killer o li hanno protetti con il loro silenzio complice.
Che racconta come gli assassini arrivino sulla scena per buon ultimi, quando i sepolcri imbiancati hanno fallito nel fuori scena tutti i tentativi necessari per convincere la vittima ad ascoltare, per il suo bene e quello della sua famiglia, i consigli degli amici, sicché, come sono solite fare le persone istruite e timorose di Dio, allargando sconsolati le braccia ripetono: “Dio sa che è lui che ha voluto farsi uccidere...”. Centinaia di processi che costringono a rileggere la storia della mafia non più come una storia altra, che non ci appartiene e non ci chiama in causa, ma piuttosto come un terribile e irrisolto affare di famiglia, interno a una classe dirigente nazionale tra le più premoderne, violente e predatrici della storia occidentale, la cui criminalità si è estrinsecata nel corso dei secoli in tre forme: lo stragismo e l’omicidio politico, la corruzione sistemica e la mafia. Tre forme criminali che essendo espressione del potere sono accomunate non a caso da un unico comun denominatore, che è il crisma stesso del potere: l’eterna impunità garantita ai mandanti eccellenti di stragi e omicidi politici e ai principali protagonisti delle vicende corruttive. Una storia-matrioska nel cui ventre si celano centinaia di storie accertate con sentenze definitive, che sembrano fatte apposta per la felicità di qualsiasi sceneggiatore e regista che volesse prendersi la briga di narrarle. Vogliamo provare a raccontarne solo una tra le tante? C’era una volta..., anzi... mi correggo. Ci fu per una volta, e per un breve periodo, in un’isola di assolata e bruciante bellezza, un Presidente della Regione che si chiamava Piersanti Mattarella, notabile democristiano figlio di un ex Ministro, il quale si era messo in testa di cambiare il corso delle cose e di moralizzare la vita pubblica. Iniziò quindi a promuovere leggi per controllare il modo in cui erano spesi i soldi della collettività, e a disporre ispezioni straordinarie per accertare come venivano assegnati gli appalti pubblici. Gli amici gli consigliavano di lasciar perdere, ma lui non recedeva dai suoi propositi. Lentamente, giorno dopo giorno, cominciò a trovarsi sempre più solo. Frequentarlo significava rischiare di restare impigliati dentro la «camera della morte». Così viene chiamata in Sicilia l’enorme e invisibile rete costruita sott’acqua per imprigionare i tonni, che, quando riemergono in superficie dal fondo della rete, si trovano circondati dalle barche disposte in cerchio e vengono finiti a colpi di arpione nel corso delle mattanze: bagni di sangue che evocano antichi rituali sacrificali dove vita e morte si confondono, giacché l’una si nutre dell’altra. Quando Mattarella percepì attraverso il linguaggio mutigno dei gesti degli “amici” - i loro sguardi costernati, i loro silenzi imbarazzati - che il rullo dei tamburi di morte si faceva sempre più vicino, tentò di salvarsi la vita chiedendo aiuto a Roma ad alcuni vertici del suo partito e al Ministro degli Interni. Al ritorno dalla sua trasferta romana, confidò alla sua segretaria che se gli fosse accaduto qualcosa la causa sarebbe stata da ricercarsi in quel viaggio romano. Mentre Mattarella volava a Roma, un altro aereo si alzava segretamente in volo dalla Capitale verso la Sicilia.
A bordo si trovava uno degli uomini più potenti del Paese, personificazione stessa del potere statale: Giulio Andreotti, sette volte Presidente del Consiglio, ventidue volte Ministro. Dove andava Andreotti in gran segreto? Partecipava a un incontro con i capi della mafia militare e quelli della mafia dei colletti bianchi: l’onorevole Salvo Lima e i cugini Nino e Ignazio Salvo. In quel qualificato consesso si discuteva del “problema Mattarella”, quel democristiano anomalo che si ostinava a non ascoltare i buoni consigli degli “amici” e stava compromettendo gli interessi del sistema di potere mafioso. Il 6 gennaio 1980, Mattarella fu ucciso sotto casa da un commando mafioso. Giulio Andreotti tornò segretamente in Sicilia e all’interno di una villa incontrò alcuni dei mafiosi assassini di Mattarella che, com’è sacramentato in una sentenza definitiva della Repubblica italiana, avrebbe coperto con il suo silenzio complice per il resto dei suoi giorni, garantendo così la loro impunità e alimentando il senso di onnipotenza della mafia [*]. Che ve ne pare? Non vi sembra una storia inventata apposta per un film? Se, come diceva Hegel, il demonio si nasconde nel dettaglio, nel dettaglio di questa storia è leggibile il segreto dell’irredimibilità e della dimensione macropolitica del problema mafia, al di là delle imposture e dei depistaggi alimentati dal sapere ufficiale che lo spaccia come quella vicenda di bassa macelleria criminale di cui dicevo all’inizio. Di storie simili se ne potrebbero raccontare per mille e una notte. Sono tutte racchiuse in un enorme giacimento a cielo aperto a disposizione di chiunque: le pagine dei tanti processi che con un tributo altissimo di sangue hanno per la prima volta in Italia portato sul banco degli imputati non solo i soliti brutti sporchi e cattivi, i bravi di Don Rodrigo, ma anche il “Principe” di cui essi sono stati instrumentum regni e scoria, e senza la cui protezione e complicità sarebbero stati da tempo spazzati via. Un album di famiglia di “intoccabili”, che nel loro insieme ricompongono il segreto ritratto di Dorian Gray di una componente irredimibile della nostra classe dirigente: ministri, capi dei servizi segreti, vertici di polizia, parlamentari, alti magistrati, alti prelati, banchieri, uomini a capo di imperi economici. Storie scomode perché chiamano in causa responsabilità collettive, costringono a interrogarsi sull’identità culturale del Paese e sul passato e sul futuro... o sulla mancanza di futuro di un’Italia ancora troppo immatura per fare i conti con la propria storia e verità, e quindi condannata a vivere all’interno di una tragedia inceppata, destinata ciclicamente a ripetersi, pur nelle sue varianti storiche. Storie scomode che dimostrano quanto sia fuori dalla realtà continuare a raccontare il come e il perché della mafia come una sorta di opera dei pupi dove vengono messi in scena solo eroi solitari - Orlando e Rinaldo - che guerreggiano contro turpi saraceni: Riina, Provenzano, ecc. Dinanzi a tutto ciò, come spiegare il silenzio, la distrazione - che talora sembrano sconfinare nell’omertà culturale - di tanti sceneggiatori e registi? Induce a riflettere come tale omertà appaia perfettamente speculare a quella che caratterizza il discorso pubblico sulla mafia e sulla criminalità del potere, e come l’una e l’altra celino sotto il velo della retorica le piaghe della nazione.
Che pensare dinanzi a tante pellicole che, pure di ottima fattura, si rivelano tuttavia depistanti nel loro raccontare un universo mafioso quasi completamente decorrelato nella sua genesi e nelle sue dinamiche dal sistema di potere di cui è espressione e sottoprodotto? L’equivalente di raccontare la storia dei bravi di manzoniana memoria come un sottomondo autorefenziale, tagliando il cordone ombelicale con il sopramondo dei Don Rodrigo. L’equivalente di raccontare il Fascismo ascrivendone la responsabilità solo a un manipolo di esaltati gerarchi, e non già come l’autobiografia di una nazione. La storia di questo Paese ricorda a tratti quella di certe famiglie che nel salotto buono mettono in bella mostra per gli ospiti le glorie e il decoro della casata, e nello scantinato nascondono la stanza di Barbablù che gronda sangue. È lecito dubitare che la rimozione, alla quale ho accennato, sia solo frutto di distrazione o sottovalutazione? Si può ipotizzare che costituisca la “fisiologica” declinazione dell’essere la mafia una delle forme in cui si è storicamente manifestata la criminalità del potere in Italia? Il cardinale Mazzarino, gesuita di origine italiana, consigliere del Re di Francia Luigi XIV, soleva ripetere: «Il trono si conquista con le spade e i cannoni, ma si conserva con i dogmi e le superstizioni». Questa massima riassume in modo magistrale l’esigenza di condizionare la costruzione del sapere sociale in modo da impedire al popolo di comprendere i segreti della macchina del potere, tra i quali i suoi crimini. Proprio per questo motivo, da sempre il sistema di potere ha falsificato il sapere sociale sulla mafia. Prima per decenni ne ha negato ostinatamente l’esistenza, poi, sino alla metà degli anni Ottanta, l’ha banalizzata a mera criminalità comune e, infine, dopo le stragi del 1992 e 1993, ha giocato la carta - sinora vincente - di ridurla a una storia di “mostri”, di orchi cattivi... Poiché, dunque, il sapere sociale non è mai innocente, viene da chiedersi sino a che punto la rimozione e l’adulterazione che caratterizza la rappresentazione filmica della mafia sia condizionata non solo dalle autocensure di chi ritiene sconveniente raccontare storie sgradite al potere, ma anche da un sistema che orienta la produzione, canalizzando le risorse solo sui film e le fiction “innocui” o, peggio, depistanti nel senso che contribuiscono a cristallizzare nell’immaginario collettivo i dogmi e le superstizioni tanto cari ai Mazzarino di ieri e a quelli di oggi. Comunque sia, quel che accade - o meglio che non accade - chiama in causa la responsabilità di tutti coloro che lavorano nel mondo delle fiction e del cinema.
C’è una storia collettiva che attende ancora di essere raccontata e salvata dall’oblio organizzato, per restituire al Paese la sua verità e aiutarlo a divenire adulto. Portarla alla luce in tanti processi è costato un altissimo prezzo: alcuni sono stati assassinati, altri - magistrati, poliziotti, semplici testimoni - segnati per il resto della vita. Ora tocca a qualcun altro fare la sua parte. E se ciò non dovesse avvenire, tra qualche anno dovremmo purtroppo fare nostra l’amara considerazione di Martin Luther King: «Alla fine non ricorderemo le parole dei nostri nemici, ma il silenzio dei nostri amici».
[*] Nella motivazione della sentenza n. 1564 del 2.5.2003 della Corte di Appello di Palermo nel processo a carico di Andreotti, confermata definitivamente in Cassazione, si legge: «E i fatti che la Corte ha ritenuto provati dicono, comunque, al di là dell’opinione che si voglia coltivare sulla configurabilità nella fattispecie del reato di associazione per delinquere, che il sen. Andreotti ha avuto piena consapevolezza che suoi sodali siciliani intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss mafiosi; ha, quindi, a sua volta, coltivato amichevoli relazioni con gli stessi boss; ha palesato agli stessi una disponibilità non meramente fittizia, ancorché non necessariamente seguita da concreti, consistenti interventi agevolativi; ha loro chiesto favori; li ha incontrati; ha interagito con essi; ha loro indicato il comportamento da tenere in relazione alla delicatissima questione Mattarella, sia pure senza riuscire, in definitiva, a ottenere che le stesse indicazioni venissero seguite; ha indotto i medesimi a fidarsi di lui e a parlargli anche di fatti gravissimi (come l’assassinio del Presidente Mattarella) nella sicura consapevolezza di non correre il rischio di essere denunciati; ha omesso di denunciare le loro responsabilità, in particolare in relazione all’omicidio del Presidente Mattarella, malgrado potesse, al riguardo, offrire utilissimi elementi di conoscenza».
"Nel '93, Cosa nostra ebbe in subappalto una vera e propria strategia della tensione che ebbe nelle bombe di Roma, Milano e Firenze soltanto il suo momento più drammatico. Ma ci sono tanti altri episodi da ritirare fuori e rileggere insieme".
Grasso ha affermato che le stragi del '93 furono fatte, sostanzialmente, per spianare la strada a "nuove entità politiche" nel momento in cui Tangentopoli aveva appena segnato la fine dei grandi partiti, dalla Dc al Psi. "L'attentato al patrimonio artistico e culturale dello Stato - ha spiegato il procuratore nazionale antimafia rispondendo alle domande degli studenti dei licei - assumeva una duplice finalità: orientare la situazione in atto in Sicilia verso una prospettiva indipendentista, sempre balzata fuori nei momenti critici della storia siciliana, e organizzare azioni criminose eclatanti che, sconvolgendo, avrebbero dato la possibilità ad un'entità esterna di proporsi come soluzione per poter riprendere in pugno l'intera situazione economica, politica, sociale, che veniva dalle macerie di Tangentopoli".
“Entità politiche”, dunque, e non “partiti politici”. Ed infatti un certo partito, almeno ufficialmente, ancora non esisteva. Tutto questo, da molti anni ormai, viene detto e ripetuto, senza mai fare un nome e cognome. Senza alcuna indicazione che non sia solo allusiva. O non hanno prove (e allora se ne stessero zitti) oppure è un gioco sporco, mafioso esso stesso, da parte di uomini che non hanno coraggio o interesse di dire ciò che sanno nelle sedi opportune.
In uno Stato non malavitoso, uno come Grasso verrebbe chiamato dagli organi istituzionali e governativi competenti e interrogato su quello che sa. Quindi spedito dai giudici se è a conoscenza di fatti concreti, oppure mandato a casa.
Il segretario generale del più grande sindacato italiano, in risposta all’abolizione per diversi anni dei rinnovo dei contratti del pubblico impiego e di altri tagli simili, ha minacciato uno sciopero generale.
Finalmente, si dirà.
Sarà per venerdì, lunedì o martedì prossimi? No, cari massimalisti, sarà proclamato con comodo, entro giugno. Uno scioperino di 4 (quattro) ore.
Finché non ci libereremo di questa gentaglia, dei sindacati “gialli”, di questi venduti, non potrà cambiare niente.
Il segretario generale del più grande sindacato italiano ieri sera ha detto due cose rimarchevoli:
1)che non è giusto far pagare agli statali e agli operai la manovra finanziaria e ai ricchi nulla;
2)non bisogna demonizzare la speculazione finanziaria, poiché essa conta anche i fondi pensione e i “piccoli risparmiatori”.
Sul primo punto ci si aspettava, oltre all’enunciazione di un dato di fatto che è luogo comune, dovesse seguire una qualche proposta: in termini di tassazione dei patrimoni e nei termini di uno sciopero generale. Questo è il minimo per un sindacato che voglia opporsi a una manovra che ritiene sbagliata e iniqua.
Sul secondo punto non resta che osservare, non potendo credere che l’ingenuità del segretario generale arrivi a tanto (forse non ha mai sentito parlare, per esempio, dell’high frequency trading?), la totale malafede di questo cicisbeo del capitale finanziario. Ne ho parlato qui e anche qua .
Nel complesso la "manovra" del governo è una manovra in gran parte occulta, poiché scarica l'onere di imporre maggiori tasse e balzelli (e tagli ai servizi) agli enti locali.
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Sempre ieri sera un certo Cazzola ha detto che per un operaio della Fiat fare sei mesi di catena in più dev’essere considerato più o meno un divertimento. Tale Cazzola dovrebbe dare il buon esempio e i sei mesi in Fiat li vada a fare lui, a 1.200 euro, sempre che sia capace di fare un lavoro vero e soprattutto ne abbia voglia. Se no, a casa a calci in culo.
100 “processi” canonici per pederastia, cioè per abusi sessuali sui minori, in dieci anni. Lo ha riferito il segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata, incontrando i giornalisti durante i lavori dell'assemblea generale dei vescovi italiani, riuniti da lunedì in Vaticano.
Tolto ferragosto e natale, i tribunali ecclesiastici giudicano un caso al mese di abusi sessuali commessi da preti. Come succede per qualsiasi altra vicenda, ecclesiastica e no, i casi di abusi sessuali che arrivano ai tribunali sono una minoranza. Per le più diverse ragione, ma soprattutto perché le vittime non denunciano o quando denunciano le autorità tendono a minimizzare o a coprire (la casistica, al riguardo, è ampia, ridondante).
Secondo Crociata, questo è «un dato che indica il quadro complessivo della situazione», ricordando comunque – ha aggiunto – che «anche un solo caso, come ha detto il cardinale Bagnasco, è sempre di troppo».
Ecco il punto: anche un solo caso, è troppo. Qui siamo, ufficialmente, a cento volte di più.
Sarebbe interessante saper quanti sono stati i condannati e a quali severe pene canoniche. Quindi se sono ancora preti in servizio e, in caso affermativo, dove si trovano ora ad agire questi malviventi, se per caso non siano ancora in strutture ecclesiastiche a contatto con bambini e ragazzi o se lo saranno in futuro.
Inoltre, chissà se la pletora di “giornalisti” presenti durante i duri lavori dell'assemblea generale dei vescovi italiani, riuniti da lunedì in Vaticano, ha posto a monsignor Mariano Crociata questa semplice domandina: visto che Bagnasco ha detto recentemente, a parole, che c’è l’obbligo di denuncia, sarebbe interessante sapere quanti dei colpevoli, dopo il “processo” canonico, sono stati finalmente ed effettivamente assicurati alla giustizia ordinaria per gli adempimenti di legge.
Prima ci hanno raccontato la favola dell’inflazione percepita, poi quella della crisi che non ci riguardava, quindi di una manovra finanziaria che non taglierebbe stipendi, salari e pensioni. In Grecia, invece, ci raccontano che starebbero attuando tagli del 5%. Non è propriamente così netta la cosa. Da noi non c’è bisogno di ridurre del 5% dei salari e delle pensioni che mediamente sono sotto quelle greche e ultime, salvo il Portogallo, in Europa.
Perciò il taglio di paghe e pensioni non sarà immediato e brutale (agli statali non verrà rinnovato il contratto) perché ciò deprimerebbe ancor più i consumi alimentando la crisi. In compenso saranno sanati due milioni (2.000.000) di “case fantasma”.
Per chi voglia costruirsi una casa, il primo impatto è con un testo di 138 articoli, che pretendono di spiegarti come e dove poter realizzare una costruzione. Se poi l'intervento edilizio è in zona sottoposta a vincolo è necessario consultare il Codice dei beni culturali, forte di altre 184 disposizioni, con una parte dedicata alla tutela del paesaggio. Lì è detto quali sono i passi da seguire per ottenere il via libera dalla soprintendenza. A questo punto, però, la pratica è appena imbastita. Si devono fare i conti con le leggi regionali, così come sono poi declinate nelle direttive e nei piani regolatori dei comuni. Un fronte ampio e articolato di più di diciassettemila (17.000) regole che vorrebbe scongiurare gli abusi e le aggressioni al territorio.
Ciò nonostante è previsto un condono per milioni di case abusive, “fantasma”. Non è il primo, non sarà l’ultimo. Domanda: quando verranno regolarizzate queste abitazioni, le opere di urbanizzazione primaria e secondaria faranno capo agli enti locali (illuminazione pubblica, parcheggi, verde attrezzato, marciapiedi, impianti e condutture, servizi pubblici, scuole e asili, ecc. ecc.). Chi pagherà tutto questo? Con i soldi del condono? Se non fosse una tragedia verrebbe da ridere. Aumenteranno i balzelli locali per i soliti noti a reddito fisso.
Ieri il Sole 24ore (da cui ho tratto i dati su riportati sulla normativa edilizia) titolava in prima pagina: “L’evasione fiscale sale a 120 miliardi”. Si tratta di un calcolo prudenziale, soggiungeva. Molto prudenziale, diciamo a cazzo di cane. L’81% delle società di capitale non dichiara imponibile!
Le prime valutazioni per stabilire il livello di dittatura in un paese non sono semplicemente quelle relative alla cosiddetta libertà di pensiero e simili (concetti molto labili quando la proprietà e il controllo dei mezzi di comunicazione è in poche mani). Gli effetti della dittatura si misurano anzitutto in campo economico, per esempio valutando chi lavora per chi. Coloro che si fanno il culo e quelli che, facendo finta di essere affaccendati in nobili e utilissime cose, in realtà non fanno un cazzo e godono la maggior parte della ricchezza socialmente prodotta. I primi sono gli schiavi e i secondi i loro padroni. Poi ogni epoca e sistema queste figure può denominarle come vuole, ma la sostanza non cambia.
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Ultim'ora. Il governo assicura che non ci sarà alcun condono edilizio ma solamente la possibilità di regolarizzare presso il catasto circa 1,5-2 milioni di case «fantasma» così come accertato in base ai rilievi aerofotogrammetrici già effettuati dall’Agenzia del Territorio e degli accertamenti già notificati: sarà insomma possibile regolarizzare eventuali cambiamenti catastali, con la riduzione delle sanzioni ad un terzo, ma solo se dichiarati entro il 31 dicembre di quest’anno. Decorsa tale data i proprietari incapperanno in pesanti sanzioni con l’attribuzione di una rendita presunta ed il calcolo retroattivo.
Ieri sera, in una trasmissione Tv, ho ascoltato per alcuni minuti Valter Veltroni, “politico, giornalista e scrittore”, nonché “presidente onorario della Lega basket”, dice wikipedia. La prima sorpresa, per uno come me che bazzica poco la “politica” nostrana, è stata quella di sapere che è ancora deputato. E quindi presidente di una fondazione che, sinceramente, non ho capito a cosa serva. Questa la sorpresa. Il resto è stato uno sbadiglio.
Veltroni Valter, è stato, tra l’altro, vicepresidente del Consiglio e Ministro dei Beni Culturali e ambientali con l'incarico per lo spettacolo e lo sport. Quindi segretario del Partito democratico e candidato premier. Insomma uno che i palazzi romani li ha frequentati in lungo e in largo e non proprio come usciere.
Ieri sera, con voce allarmata e accorata, ha raccontato agli italiani in ascolto che esiste un "terzo livello" occulto che controlla, da sempre, la mafia e le stragi. Naturalmente non ha fatto alcun nome, nessun riferimento specifico, nessuna allusione indiziaria, accontentandosi (e questa è già una storica rivelazione) di dire che c’entrerebbero anche certi ambienti “finanziari”.
Da questa mattina guardo con un occhio diverso e più sospetto del solito il capo filiale della banca del mio paesello. Mi sto già segnando quante volte è uscito dall’ufficio con la scusa del caffè e chi ha incontrato. Se ci saranno sviluppi informerò doverosamente e prontamente.
P.S. Chissà se qualche magistrato avrà voglia di sentirlo come persona informata sui fatti, ovvero, se non altro per confermare che è solo un notorio chiacchierone.
Fin dalle civiltà più antiche, la forza-lavoro umana è stata la merce [*] più ricercata e mercanteggiata. Senza di essa Atene e Sparta sarebbero ricordate come due modesti borghi della Grecia e nessun grande impero sarebbe nato. I Greci e i Romani conoscevano tale verità quale si palesava a loro nel modo più semplice e in ogni momento, senza infingimenti ideologici; un fatto che nessuno si sarebbe azzardato di revocare in dubbio pena il ridicolo: solo chi non è obbligato al lavoro coattivo è un cittadino libero, solo coloro che non lavorano vivono. «O Meliboee, deus nobis haec otia fecit», dice Virgilio; Platone prevedeva pene severe per i cittadini che lavoravano (Repubblica, V) e Cicerone scriveva che chiunque offra il suo lavoro in cambio di denaro vende se stesso e si mette al livello degli schiavi (Dei doveri, I).
La proprietà fondiaria, in assenza della manodopera necessaria, non avrebbe avuto senso, compresi i grandi feudi ecclesiastici.
La stessa Venezia, che si vuole prospera grazie al commercio di manufatti e spezie, in realtà realizzò le basi del suo dominio, nei primi secoli, non solo grazie al monopolio del sale (imposto con le buone o con le cattive) ma soprattutto con il commercio di braccia “cristiane”, prelevate dalla Dalmazia ma anche dall’Italia meridionale e ovunque capitasse, vendute con gran profitto in Oriente. Non fu l’unica in questi traffici.
Sull’altro versante del Mediterraneo, le cosiddette orde barbaresche, in alcuni secoli, “trattarono” circa un milione di cristiani. Di contro, i sovrani spagnoli, per dire, quando occuparono Granada, inviarono al Papa un gentile omaggio di 500 prigionieri da adibire nella flotta pontificia o per usi domestici.
Il più grande e florido commercio nella storia dell’umanità è stato, indiscutibilmente, quello di carne umana. Il Nuovo Mondo di Colombo si sarebbe rivelato un fallimento senza lo sfruttamento delle immense terre vergini messa a coltura di canna, cotone, caffè, mais, frumento, ecc.. Schiavi neri, indios, cinesi, europei. Senza l’importazione di manodopera, l’America sarebbe rimasta poco più che un’opportunità mancata.
E anche la nostra grande civiltà industriale, senza la schiavitù salariata, non sarebbe stata possibile: «Lo schiavo romano era legato al suo proprietario da catene; l’operaio salariato lo è al suo da invisibili fili. L’apparenza della sua autonomia è mantenuta dal continuo mutare dei padroni individuali e dalla fictio juris del contratto (Il Capitale, I, cap. XXI)».
[*] Propriamente la forza-lavoro diventa merce nell'àmbito del processo produttivo di tipo capitalistico, ovvero quando essa viene scambiata con capitale. Tale distinzione, per le sue implicazioni, non è secondaria.
Kabul, 21. Alti esponenti talebani sono alle Maldive per prendere parte a colloqui non ufficiali con rappresentanti del Governo di Kabul e dei partiti politici: l'obiettivo, riferiscono fonti di stampa, è discutere il deterioramento della situazione in Afghanistan e le possibili soluzioni per uscire dalla crisi. L'incontro è stato organizzato da Jariri Hekmatyar, genero di Gulbuddin Hekmatyar, leader del partito Hezb-i-Islami.
Non è stato reso noto chi pagherà il soggiorno.
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Si è appreso intanto che l'esercito degli Stati Uniti in Afghanistan ha annunciato l'apertura di un'indagine su alcuni soldati americani che sarebbero coinvolti nell'uccisione di tre civili afghani. Al momento non sono state rese note le generalità dei militari. Contro di loro, per ora, non sono stati formulati capi d'imputazione. L'inchiesta sarà condotta in Afghanistan.
Tre civili afghani, e gli altri? Che l'inchiesta sarà condotta in Afghanistan è un motivo di tranquilizzante soddisfazione.
Il 21 maggio 1935, il Cancelliere tedesco Adolf Hitler pronuncia un discorso davanti al Reichstag, in cui insiste nel dire che il suo governo nazional-socialista è impegnato per la pace. "Il Reich tedesco – dice il leader nazista – specialmente l'attuale governo tedesco, non ha altro desiderio se non di vivere in condizioni di pace e di amicizia con tutti gli Stati limitrofi." La vera minaccia per la pace in Europa, dichiara Hitler, è il bolscevismo.
Nel suo discorso, Hitler denuncia il Trattato di Versailles e le restrizioni poste alla Germania dopo la prima guerra mondiale, dicendo: "invece di uguaglianza di tutti i paesi, ne è venuta una classificazione tra vincitori e vinti; in luogo della parità di diritti, è stata posta la differenziazione tra i beneficiari di diritti e di quelli senza diritti; in luogo di riconciliazione di tutti, la punizione dei vinti e al posto del disarmo internazionale, il disarmo per la sconfitta ".
Hitler sorvolando disinvoltamente sul fatto che a scatenare il conflitto furono gli imperi centrali, avverte che sarebbe ora di ristabilire la parità economica e militare della Germania con le grandi potenze del mondo.
Lo stesso giorno, il governo nazista ribattezza il Ministero della Difesa in Ministero della Guerra. Una nuova legge inoltre istituisce un programma di addestramento militare per tutti i cittadini abili tedeschi di età compresa tra 20 e 35, esclusi gli ebrei. Hitler ha quindi dichiarato: "Chi accende la fiaccola della guerra in Europa può desiderare altro che caos".
Viviamo in un’epoca dove il progresso tecnico e tecnologico consentirebbe all’agricoltura e all’industria di soddisfare, senza grande sforzo, i bisogni primari di sussistenza di tutta l’umanità. Ciò nonostante siamo alle prese con fame e sotto nutrizione largamente diffuse, sia nei paesi poveri che in quelli economicamente più ricchi. Un sistema in cui tutto, anche l’acqua, è entrato nella sfera dei “beni economici”, diventando merce. Non è difficile accorgersi dello sfruttamento generalizzato, e allo stesso tempo della sottoutilizzazione degli impianti e della disoccupazione sempre più ampia, del prevalere della precarietà e della miseria, materiale e morale, dell’assenza di prospettiva futura. Senza dimenticare la devastazione e alterazione criminale della natura.
Tutto questo non accade perché l’”uomo” è cattivo ed egoista, ma perché vige un sistema economico che, indipendentemente dalla volontà dei singoli, impone le sue leggi, le quali non sono leggi di natura, anche se vengono di fatto ad agire come tali. I motivi dello squilibrio economico, cui fanno capo tali leggi, sono stati chiariti nel dettaglio da tempo. Solo i funzionari e i propagandisti della grande proprietà fingono, senza vergogna, che si tratti di altro.
La quantità di tutto ciò che questa società ci impone e ci infligge ha già superato la soglia oltre la quale ogni equilibrio faticosamente costruito viene rotto con violenza. Tuttavia questo sistema economico non ha la necessità di essere sostituito solo per motivi morali. Fosse per questo, durerebbe in eterno. È la necessità storica stessa che lo impone, perché è un sistema che oltre non funziona, perché ad un certo punto del suo percorso, le contraddizioni immanenti lo portano ad una crisi su scala generalizzata, irredimibile e devastante.
Ma la “Storia” non fa tutta da sola, ha bisogno di essere “aiutata”. Non è detto che quest’epoca di travaglio, assai doloroso, partorirà subito qualcosa di perfetto [*], ma sarà pur sempre necessario prendere in qualche modo la direzione di questo cambiamento. Non certo con politiche di “riforme”, le quali servono solo al sistema quali mezzi transeunti per sopravvivere e continuare in qualche modo sulla strada di questa follia.
Viceversa sarà la guerra, come è dimostrato storicamente, con la distruzione massiccia di capitale, materiale ed umano, ad offrire al capitalismo la possibilità di riprendere il ciclo di accumulazione su nuove basi. L’imperialismo trova sempre nuove ideologie disposte a combattere per i suoi interessi.
[*] Non esisterà mai la società perfetta, priva di contraddizioni e di conflitto. Ogni rapporto, appunto perché tale, contiene in sé delle contraddizioni. Questo non significa che non sia possibile stabilire condizioni sociali e di vita, in generale, diverse e migliori delle attuali. Non vi è nessuna necessità dei monopoli economici, della privatizzazione e sfruttamento dissennato delle risorse, della finanza “creativa”, di un modo di produrre, distribuire e consumare secondo il mero criterio capitalistico dell'accumulazione a scopo di profitto.
Remarks by Secretary of Defense Robert Gates at a Meeting of the Economic Club of Chicago:
Il Dipartimento della Difesa ha bisogno di pensare e di preparare la guerra in un modo profondamente diverso rispetto a quanto siamo stati abituati nel secolo scorso.
In verità, prepararsi per il conflitto del 21° secolo significa investire realmente in nuovi concetti e nuove tecnologie. Ciò significa tener conto di tutti i mezzi e le capacità che può portare alla lotta.
Si consideri che nel 2020 gli Stati Uniti prevedono di avere circa 2.500 aerei da combattimento di tutti i tipi. Di questi, circa 1.100 saranno i più avanzati, di quinta generazione: F-35 e F22s La Cina, invece, si prevede che non avrà aeromobili di quinta generazione entro il 2020. Ed entro il 2025, il divario si allarga: gli Stati Uniti avranno circa 1.700 tra i più avanzati aerei da di combattimento di quinta generazione, rispetto a una manciata di aerei comparabili per i cinesi.
Guantánamo è probabilmente uno dei migliori carceri nel mondo di oggi, a causa di tutte le cose che sono state fatte per cambiarlo e migliorarlo.