Laminatoio presso l’acciaieria di Magnitogorsk, 10 giugno 2025.
Siamo passati da: “la Russia fallirà domani”, al nuovo dogma: “il drago cinese s’inchiappetta l’orso russo”. Come in tutte le cose di questo mondo, che non sono mai semplici e lineari, sarchiando in questo nuovo terreno dogmatico si può trovare uno strato di verità.
È un fatto che la Russia dipende dalle sue esportazioni di idrocarburi, come un Kuwait qualsiasi, o quasi. Così come l’Italia dipende dalle sue esportazioni meccaniche, agro-alimentari, della moda, quindi dal turismo e altro. In modo non molto dissimile anche la Francia campa così. Gli Stati Uniti fanno eccezione: detengono il monopolio della moneta di scambio internazionale, di internet e dell’ideologia dominante.
La Russia, al contrario per esempio dell’Italia e della Francia, e al momento anche degli Stati Uniti, è un paese in guerra da tre anni e mezzo. È leader mondiale nell’esportazione e nella produzione di gas naturale e petrolio, possiede anche giacimenti di carbone, metalli e altre materie prime; tuttavia, essendo sottoposta a sanzioni economiche e finanziarie da parte dal suo tradizionale nemico, gli Stati Uniti, e dunque anche da parte dei satelliti di Washington, si trova a dover fronteggiare una situazione non facile per la sua economia: la crescita sta rallentando e il deficit di bilancio è in aumento.
A luglio, il Fondo Monetario Internazionale ha ridotto le previsioni di crescita del Paese dall’1,5% allo 0,9% per il 2025. Si tratta di un dato ben lontano dagli sbalorditivi tassi di crescita del 4% raggiunti nel 2023 e nel 2024, quando lo Stato aveva dedicato tutte le sue risorse finanziarie alla guerra (Le Monde).
Per la zona euro, la crescita prevista è dello 0,9%, anch’essa simile a quella del 2024 e a quella prevista per quest’anno in Russia. Quella dell’Italia si aggira generalmente attorno allo 0,5% - 0,7% (stima Istat e FMI), ma è noto che l’Italia è in guerra dal 1940.
Nel 2021, prima dell’escalation del conflitto tra Russia e Ucraina, la Russia ha importato 821 prodotti a duplice uso dai paesi che hanno imposto le sanzioni, 403 dei quali provenivano principalmente dall’Unione Europea. Questo elenco includeva beni di consumo come droni, prodotti intermedi come microprocessori e apparecchiature avanzate come termocamere e sistemi radar. Le importazioni russe di questi prodotti erano concentrate principalmente nei settori dei macchinari, della chimica e dei metalli.
Più in generale, nel 2021, l’Unione Europea (fornitore essenziale) e la Cina erano i due principali fornitori di beni a duplice uso alla Russia in ciascun settore. Con la guerra e le sanzioni a chi altri poteva rivolgersi Mosca se non ai Paesi che non le sono ostili?
Innanzitutto un dato, tenendo sempre conto che la Russia è un paese in guerra non solo contro l’Ucraina, cosa di non molto conto, ma con l’intera Alleanza Atlantica: le importazioni russe di questi prodotti a duplice uso sono aumentate fortemente tra il 2021 e il 2023, passando da 37,8 miliardi di dollari a 52,9 miliardi di dollari, con un incremento del 40%.
Non solo i prodotti a duplice uso sono particolarmente colpiti dalle restrizioni all’esportazione, ma le sanzioni finanziarie hanno reso più complessi gli scambi commerciali con l'Unione Europea in generale. Pertanto, le importazioni russe di prodotti a duplice uso dall’Unione non sono cessate del tutto, ma sono diminuite del 35% tra il 2021 e il 2023. Di fronte a questo shock, la Russia ha dovuto adeguare le proprie importazioni, rendendole più concentrate e quindi più dipendenti dai suoi nuovi fornitori.
Le importazioni dall’Unione Europea, che rappresentavano il 42% delle importazioni russe di beni a duplice uso prima della guerra, sono state sostituite da quelle provenienti da altri paesi (Cina, Turchia, ecc.). Pertanto, la quota delle importazioni russe di tali beni dalla Cina è più che raddoppiata, passando dal 30,2% nel 2021 al 66% nel 2023.
Oggi, le importazioni russe di beni a duplice uso dipendono quindi principalmente dalle forniture cinesi. E però c’è un altro dato di cui tener conto: a causa del calo delle importazioni di veicoli in Russia (saturazione del mercato) e del calo delle esportazioni di petrolio in Cina, i volumi degli scambi commerciali sono diminuiti dell’8,1% su base annua tra gennaio e luglio 2025, secondo i dati doganali cinesi pubblicati la scorsa settimana. Questi cali sono stati compensati da un forte incremento delle esportazioni russe di alluminio, rame e nichel.
Sebbene ridotte, le quote di altri fornitori come Turchia e Hong Kong sono aumentate considerevolmente dall’inizio della guerra, passando rispettivamente dall’1,78% e dal 2,8% nel 2021 al 4,8% e al 4,2% nel 2023. Percentuali comunque assai basse.
È dunque questa la situazione che evoca gridolini orgiastici presso i nostri soliti maître à penser della fellatio liberista. Con un’economia circa nove volte più grande di quella russa, non ci sono dubbi su chi domini le relazioni Russia-Cina, cosa che Mosca riconosce. Tra non molto ci sarà da considerare chi domina l’economia europea!
Questo riorientamento delle forniture di beni a duplice uso dimostra invece la capacità della Russia di adattarsi utilizzando nuove reti per aggirare le restrizioni commerciali. Va inoltre tenuto conto che l’aumento del valore delle importazioni russe potrebbe derivare da un aumento dei prezzi dei beni importati, e dunque per distinguere tra effetti di prezzo e quantità è necessario calcolare un tasso di compensazione per ciascun prodotto a duplice uso.
Questo tasso confronta la riduzione delle importazioni dai paesi che impongono sanzioni con l’aumento delle importazioni da altri paesi. Nel 2021, dei 600 prodotti importati principalmente dai paesi che impongono sanzioni alla Russia, 474 hanno visto il loro commercio diminuire (qualcuno in Italia se n’è accorto). Di questi, 154 sono stati interamente compensati da paesi che non hanno partecipato alle sanzioni, di cui 64 esclusivamente dalle esportazioni cinesi.
Settori strategici come i reattori nucleari, i macchinari e le apparecchiature elettriche e gli strumenti ottici mostrano tassi di compensazione particolarmente elevati: oltre un terzo delle forniture russe è stato completamente compensato in questi tre settori.
Sorprendentemente, nonostante l’attenzione prestata dai paesi occidentali alla cinquantina di prodotti utilizzati dall’esercito russo sul campo di battaglia in Ucraina, solo 31 hanno registrato un calo dei loro volumi di esportazione dai paesi che hanno imposto sanzioni. Di questi prodotti, 18 sono stati completamente compensati da altri paesi.
L’imposizione di restrizioni all’esportazione da parte dell’Unione Europea e di altri fornitori russi ha portato allo sviluppo di flussi commerciali volti ad aggirare il regime sanzionatorio. Alcuni paesi come Turchia, Armenia e Azerbaigian hanno consentito la spedizione di prodotti a duplice uso provenienti da paesi che applicano sanzioni sul mercato russo.
Per esempio gli ausili alla radionavigazione, un prodotto a duplice uso con numerose applicazioni militari, è emblematico. Mentre le esportazioni turche di questo prodotto verso la Russia erano quasi nulle prima della guerra, sono aumentate esponenzialmente (del 936%) a partire dal 2023, in concomitanza con un aumento delle importazioni turche dai paesi che impongono sanzioni.
Questo fenomeno è lungi dall’essere limitato a pochi casi aneddotici. Se consideriamo come riesportato un prodotto il cui aumento delle esportazioni verso la Russia rappresenta almeno la metà dell’aumento delle importazioni dai paesi che impongono sanzioni, quasi un quarto delle esportazioni turche verso la Russia è costituito da prodotti riesportati. Questa quota è significativa anche per altri paesi come Armenia (90%), Uzbekistan (74%) e Azerbaigian (66%).
Le sanzioni occidentali hanno tuttavia raggiunto un loro obiettivo, rendendo l’approvvigionamento dalla Russia non solo più difficile ma anche a volte più costoso e in certi casi anche di qualità inferiore. In guerra ci si arrangia come si può.
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