mercoledì 21 dicembre 2022

Lo squallido gioco delle parti

 

Lunedì scorso, dando conto di un’intervista di Andrea Carandini al Sole 24 Ore, riportavo una dichiarazione dello stesso: «L’errore più grande della mia vita? Iscrivermi al partito comunista. Mi convinse Giorgio Napolitano, responsabile della cultura del PCI».

L’archeologo, scavando nella sua memoria, ricorda male. Di recente aveva scritto di suo pugno e pubblicato una versione diversa:

«L’amico Marco Calamai – figlio dell’ammiraglio Marco e della nobildonna spagnola Natalia de Mesa, discendenti di Diego de Mesa capo della cavalleria castigliana che aveva conquistato l’isola di Tenerife – è stato un sindacalista della Cgil che a Caserta teneva un ritratto dei reali di Spagna sul comò. È stato lui che mi ha convinto a iscrivermi al PCI.» (L’ultimo della classe, Rizzoli 2021, p. 307).

Carandini offre uno spaccato di grande interesse, anche se non inedito, di che cos’era effettivamente il Partito comunista italiano, quantomeno nella sua dirigenza.

«Nel PCI vi erano aristocratici e borghesi di grande qualità, come Bianchi Baldinelli [il Cicerone di Hitler nella sua visita italiana del 1938] per la cultura e Giorgio Napolitano per la politica. Mi era chiaro che il PCI, dopo aver predicato agli inizi la rivoluzione e dopo aver avuto Mosca come centro gravitazionale e fonte di finanziamenti, era diventato quasi, seppure mai del tutto, un partito socialdemocratico, soprattutto da quando la (liberal-) democrazia è stata intesa da Enrico Berlinguer come un valore universale (ma i finanziamenti da Mosca proseguivano). Della cultura borghese erano impregnati anche i dirigenti e l’organizzazione centrale del partito» p. 306.

Non dobbiamo stupirci di nulla, né di ciò che accadde ieri, né di ciò che ci viene raccontato oggi. Già allora nel PCI non c’erano solo liberal-democratici finanziati da Mosca, ma anche informatori della CIA, come Giuliano Ferrara, per esempio, e chissà che altro ancora. L’essenza del patto neo-corporativo di allora, attribuiva al partito e ai sindacati il compito di far digerire alla classe operaia quelle politiche economiche necessarie alla borghesia per rilanciare i suoi profitti, dunque il compito di tenere a freno i lavoratori e mettere il morso alle lotte, perché quella era “una condizione necessaria, indispensabile di qualunque strategia di politica economica volta a combattere l’inflazione” nel quadro di un “dialogo tra attori istituzionali”, come si leggeva in uno studio della Fondazione Agnelli in collaborazione con l’Istituto affari internazionali, una succursale italiana della Trilateral.

Questo squallido gioco delle parti è proseguito anche dopo e funziona nella misura in cui regge la finzione che maschera i fili doppi e occulti che legano Stato, partiti, sindacati, istituzioni sovranazionali e grande borghesia. In tali circostanze ogni movimento autonomo, di reale contrapposizione, viene visto come un attacco diretto al Sistema, rubricato come attentato alla sicurezza dello Stato, per cui si può essere condannati all’ergastolo e alla tortura del 41bis.

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