mercoledì 31 agosto 2022

Bloccati in un ascensore


Portamento altezzoso, andatura sicura, sguardo diretto: Christine Lagarde, avvocato, già di Baker & McKenzie, modesta azienda che impiega 4.700 avvocati in 60 paesi, esperta di “ottimizzazione fiscale”, quale ministro dell’Economia, al tempo di Sarkozy presidente, confidava agli intimi: “le tasse fanno cagare”. Fu suo, per esempio, l’abbassamento della tassazione sulle successioni, che comunque resta stratosferica rispetto a quella italiana.

Suo anche lo “scudo fiscale” francese, che garantiva che nessuno avrebbe pagato troppe tasse all’orco di Stato. Abbassare le tasse ai più ricchi per incoraggiarli a investire, vi ricorda qualcosa? Quasi tutta la vita per ridurre le tasse alle grandi aziende e le persone facoltose. Quando fu direttrice del Fondo monetario internazionale veniva pagata solo 1.000 euro al giorno e però, da funzionaria internazionale, non pagava le tasse.

Come attuale presidente della Banca Centrale Europea ha disertato il conclave annuale della scorsa settimana convocato dalla Federal Reserve statunitense a Jackson Hole, motivando che è presa nella lettura dell’Ulisse di James Joyce. Una bufala circolata in Italia. In realtà Christine Lallouette sta rileggendo Port-Royal di quell’imbecille di Saint- Beuve (il tagliente giudizio non è mio).

Un partecipante al sabba finanziario nel Wyoming ha candidamente distinto tra quelli che possiedono una conoscenza superiore dei fatti economici, giustappunto quelli che presiedono all’economia globale, e tutti gli altri comuni mortali che invece sarebbero “finanziariamente meno alfabetizzati”, per dirla con educazione.

Sicuramente dal punto di vista delle tecniche finanziarie e speculative questa gente in grisaglie sa il fatto suo come pochi altri, tuttavia non è casuale che questi aspiranti “pilastri della saggezza”, con tutti i loro sistemi informativi avanzati, una vasta gamma di dati economici e finanziari e l’uso di modelli econometrici computerizzati, siano stati completamente colti alla sprovvista dall’aumento più consistente e rapido dell’inflazione che si sia avuto da quattro decenni.

Tale mancanza di comprensione e lungimiranza è stata personificata dal presidente della Fed, Jerome Powell. All’incontro virtuale di Jackson Hole di un anno fa ha insistito sul fatto che l’inflazione, di cui vi erano chiari e inequivocabili segnali, sarebbe stata “transitoria” e una volta che la pandemia fosse finita ci sarebbe stato un ritorno a una situazione di bassa inflazione.

Tuttavia questa presa di posizione non era semplicemente il prodotto dell’ignoranza. L’errata lettura della situazione serviva a difendere determinati e cospicui interessi. Costituiva la logica giustificazione per le politiche della Fed e delle altre banche centrali, che per anni hanno iniettato trilioni di zecchini nel sistema finanziario per sostenere le società quotate e garantire che l’orgia della speculazione potesse continuare.

Alla riunione di Jackson Hole di quest’anno, tenutasi in condizioni d’inflazione galoppante, Powell ha posto le basi per la risposta da dare, accolta da tutti i partecipanti, insistendo sul fatto che le banche centrali non devono esitare davanti ai rialzi dei tassi d’interesse e, se necessario, andare oltre le misure attuate del presidente della Fed Paul Volcker negli anni 1980.

L’inflazione attuale non è legata alla domanda, ma è il risultato di fattori dal lato dell’offerta, la cui importanza resterà elevata. In altre parole, l’inflazione non scomparirà, anche se certi picchi nei prezzi delle materie prime si sono ridimensionati e potranno farlo ancora.

L’economia globale è a una svolta storica, molti dei fattori che fino all’altro ieri erano favorevoli all’offerta aggregata e hanno tenuto a freno l’inflazione sono destinati a trasformarsi in fattori contrari. Includevano un ambiente geopolitico stabile, che ha consentito lo sviluppo di accordi commerciali internazionali e reti di produzione globale, il rafforzamento delle forze di mercato nelle economie nazionali che hanno portato alla privatizzazione e alla deregolamentazione dei mercati del lavoro, sviluppi tecnologici che hanno consentito di abbassare i costi di produzione, l’ampio accesso a siti di produzione più economici e creazione di paradisi fiscali legali per le società.

Questa situazione di deregolamentazione/normazione a senso unico, posta in essere da una classe politica progettata per proteggere gli interessi dell’oligarchia finanziaria (hai voglia a pedalare, Meloni), ha garantito l’aumento dello sfruttamento della forza-lavoro, salari reali stabili o anche ridotti, con bassi prezzi dei beni di consumo più economici. Inoltre tale quadro ha fatto agio alle banche centrali per fornire denaro a costi irrisori senza che vi fosse il timore dell’inflazione (al contrario, si paventava il rischio disinflazione).

Nel frattempo si stavano producendo delle “fragilità”, per esempio l’aumento della produttività derivante dall’integrazione dei cosiddetti mercati emergenti nelle reti globali si è rivelato fugace o comunque transitorio, e dell’altro verso si è avuta negli ultimi decenni una fortissima ascesa della finanziarizzazione, per cui l’accumulazione è diventata sempre più dipendente non dagli investimenti produttivi nell’economia reale ma dalla speculazione non produttiva nei mercati finanziari.

I rappresentanti delle élite finanziarie di Jackson Hole hanno chiarito chi sarà chiamato a sopportare i “dolori” della recessione economica in arrivo (è già qui, sull’uscio) derivante dagli aumenti dei tassi d’interesse. Intanto da noi si comincia a percepire (per la piena consapevolezza ci vorrà del tempo) di essere bloccati in un ascensore al 150° piano di un grattacielo. Soprattutto niente panico. Abbiamo i servizi di emergenza, qualcuno farà qualcosa per tirarci fuori dopo il 25 settembre. 

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