mercoledì 24 settembre 2025

Una storia banale

 

Non esiste più, semmai è esistita, una memoria collettiva di che cos’è stato il fascismo. Oggi più che mai ci si ciba di stereotipi, sul tipo Italiani brava gente, il già popolare film di Giuseppe De Santis (1964), riproposto domenica scorsa dalla Rai senza nemmeno un cenno introduttivo di orientamento per lo spettatore. Un film che si congiunge idealmente a Mediterraneo di Gabriele Salvatores (1991), una piece comica dell’occupazione italiana della Grecia a cui fu attribuito pure un Oscar.

È l’idea che l’italiano per natura e perché cattolico sia naturalmente caloroso, buono, accogliente, per principio. Quindi non ci sarebbe bisogno di metterlo in discussione. In realtà, il popolo italiano non è diverso dagli altri. Quanto alla storia coloniale italiana, in particolare da parte del fascismo, era palese che anche l’Italia aveva diritto alla sua parte di torta, al suo posto al sole. L’imperialismo dei poveri: la nazione proletaria italiana aveva bisogno di colonie per dar lavoro e pane alla sua popolazione. Così che l’Italia ha colonizzato la Libia, l’Eritrea, la Somalia e l’Etiopia con tutte le gioie che accompagnano la conquista: i gas asfissianti, le stragi alla Graziani, i campi di concentramento alla Gastone Gambara.

Dunque non dobbiamo stupirci oggi del rigurgito fascistoide, dell’esaltazione di una presidente del consiglio che “sa le lingue”. “Fascisti del terzo millennio”, come amano definirsi tra loro al civico 8 di via Napoleone III (a Roma non si fanno mancare nulla anche in fatto di toponomastica). Il terreno ideologico è stato concimato per decenni, il racconto del “bravo italiano”, illuminato civilizzatore nelle colonie, blando imitatore della legislazione antisemita, benevolo occupante dei Balcani, eccetera.

Un insieme di forzature, alle quali contribuirono anche esponenti di sinistra, più orientati a sottolineare la volontà di riscatto e i meriti della Resistenza che non le colpe del fascismo e il vasto sostegno popolare da esso goduto per vari anni. Il resto l’ha fatto l’abituale amnesia collettiva.

E, dopo il “bravo italiano”, immancabilmente ti scappa anche “Mussolini ha fatto anche cose buone” (nella hit parade: “Mussolini ha perso a causa di Hitler”). È diventato normale dirlo ad alta voce, anche in televisione. Se poi consideriamo che la maggioranza assoluta degli italiani, senza differenza d’età e di condizione, è già analfabeta di suo, sarà solo questione di tempo e di dress code mentale perché la parola “anche”, una congiunzione tipicamente veltroniana, finisca per essere definitivamente omessa.


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