venerdì 7 febbraio 2020

Una merce come altre


La legge appena varata dal Senato, dopo il voto favorevole e unanime della Camera dei mesi scorsi, sulla commercializzazione dei libri, che riduce gli sconti praticabili dalla già prevista soglia del 15% fissata nel 2011 ad appena il 5%, è a mio parere la solita bischerata (ad imitazione dei francesi).

Bischerata non tanto per i motivi addotti a suo tempo dalla pur attenta Vitalba Azzollini, la quale ritiene che “un’agevolazione fiscale a taluni, privando di risorse il bilancio pubblico, si traduce in un costo a carico di altri”. Senza negare il fatto osservo che sulle agevolazioni fiscali ad capocchiam potremmo disquisire per mesi senza venire a capo di nulla.

Si tratta di altro e di ben più semplice.


Succede per i libri quello che la vulgata sostiene per il lavoro: “il lavoro non è una merce”! Favole, il lavoro è anzitutto una merce. Vale per i libri: il libro è una merce come le altre. Prima ci si renderà conto di questo fatto e meglio sarà per i librai, i lettori e anche per i sognatori in veste di legislatori.

È tempo di farsene una ragione, di trattare i libri per ciò che sono realmente e non per ciò che s’immagina essi siano e rappresentino. È un prodotto che sta sul mercato, si scambia con denaro e dunque va trattato al pari di ogni altra merce. Dopo di che possiamo ricamarci su col fatto che sia anche un prodotto “culturale”. Spesso non più delle … zucchine!

Ad ogni modo, quali certezze abbiamo che riducendo gli sconti si avranno più acquirenti/lettori e si salveranno dalla chiusura le librerie?

Bisogna anche tener conto dei più giovani lettori, i quali sono tecnofili, ossia utilizzano principalmente tablet e smartphone come dispositivi di lettura e lettura su più dispositivi. Sono anche fan degli audiolibri. È il loro un profilo abbastanza specifico poco attaccato alla carta e appassionato di tecnologia. Quindi il libro digitale ha già ampiamente trovato il suo pubblico e nulla potrà farlo recedere da queste forme di fruizione, ossia verso il libro di carta, anche s’è vero che difficilmente tale pubblico tenderà a grossi incrementi, ma anche in tal caso per un fatto economico più che altro, ossia la mancanza di un vantaggio cruciale offerto dagli e-book.

A questi lettori multi-equipaggiati dobbiamo aggiungere quelli che hanno un profilo diverso, e che sono soprattutto donne con più di 40 anni, grandi lettrici, soprattutto di romanzi, acquirenti di nicchia, pubblico stabilizzato che lascia i produttori con poche speranze di vedere incrementare il mercato dei lettori (pubblico che non di rado si rivolge alle biblioteche comunali).

Rimane la popolazione in generale, per la quale l’attrazione per il libro digitale rimane molto più limitata ma che legge pochissimo anche su carta. Si pensa realmente che riducendo ulteriormente gli sconti praticabili si avrà un aumento di questi acquirenti-lettori? In Francia, per esempio, non è avvenuto! Non resta che tentare di spartirsi gli acquirenti esistenti in una gara che non promette bene per le librerie.

Avrei infine una domanda del tutto personale da fare ai signori legislatori e librai: attualmente ho uno sconto del 10 per cento presso la mia libreria abituale, che tra l’altro mi procura i libri in tempi quasi sempre molto lunghi (a volte diverse settimane, negli ultimi due ordini in più di un mese), ebbene lo sconto attuale sarà dimezzato? L’ho chiesto ieri in libreria, ancora non sanno, e non sanno che fine faranno le convenzioni sottoscritte con alcuni clienti per sconti anche maggiori del 10%. Continuerò a servirmi di ibs.it (godo dei vantaggi “platino”), servizio pratico e soprattutto molto rapido con consegna a domicilio. Però d’ora innanzi procederò con più oculatezza nella spesa per libri, e questo è un fatto sicuro per quanto mi riguarda personalmente. In attesa che i librai si organizzino e si associno tra loro, rendendo più economico, più rapido ed efficiente l’acquisto della loro merce. Ma non ci credo.

6 commenti:

  1. Avrei un suggerimento. Se diminuendo lo sconto si aumentano i lettori, perché non mettere un sovrapprezzo, al fine di portare le masse alla lettura?
    Forse però è meglio che ritiri l'idea, perché a Franceschini, che non è un'aquila, potrebbe piacere.
    Più in generale, devo dire che veder sparire i piccoli librai mi dispiace, come mi dispiace che abbiano perso il lavoro i maniscalchi, gli spazzacamini, i carbonai, le lavandaie, e, per restare nei mestieri intellettuali, gli scrivani. Nel caso, però, che qualcuno tirasse ancora fuori la vecchia fola del libraio-consulente, potrei anche incattivirmi.
    Ritornando invece fra le persone normali, farei notare che tutte le attività commerciali sono intermediazione tra il produttore e il consumatore. Il costo dell'intermediazione è sostenuto dal consumatore, che fa fatica a accettare un maggiore costo in cambio di un'aura vagamente romantica appiccicata al commerciante.
    Da ultimo, vorrei integrare il profilo dei lettori di e-book da te tracciato. Non sono solo giovani smanettoni. C'è gente di tutte le età, anche della terza, nella quale è apprezzato poter adattare le dimensioni dei caratteri al visus.

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    1. sì, stai attento che in questo paese è carnevale tutto l'anno
      a proprosito di libraio-consulente, l'unica dritta buona l'ho avuta 45 anni fa da uno che mi consigliò un buon albergo in una capitale europea. a dire il vero non vidi i topi, invisibili, ma tutto il resto stava sotto gli occhi e non era un bel vedere. insistette che lui s'era trovato benissimo. per forza, era un topo di libreria.
      sposo il resto.

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  2. Attenzione che non è il lavoro che è una merce ma la forza-lavoro.
    Il lavoro,l'attività in cui si estrinseca la forza-lavoro o capacità lavorativa, non ha valore, ma è creatore di valore.
    Scusate ma, se non mi sbaglio di grosso, Marx così diceva, più o meno.
    Saluti.
    Carlo

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  3. molto esatto, grazie. io ho ripreso la frase così come viene proferita dalla vulgata.
    per essere più precisi ancora non basta dire che il lavoro è creatore di valore, ma che crea valore a determinate condizioni. il lavoro del lavoratore domestico non crea valore, né quello del medico, per quanto utili entrambi. perciò bisogna precisare ancora che solo il lavoro che si scambia con capitale è lavoro produttivo di valore.
    comunque bravo.

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    1. Purtroppo è un concetto che al giorno d'oggi non è compreso da quasi nessuno, molto più semplice accettare il concetto che il valore lo crea la distribuzione, con i vari ammenicoli "soggettivi", psicologia del singolo e tutto il resto.
      Trovi sempre qualcuno che per confutare Marx fa l'esempio dell'ora di lavoro di Leonardo Da Vinci con l'ora di lavoro di chi fa uno stuzzicadenti. Secondo questi geni una delle conseguenze della teoria di Marx è che l'ora di lavoro di Leonardo Da Vinci e quella del tizio dello stuzzicadenti, essendo tutte e due lavoro umano, darebbero lo stesso valore, ma che come si vede dalla realtà è una cosa assurda e quindi Marx va buttato in discarica....
      I "marginalisti" hanno capito tutto, come no.
      Un esponente della scuola marginalista, non ricordo se Jevons o Menger (letto da un sito di liberisti, Noise From Amerika, roba forte ^_^ ) per confutare Marx cianciava del tempo di lavoro dei pescatori di perle e di chi raccoglie dei sassi sul fondo marino, e che per la teoria marxista sarebbero produttori dello stesso valore a parità di tempo ma la realtà dei fatti non è così, quindi Marx è banalmente confutato.
      Vedete che "grandi argomenti" hanno questi geni dell'economia, ma sono queste chiacchiere da bar economico a fare presa sul volgo.
      Saluti ancora,
      Carlo.

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  4. il lavoro UMANO, s'intende

    http://diciottobrumaio.blogspot.com/2013/03/la-legge-piu-importante.html

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