martedì 30 settembre 2025

Un alibi

 

Se non sapessimo che si tratta di due criminali, l’uno più efferato e bugiardo dell’altro, potremmo scambiarli per un vecchio duo comico, di quelli che dopo ogni battuta si danno di gomito. Il “loro” piano in 20 punti, volutamente vago e ambiguo, è un tentativo di crearsi un alibi con il sostegno dei loro complici, che fingono di crederci a quel piano. E che Netanyahu e Trump stiano mentendo è evidente soprattutto leggendo i punti 18 e 19, oltre al fatto che quel piano è totalmente privo di tempistiche (salvo la liberazione dei prigionieri entro 72 ore).

Inoltre, il piano si basa in larga misura su una proposta dell’ex premier Tony Blair, pubblicata integralmente domenica dal quotidiano israeliano Haaretz. È lo stesso Blair delle cosiddette prove (false) sulle “armi di distruzione di massa” di Saddam, per intenderci. Un criminale a piede libero che ha tentato di eliminare qualsiasi documento che potesse provare il suo diretto coinvolgimento nella costruzione delle false prove, secondo quanto ha scritto il ministro della Difesa del tempo, Geoff Hoon, nel suo libro di memorie, che conferma il rapporto pubblicato nel 2016 dalla commissione indipendente Chilcot.

È sufficiente avere una approssimativa conoscenza di che cos’è il sionismo e il suo progetto egemonico per comprendere che quel piano non è una cosa da prendere seriamente in considerazione. Nulla in quello schema corrisponde a ciò che vogliono i sionisti, se non il rilascio dei prigionieri e la resa di Hamas. Dopo di che, qualunque pretesto sarà valido per “continuare il lavoro” di pulizia etnica, addossando la colpa ad Hamas.

Ieri, intanto, le truppe di occupazione sioniste hanno ucciso un’altra quarantina di civili nella Striscia e altri morti ci sono stati nel sud del Libano durante un attacco di droni con la svastica sionista.

domenica 28 settembre 2025

Non è di grado zero

 

Passo per essere una specie di Cassandra, il che penso non corrisponda alla mia realtà personale. Per esempio, ritengo poco probabile, allo stato delle cose, una guerra nucleare. Poco probabile non significa impossibile.

Ciò che mi preoccupa è il fatto che non c’è consapevolezza su che cosa sia concretamente un’arma nucleare. Vene ne sono di diversa potenza, ma ciò di cui mi pare non si tenga in debito conto è che da tempo la potenza di tali ordigni non si calcola in chilotoni, bensì in megatoni. Per avere un raffronto immediato, un megatone corrisponde alla potenza distruttiva di oltre 70 ordigni di tipo Hiroshima. Oggi molti ordigni nucleari possono vantare la loro potenza in decine di megatoni.

È sufficiente uno solo di questi ordigni per cancellare per sempre, per esempio, l’Inghilterra, l’Île-de-France e dintorni, la Prussia o la Baviera, la Pianura Padana, le aree metropolitane di Varsavia, Kiev, Mosca, Leningrado, Washington D.C., New York, Tokio, Shanghai, eccetera. Un missile balistico intercontinentale a testate multiple, per esempio l’RS-28 Sarmat russo, con gittata di 18.000 km, è capace di raggiungere l’obiettivo una velocità di oltre 20.000 km/h trasportando fino a 15 testate nucleari ognuna da 750 chilotoni (50 volte la potenza di Hiroshima).

Lasciati da parte gli statunitensi, che sono una razza sincretica a sé (basti vedere la loro produzione cinematografica o il fatto che chiunque può acquistare un fucile mitragliatore), ciò che considero un ennesimo errore di portata storica è il fatto che l’Europa torni alla politica del riarmo. Ciò che dovrebbe preoccupare e allarmare l’opinione pubblica è il fatto che i Parlamenti votano massicci crediti di guerra, perché di ciò si tratta. Dunque, che i “volenterosi” leader europei siano in realtà desiderosi di piegare la Russia, costi quel che costi, senza aver proposto una seria trattativa con Mosca, né prima e né oggi. Seria trattativa con Mosca significa offrirle reali garanzie di sicurezza. Ma la follia più grande, ritengo, è quella di considerare la Russia al di fuori del contesto europeo, come qualcosa di estraneo alla nostra storia.

Noi ci comportiamo come giocatori d’azzardo, e precisamente come giocatori d’azzardo che barano pensando di avere in mano il gioco, di poter formare e modificare il mondo mutando le sue possibilità. Così pensiamo che diventi reale ciò che desideriamo. Ciò che dimentichiamo in questo nostro gioco con la realtà, è che il possibile è determinato secondo legge e il suo attuarsi può apparire solo nella forma del casuale. In ultima analisi secondo il grado di probabilità. Che per quanto riguarda un conflitto nucleare che annienta tutto e tutti, non è di grado zero.


venerdì 26 settembre 2025

Un lavoro di merda

 

Facciamo il punto. Nel cacofonico impero dei falsi che si diffonde intorno a noi e dentro di noi, qualche volta la verità viene a galla. Le autorità polacche avevano invocato l’art. 4 del Patto atlantico per la storia dello sconfinamento dei droni russi. Fosse stato per loro si sarebbe potuto tranquillamente dichiarare guerra alla Russia. E invece, secondo il coordinatore dei servizi segreti polacchi, Tomasz Siemoniak, non è stato un drone russo a scoperchiare l’abitazione rurale in località Wyryki-Wola, bensì un missile antiaereo vagante lanciato da un aereo F-16 polacco. Siemoniak sarà fucilato domani, all’alba.

Quindi il sorvolo dei caccia russi sul Mar Baltico. Domanda: quale cazzo di altro mare dovrebbero sorvolare i caccia russi se non quello prospicente Kaliningrad? Poi la storia dei droni sugli aeroporti scandinavi. Se non sono droni di Andromeda è roba di Zelens’kyj, quel comico che ha dimostrato una grande empatia per i gasdotti.

A partire dal 2027 (ma la data può essere anticipata in qualunque momento), ci sarà una visita medica obbligatoria per i tedeschi in età di leva. Inoltre devono compilare un questionario psico-attitudinale, se non lo fanno la legge prevede delle multe (per ora). La Bundeswehr, mentre suoi giovani ufficiali stanno battendo a tappeto le scuole, sta scrivendo lettere ai minori perché prendano in considerazione, una volta terminata la scuola dell’obbligo, l’arruolamento volontario.

Bisognerebbe dire loro che fare il soldato non è un lavoro normale, ma di merda. Può significare di dover sparare a qualcuno, o essere colpiti. Stanno giocando sulla paura. Riarmo, prontezza bellica, “punto di svolta”: tutto ciò viene giustificato dal fatto che la Russia si prepara ad attaccare la NATO. In realtà, la Germania si riarma per lo stesso motivo per il quale si è riarmata in passato.

La coscrizione obbligatoria dovrebbe appartenere ai libri di storia, così come la guerra, ma bisogna tener conto che chi decide del destino altrui abita suite insonorizzate e assume sostanze forti. I giovani e le loro famiglie ne subiranno le conseguenze. Anche in tal caso è solo questione di tempo, dunque per il momento fregatevene e continuate pure nella vostra dolce vita, ma un giorno la cartolina precetto vi apparirà come un annuncio pop-up sul vostro cellulare.

Ristrutturazioni

 

Ci sono circa 800 ufficiali di grado generale e ammiraglio nelle forze armate, di cui 44 al grado più alto, quello a quattro stelle.

A maggio, Hegseth ha ordinato una riduzione del 20% degli ufficiali a quattro stelle, proseguendo con le ampie riduzioni di personale e i licenziamenti che hanno caratterizzato i primi mesi del suo mandato. Ha già licenziato più di una dozzina di leader militari, molti dei quali persone di colore e donne. Ha licenziato il capo dello Stato Maggiore Congiunto, il generale Charles Q. Brown Jr., che è nero; la prima donna a comandare la Marina, l’Ammiraglio Lisa Franchetti; e il rappresentante dell’esercito statunitense presso il comitato militare della NATO, il Vice Ammiraglio Shoshana Chatfield. Ha anche estromesso il Generale David W. Allvin, Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, e il Tenente Generale Jeffrey A. Kruse, Capo della Defense Intelligence Agency.

I principali collaboratori di Hegseth stanno anche dando gli ultimi ritocchi a un documento per una nuova strategia di difesa nazionale per il Pentagono. Il documento, in fase di pubblicazione, pone la sicurezza interna e la difesa dell’emisfero occidentale in cima alle priorità di quello che Trump ora chiama Dipartimento della Guerra.

La convocazione delle più alte gerarchie militari deve essere valutata nel contesto dei crescenti sforzi di Trump per instaurare una dittatura personale. Le truppe della Guardia Nazionale occupano già Washington DC, in seguito alla dichiarazione dello stato di emergenza dell’11 agosto per un’inesistente “ondata di criminalità”.

Durante la grottesca commemorazione per l’agitatore fascista Charlie Kirk in Arizona, trasformata in un raduno in stile Norimberga, lo stesso Hegseth si è rivolto ai presenti dichiarando che gli Stati Uniti sono nel mezzo di una “guerra spirituale”, mentre Trump ha promesso di scatenare la Guardia Nazionale contro le città americane.

Per consolidare la sua dittatura, Trump ha bisogno di avere il controllo delle forze armate e dunque di avere nei posti chiave della gerarchia delle persone della cui obbedienza possa fidarsi.

Trump, che prima o poi pubblicherà in milioni di copie una raccolta delle sue massime più famose, ha anche detto che la Russia combatte da tre anni e mezzo una guerra che “una vera potenza militare avrebbe vinto in una settimana”. Come in Corea e nel Vietnam.

giovedì 25 settembre 2025

Droni alieni

In attesa che si denunci la presenza di sottomarini russi in un lago della Germania, giorni fa, il primo ministro danese Mette Frederiksen, ha descritto la presenza dei droni di origine sconosciuta presso l’aeroporto di Copenaghen come “l’attacco più grave alle infrastrutture critiche della Danimarca fino ad oggi”.

Volodymyr Zelensky ha subito preso la parola da Kiev e ha cercato di trasmettere la versione desiderata: è mano della Russia.

Come un paio di settimane fa in Polonia, chiunque abbia anche solo menzionato il termine “Ucraina” nella ricerca degli autori dell’incidente con i droni è stato bollato da Donald Tusk come vittima della “disinformazione russo-bielorussa”. Senza ombra di dubbio.

Ci si dimentica troppo spesso che Kiev non ha nulla da perdere se non la guerra. Da più di tre anni Zelensky afferma di aspettarsi che la NATO partecipi apertamente alla guerra. Quindi perché non provocarla?

Zelensky si vanta che i suoi droni possono raggiungere i 1.500 chilometri a est degli Urali, allora potrebbero benissimo volare per i 1.327 chilometri in linea d’aria da Kiev a nord-ovest. Che l’Ucraina non si tiri indietro di fronte agli attacchi alle infrastrutture critiche, anche negli stati alleati, e che quindi morda le mani che la nutrono e la armano, lo ha già dimostrato con il sabotaggio del Nord Stream.

L’unica alternativa alla responsabilità di Zelensky è che si tratti di oggetti alieni. Per me questa doveva essere una semplice battuta di spirito poco originale. Poi ho dato un’occhiata in rete ... 

La vera motivazione

 

Il riconoscimento della Palestina da parte di alcuni Paesi che ancora non l’avevano fatto (ne erano rimasti pochi in verità) può sembrare ingenuo, coraggioso o inutile, a seconda delle proprie convinzioni. Per me è una tardiva iniziativa per salvare la faccia, che vuole far credere che la famosa soluzione dei due Stati affiancati sia ancora praticabile, anche se la sua attuazione, stante il sionismo e altre questioncelle (ne cito una: le risorse idriche!), non la vedo praticabile, oppure, nella più ottimistica delle ipotesi richiederebbe anni di negoziati per risolvere innumerevoli problemi. Comunque ben venga finalmente tale riconoscimento. Netanyahu ha già dato la sua risposta: non ci sarà nessuno Stato palestinese.

E veniamo a Meloni e ai fascisti, vecchi e nuovi, che hanno letto i sondaggi sulla posizione degli italiani in merito a tale questione. Ne tengono conto anche in vista delle prossime regionali, in primis quelle delle Marche. Quindi hanno liberato il coniglio dal fez: sostengono che Hamas detiene ancora in ostaggio gli israeliani e che dunque le condizioni (la rinuncia di Hamas di essere presente in Palestina) per tale riconoscimento non sono soddisfatte.

La lista delle famose condizioni si rinnova da decenni, non è una novità per chi abbia una minima conoscenza (non inquinata) della questione palestinese. Ogni volta che si parla della creazione di uno Stato palestinese, si tirano in ballo delle condizioni mai soddisfatte. Come non si trattasse di un diritto ma di una ricompensa. Gli israeliani, così come i fascisti italiani oggi, pretendono un allineamento dei pianeti che sanno essere impossibile. Ci sarà sempre una buona scusa per giustificare la loro opposizione alla nascita di uno Stato palestinese.

La vera motivazione di un simile rifiuto non è Hamas. Vale la pena ricordare che la Risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza ONU, adottata nel novembre 1967, chiedeva il ritiro israeliano dai territori occupati. Quindi, i Paesi che riconoscono lo Stato di Palestina si basano sui confini precedenti a questa guerra, noti come “Linea Verde”...

mercoledì 24 settembre 2025

Fascisti

 

Grave problema di sicurezza all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York: il presidente dello Stato membro più importante delle Nazioni Unite avrebbe dovuto tenere un discorso inaugurale ai rappresentanti della comunità internazionale, e invece un vecchio confuso ha assaltato il podio e si è scatenato per un’ora. Alla fine, tutti i presenti erano visibilmente sollevati nel vedere che nessuno era rimasto ferito. Non è ancora stato chiarito dove si trovasse effettivamente il leader della comunità mondiale.

Nessuno può dimenticare l’epoca in cui il regime dell’apartheid in Sudafrica era all’apice del suo potere, e qualsiasi condanna della sua tirannia alle Nazioni Unite veniva bloccata dagli Stati Uniti e dai suoi satelliti. Oggi, per quanto riguarda il riconoscimento della Palestina, per quanto assuma ormai i toni di un riconoscimento meramente formale, a negarlo assieme a Donald Trump sono rimasti i fascisti e i criptofascisti (oltre ovviamente i sionisti). Peraltro non proprio tutti.

Che cosa intendo per “fascisti”? La domanda andrebbe posta diversamente: cosa c’è dietro l’ostinazione nell’evitare il termine “fascismo” nei media e dibattiti politici? Il fascismo è diventato “populismo” in Europa (*), e il “reazionario” intransigente è diventato il comodo “conservatore”. La simpatia per il fascismo è sempre stata presente, chiedete a Mieli, il Toynbee nostrano.

Conservatori e fascisti si sono fusi tra loro. Un fascismo democratico, ovviamente, che consenta la commedia delle libere elezioni e dunque lo stesso sguazzo odierno. Nella fogna fascista del terzo millennio c’è tanta bella gente, non solo Meloni, Salvini, Tajani e camerati vari. Per non parlare poi del fascismo del sistema bancario, un tema che però non fa “odiens” se descritto nei dettagli.

(*) Una parola, tra l’altro, che aveva un significato completamente diverso nel XIX secolo, sia in Russia che negli Stati Uniti. Elly Schlein o Emanuel Macron usano il termine “populismo” perché non hanno mai avuto e non vogliono avere, data la loro posizione di classe e ideologica, alcun contatto con il popolo, e hanno ceduto questo campo ai movimenti fascistoidi. Non è da escludere che Friedrich Merz e l’imbianchino Tino Chrupalla, detto Pennello, un giorno non troppo lontano si alleino.

Una storia banale

 

Non esiste più, semmai è esistita, una memoria collettiva di che cos’è stato il fascismo. Oggi più che mai ci si ciba di stereotipi, sul tipo Italiani brava gente, il già popolare film di Giuseppe De Santis (1964), riproposto domenica scorsa dalla Rai senza nemmeno un cenno introduttivo di orientamento per lo spettatore. Un film che si congiunge idealmente a Mediterraneo di Gabriele Salvatores (1991), una piece comica dell’occupazione italiana della Grecia a cui fu attribuito pure un Oscar.

È l’idea che l’italiano per natura e perché cattolico sia naturalmente caloroso, buono, accogliente, per principio. Quindi non ci sarebbe bisogno di metterlo in discussione. In realtà, il popolo italiano non è diverso dagli altri. Quanto alla storia coloniale italiana, in particolare da parte del fascismo, era palese che anche l’Italia aveva diritto alla sua parte di torta, al suo posto al sole. L’imperialismo dei poveri: la nazione proletaria italiana aveva bisogno di colonie per dar lavoro e pane alla sua popolazione. Così che l’Italia ha colonizzato la Libia, l’Eritrea, la Somalia e l’Etiopia con tutte le gioie che accompagnano la conquista: i gas asfissianti, le stragi alla Graziani, i campi di concentramento alla Gastone Gambara.

Dunque non dobbiamo stupirci oggi del rigurgito fascistoide, dell’esaltazione di una presidente del consiglio che “sa le lingue”. “Fascisti del terzo millennio”, come amano definirsi tra loro al civico 8 di via Napoleone III (a Roma non si fanno mancare nulla anche in fatto di toponomastica). Il terreno ideologico è stato concimato per decenni, il racconto del “bravo italiano”, illuminato civilizzatore nelle colonie, blando imitatore della legislazione antisemita, benevolo occupante dei Balcani, eccetera.

Un insieme di forzature, alle quali contribuirono anche esponenti di sinistra, più orientati a sottolineare la volontà di riscatto e i meriti della Resistenza che non le colpe del fascismo e il vasto sostegno popolare da esso goduto per vari anni. Il resto l’ha fatto l’abituale amnesia collettiva.

E, dopo il “bravo italiano”, immancabilmente ti scappa anche “Mussolini ha fatto anche cose buone” (nella hit parade: “Mussolini ha perso a causa di Hitler”). È diventato normale dirlo ad alta voce, anche in televisione. Se poi consideriamo che la maggioranza assoluta degli italiani, senza differenza d’età e di condizione, è già analfabeta di suo, sarà solo questione di tempo e di dress code mentale perché la parola “anche”, una congiunzione tipicamente veltroniana, finisca per essere definitivamente omessa.


martedì 23 settembre 2025

Fischiettando davanti al cimitero

 

Alla fine s’è parlato d’altro. Così come si voleva. Il giornalista Severgnini, inutilmente canuto e però utilmente portatore d’acqua, ha addirittura scoperto che “gli israeliani vogliono prendersi la terra”. Riesce ancora a sorprendere questa ridicola gente.

L’unico dato certo è che l’ordine mondiale continua la sua inesorabile decostruzione e questa non è una buona notizia per nessuno. Esisteva una forma di rispetto reciproco tra le grandi potenze e i loro regimi; esistevano anche regole di condotta volte a ridurre il rischio di una guerra. Invece del rispetto reciproco, regna il disprezzo per la parte avversa e non esistono più regole del gioco, il che aumenta costantemente il rischio di incidenti.

Da parte dell’Occidente c’è un senso di superiorità morale che non trova riscontro nei fatti. Da tempo l’attenzione non è più rivolta allo studio o alla comprensione dell’avversario, ma alla sua pubblica derisione e umiliazione. Nel giugno 2013, durante una conferenza stampa, Barack Obama ha definito la Russia una “potenza regionale”, minimizzandone il ruolo sulla scena internazionale.

Sono incapaci di qualsiasi riflessione strategica a lungo termine. La Russia è un paese dalle dimensioni di un continente, dotato di abbondanti risorse naturali e di una profondità strategica. Occupa una posizione centrale nel continente eurasiatico, confina con una dozzina di paesi, tra cui Cina, Stati Uniti e Giappone; ha accesso sia all’oceano Atlantico che a quello Pacifico e possiede la costa più lunga – e la più grande zona economica esclusiva – dell’Artico. Inoltre, sorprendentemente, la Russia viene trattata come se non avesse un vasto arsenale nucleare.

Quanto all’Europa, che con miopia s’identifica nella UE (Londra è un sobborgo di Washington), in assenza dei leader del passato, abbiamo a che fare con personaggi fin troppo convenzionali. Dopo il febbraio 2022, il conflitto di logoramento della Russia non ha dato i frutti sperati, e ora ci stanno portando allo scontro frontale con essa. Non potrà che finire male.

lunedì 22 settembre 2025

Un monarca assoluto alla Casa Bianca

 

Riassumo (velleitariamente, lo so) una delle cause fondamentali che trasformarono quella che poteva essere una delle numerose rivolte sociali in Francia nella rivoluzione francese del 1789: il debito pubblico e i relativi interessi mostruosi che ammontavano a circa il 50% della spesa statale (fonte: Lefevre, Fayard, Fierro, Tulard, ecc.).

Luigi XVI cambiava ministro delle finanze, ora l’uno ora l’altro, ma la situazione non mutava. Promulgava leggi che il Parlamento di Parigi faceva passare senza battere ciglio, tranne quella che prevedeva di far pagare le imposte ai privilegiati (nobili e alto clero), che costituivano la quasi totalità dei membri del Parlamento stesso.

Il conflitto tra la monarchia e il Parlamento, ovvero tra il re e la nobiltà, portò quest’ultima a chiedere e ottenere (agosto 1788) la convocazione degli Stati Generali. Solo il “popolo” di Francia poteva decidere su una simile questione, ossia far pagare le imposte (o più imposte) ai privilegiati. Luigi XVI pensò bene di raddoppiare il numero dei deputati del Terzo Stato, in modo da ottenere la maggioranza e far passare le sue riforme finanziarie.

Si trattava però di decidere se far votare per “ordine” (nobili, clero e borghesi) oppure per “testa”. Su questa questione gli Stati Generali, riuniti nella primavera del 1789, si divisero. Finché il Terzo Stato, convocatosi di per sé nella famosa Sala della Pallacorda a Versailles, si costituì in Assemblea Costituente. Le rivolte di piazza a Parigi, la presa della Bastiglia, diedero man forte a questa iniziativa. Il resto è storia conosciuta e spettacolarizzata.

Veniamo all’oggi, che ovviamente non è esattamente sovrapponibile a quei lontani avvenimenti francesi, ma che ad ogni modo può servire a mo’ di analogia.

Gli Stati Uniti sono stati in grado di usare il proprio debito pubblico per combattere guerre, recessioni globali, pandemie e crisi finanziarie. Basta “stampare”, ricordava il presidente Reagan. Data la reputazione del dollaro come asset più sicuro e liquido al mondo, i deficit correnti, basati su nuovi prestiti, sembravano un vero e proprio pranzo gratis: gli investitori globali sarebbero sempre stati felici di digerire un’altra montagna di debito in dollari.

Ma oggi i tassi d’interesse a lungo termine sono aumentati bruscamente sui titoli del Tesoro a 10 e 30 anni. Il debito statunitense, pari a 37.000 miliardi di dollari, è ormai pari a quello di tutte le altre principali economie avanzate messe insieme; il deficit annuale sfiora i 1.000 miliardi, e dunque un aumento dei tassi di interesse di appena l’1% si traduce in un pagamento aggiuntivo di 370 miliardi di dollari per il debito pubblico.

Le finanze statunitensi si stanno avvicinando a una situazione in cui sarà necessario prendere in prestito più denaro solo per pagare gli interessi sui debiti pregressi. Vi sono ormai chiari segnali che la fiducia nel dollaro statunitense – la base della capacità degli Stati Uniti di portare il debito a livelli record – si sta rapidamente indebolendo. Quest’anno ha perso il 10% del suo valore rispetto alle altre valute, e la scorsa settimana una nota emessa dalla Deutsche Bank affermava che “gli investitori stranieri stanno riducendo l’esposizione al dollaro a un ritmo senza precedenti”.

L’aumento del prezzo dell’oro, di oltre il 35% dall’inizio dell’anno, è un altro importante indicatore della crescente mancanza di fiducia nel dollaro statunitense come valuta fiat, non sostenuta da alcun valore reale, ma dal sistema finanziario statunitense e dalla sua potenza tecnologica e militare. Gran parte dell’aumento del prezzo dell’oro è dovuto all’aumento degli acquisti da parte delle banche centrali (che sentono spirare venti di crisi e di guerra), quintuplicati negli ultimi tre anni e mezzo, al punto che l’oro è ora la seconda riserva di attività dopo il dollaro, superando l’euro.

Il motivo per il quale il monarca assoluto che siede alla Casa Bianca chiede e vuole un taglio consistente dei tassi da parte della Federal Reserve non ha nulla (o molto poco) a che vedere con l’impulso all’economia reale o con il contrasto a un mercato del lavoro in netto indebolimento, dove uno dei principali ostacoli immediati alla crescita economica e all’occupazione è l’aumento della struttura dei costi dovuto agli aumenti tariffari.

Trump vuole il taglio dei tassi per ridurre il deficit e il debito per avere più dollari da spendere per i suoi progetti faraonici, per dare ulteriore impulso al mercato azionario e agli oligarchi finanziari che costituiscono la base del suo regime, oltre a fornire supporto al fiorente mercato delle criptovalute, che è direttamente vantaggioso per lui e la sua famiglia.

Lo scontro tra la Fed di Powell e la Casa Bianca di Trump sta ad indicare che appena sotto la superficie si stanno accumulando tensioni all’interno del sistema finanziario e anche a livello economico e sociale, tensioni che prima o poi esploderanno.

domenica 21 settembre 2025

Cose d’altri tempi

 

L’immagine di Konrad Adenauer, cordiale coltivatore di rose in quel di Rhöndorf am Rhein, deve essere rivista. Fino alla sua morte si rifiutò di rivelare i nomi dei donatori che gli avevano versato 2,1 milioni di marchi tedeschi (di allora) in donazioni senza renderne conto nei libri contabili della CDU. Ma non è di questo che tratto qui di seguito.

Nel 1952, il cancelliere Adenauer dichiarò senza mezzi termini in un’intervista all’allora influente quotidiano Merkur: «Ciò che si trova a est del Werra e dell’Elba sono le province non redente della Germania [...]. La parola riunificazione deve finalmente scomparire. Ha portato troppi danni. Liberazione è la parola d’ordine».

Fin dai primi anni del suo cancellierato, Adenauer basò l’intera politica tedesca sull’annessione forzata della RDT. Bisogna tener conto che vigeva allora la cosiddetta dottrina Hallstein, secondo la quale qualunque relazione diplomatica intrattenuta da un Paese terzo con la Repubblica Democratica Tedesca (Germania Est), in virtù della cosiddetta rappresentanza unica del popolo tedesco da parte della Repubblica Federale Tedesca, era da considerarsi un atto ostile e avrebbe portato all’immediata interruzione delle relazioni diplomatiche.

Tre anni dopo l’intervista al Merkur, l’8 settembre 1955, Adenauer si recò a Mosca nelle vesti di un rispettabile cittadino. Il suo aereo, come dichiarato nel gennaio 2009 da un ex funzionario della CIA coinvolto nell’operazione, era stato equipaggiato con telecamere speciali presso un aeroporto militare in Ohio, con l’espressa approvazione del cancelliere della CDU.

L’obiettivo era spiare le posizioni difensive intorno alla capitale sovietica da bassa quota approfittando della visita di Stato. Il comandante dell’aereo governativo era uno degli amici americani del cancelliere. Dopo l’arrivo all’aeroporto di Mosca, l’aereo, senza nessun passeggero a bordo, fece immediatamente ritorno nella Repubblica Federale di Germania. Quella stessa sera, le pellicole furono sviluppate presso la base dell’aeronautica militare statunitense di Wiesbaden. Il cancelliere Adenauer era stato ricevuto con tutti gli onori e un caloroso benvenuto dal primo ministro sovietico Nikolaj Bulganin. Solo decenni dopo si è saputo che il cancelliere era diventato un agente segreto degli Stati Uniti.

Adenauer e i suoi successori autorizzarono Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia di spiare i cittadini tedeschi, nonché i deputati e i ministri, di censurare lettere e intercettare telefoni a loro piacimento. Questo accordo tra la Germania e i suoi alleati è ancora in vigore.

Per conto suo, Adenauer faceva spiare l’intera dirigenza della SPD. Si avvalse in particolare di due suoi stretti collaboratori, il Direttore della Cancelleria della Repubblica Federale, Hans Globke, ossia l’avvocato che nel 1935 scrisse il commento legale alle leggi razziali di Norimberga (e per tale motivo condannato all’ergastolo in contumacia nella DDR), e il capo dei servizi segreti della Germania Ovest, Reinhard Gehlen, ex generale della Wehrmacht e figura di spicco durante il periodo nazista.

Parliamo ora di Kurt Benno Fechner. Durante la guerra era stato ufficiale dell’unità di sabotaggio e sovversione dell’Abwehr II, il cui compito era quello di sostenere le ambizioni espansionistiche tedesche con l’aiuto delle minoranze nazionali. Singolare il fatto che Fechner fosse ebreo, ma le leggi razziali di Norimberga non venivano applicate nell’Abwehr. Nell’agosto del 1944, il tenente colonnello Fechner assunse la direzione dell’allora Quartier Generale II Sud-Est per la Ricognizione del Fronte a Vienna. È in tale veste che fu in stretto contatto con l’organizzazione clandestina ucraina OUN, dalla quale oggi è mutuato il logo che adorna l’uniforme dei soldati ucraini e di Zelens’kyj (**).

Tra i colleghi più importanti di Fechner figuravano il professore dell’Europa orientale Hans Koch (1894-1959), in qualità di suo vice, e il suo aiutante di campo, il capitano Siegfried Ziegler. Nel dopoguerra Ziegler fu confidente di fiducia di Reinhard Gehlen. Ziegler reclutò Sigfried Ortloff, capo della sicurezza e del personale della sede centrale del partito SPD, come suo principale informatore.

Non deve per nulla sorprendere incontrare gli stessi nomi dell’intelligence nazista in incarichi nell’intelligence della Germania Ovest e dell’Austria, né l’orgia di ipocrisia nella quale è coinvolto per molti aspetti oggi l’Occidente libero e democratico.

Per fare degli esempi: secondo i documenti depositati nei National Archives Usa (numero di identificazione XE004471), la CIA aveva individuato Eichmann in Argentina almeno dal 1958, ma si guardò dal fornire le informazioni sul criminale di guerra a chicchessia, Israele compresa. Per proteggere proprio Hans Globke, Segretario di Stato e consigliere del cancelliere tedesco Adenauer, che aveva lavorato nel dipartimento Affari Ebraici (***). Il caso del citato generale Reinhard Gehlen, uno dei capi dei servizi segreti nazisti, che alla fine della guerra venne semplicemente assunto dagli americani per continuare ciò che sapeva fare meglio: lo spionaggio all’Est. Le informazioni su di lui sono state tenute segrete per 50 anni e solo dal maggio 2004 sono diventate consultabili nei National Archives (Record Group 319, Entry 134A, Boxes 144A-147).

(*) Un certo Philipp Gerber, emigrato con la sua famiglia negli Stati Uniti, divenne agente del Counter Intelligence Corps (CIC). Poco prima della fine della guerra, viaggiò lungo il Reno, con l’incarico (non è noto se nell’ambito dell’Operazione Paperclip) di trovare una persona che gli Stati Uniti consideravano importante per la Germania del dopoguerra. Gerber trovò la persona. Era anziana, con il volto segnato dalla sua vita precedente. Era l’ex sindaco di Colonia, Konrad Adenauer.

Qualche anno dopo, nell’estate del 1953, le strade di Adenauer e Greber si incrociarono di nuovo. Gerber fu incaricato di indagare sulla morte di un funzionario del gruppo di sicurezza di Bonn. L’uomo era uscito di strada con la sua auto della polizia a causa di una gomma a terra, schiantandosi mortalmente. Ma non si trattò di un incidente, perché la gomma dell’auto fu forata da un proiettile sparato da un fucile di precisione. Non un incidente, ma un attentato. Ma perché? Chi c’era dietro? Gerber fu incaricato di scoprirlo. Il CIC lo nominò subito agente del Bundeskriminalamt (BKA) e membro del gruppo di sicurezza di Bonn.

(**) Con “ricognizione frontale” si intendevano le unità operative e i centri di comando dell’Abwehr (Servizio di intelligence del Ministero del Reichswehr), che durante la seconda guerra mondiale si occupava di spionaggio, sabotaggio e controspionaggio in prima linea. La ricognizione in prima linea di solito coinvolgeva informatori e agenti che collaboravano con l’Abwehr per vari motivi. I vettori della ricognizione segreta prima della guerra erano quei collegamenti all’estero gestiti dal quartier generale dell’Abwehr o dai centri di controllo dell’Abwehr, ad esempio, con l’organizzazione clandestina ucraina OUN.

L’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN), fondata a Vienna nel 1929 come punto di ritrovo per vari gruppi nazionalisti e veterani della prima guerra mondiale, cooperò con l’Abwehr tedesco e partecipò alle invasioni tedesche della Polonia e dell’Unione Sovietica sia nel 1939 che nel 1941.

Durante la seconda guerra mondiale, l’OUN si divise nel 1940 in un’organizzazione guidata da Andriy Melnyk – i Melnykisti (OUN-M) – e i Banderisti (OUN-B) sotto la guida di Stepan Bandera. I membri dell’OUN-B combatterono nei battaglioni Nachtigall e Roland della Wehrmacht tedesca durante la guerra contro l’Unione Sovietica nelle terre d’origine ucraine. I membri dell’OUN-M fornirono volontari per la Divisione Galizia delle Waffen-SS. Nel 1942, l’OUN-B fondò l’Esercito Insurrezionale Ucraino come esercito clandestino, che combatté contro l’Esercito Nazionale Polacco e, fino all’inizio degli anni ‘50, contro l’Unione Sovietica. In seguito, l’OUN visse in esilio nei paesi occidentali. Il Congresso dei Nazionalisti Ucraini (KUN), fondato nel 1992, si considera il successore dell’OUN.

(***) È stupefacente la “diligenza” e la perseveranza della burocrazia tedesca. I cittadini del Reich emigrati (non solo ebrei) furono puniti con la revoca della cittadinanza tedesca. Già nel 1933, il Reich disponeva di uno strumento per la denaturalizzazione individuale. E lo Stato nazista se ne avvalse: ai sensi dell’art. 2 della Legge sulla revoca delle naturalizzazioni e la privazione della cittadinanza tedesca del 14 luglio 1933, circa 39.000 persone furono dichiarate “private della cittadinanza tedesca”. Lunghi elenchi numerati contenenti i nomi di coloro che erano diventati apolidi apparvero sulla Gazzetta Ufficiale del Reich Tedesco e sulla Gazzetta Ufficiale dello Stato Prussiano, l'ultima delle quali pubblicata il 7 aprile 1945.


venerdì 19 settembre 2025

Il rovescio della medaglia

 

Allargando un po’ i nostri orizzonti, non possiamo non notare come gli interessi fondamentali dell’oligarchia capitalista non possano più essere conciliati con i bisogni e le aspirazioni della società nel suo complesso. Succedeva anche prima dell’attuale fase, ma oggi lo strapotere di tale oligarchia ha raggiunto livelli di scala inediti. Un tipico rappresentante politico di tali interessi è Trump. Paradossalmente il successo elettorale di questi tipici rappresentanti politici dell’oligarchia deriva in gran parte dal saper coagulare la protesta e la rabbia sociale volgendo gli antagonismi sociali a proprio favore.

Naturalmente i nuovi media giocano un ruolo essenziale in questo processo di rivolgimento che è tangibile a tutti. Si tratta di una strategia non dissimile a quella messa in atto, ma oggi con strumenti di manipolazione ancora più sofisticati e potenti, da movimenti politici come il fascismo e il nazismo.

Per esempio, la questione dell’immigrazione chiama a battaglia contro di essa le passioni più ardenti, più meschine e più odiose del cuore umano. Eppure, per limitarci ai nostri orizzonti, in stretto senso, basterebbe girare un po’ per vigneti e frutteti in questa stagione per accorgersi che larga parte della forza-lavoro impiegata nella raccolta del prodotto non è, per così dire, autoctona. Gran parte della forza-lavoro impiegata in agricoltura, nell’allevamento e in pastorizia è costituita da immigrati. Per non parlare poi dei cantieri edili e altre attività ad alto contenuto di manodopera.

C’è il rovescio della medaglia, costituito da una non minuscola percentuale di immigrati che invece vivono di espedienti, spesso ai margini della società e nella illegalità. Sono persone che alimentano la cronaca nera e le carceri. A volte vere e proprie gang, che delinquono creando un forte allarme sociale. E così quartieri un tempo di alto pregio residenziale sono diventati invivibili per chi può contare su un certo livello di incivilimento. Poi magari le statistiche dicono che certe tipologie di reato sono in diminuzione, ma resta tuttavia il fatto che tali reati possono essere annoverati nella categoria della cosiddetta microcriminalità solo se tra le vittime non figura anche il tuo nome o quello dei tuoi cari.

Questi sono segni dei tempi, che non possono essere nascosti sotto manti purpurei o sotto tonache nere. La sinistra moderata, progressista, ben posizionata socialmente e culturalmente, semplicemente ignora la questione. Per contrapposizione ideologica e politica. Poi però stupisce di diventare essa stessa bersaglio del risentimento sociale ben sfruttato da chi sa usare il manganello mediatico senza troppe perifrasi.

giovedì 18 settembre 2025

Quel leninista di Bersani

 

L’altra sera, durante una sessione di karaoke televisivo, Pierluigi Bersani cantava: la lotta ideologica è la lotta più importante. La canzone diceva che l’ideologia è dura quanto il marmo. Peccato che questo genere di consapevolezze bersaniane arrivi sempre con qualche lustro di ritardo.

Scrivevo il 2 dicembre 2014:

«Nel materialismo dialettico, partendo anzitutto da Marx ed Engels, c’è la possibilità di legare positivamente insieme critica e pratica antagonista. Per quanto ci riguarda, bisogna capire bene che la lotta ideologica è una determinazione essenziale della lotta di classe, senza di essa non c’è teoria, e senza teoria e sviluppo della stessa non c’è organizzazione pratica.»

Il 30 settembre 2022:

«Lotta ideologica significa far comprendere che le nuove forme in cui si esprime sia il capitalismo e sia lo Stato, ci fanno tutti schiavi nella stessa caverna, e che fermare la guerra dipende da noi, dalla nostra mobilitazione. Solo sulla base di questa opposizione di massa comincerà a operare anche il principio strategico della fase successiva.»

Il 14 settembre 2023:

«Proprio non si vuol capire che la lotta ideologica è la forma di lotta più importante nella nostra epoca. La grande borghesia l’ha capito da tempo e il “pensiero liberale” questa guerra l’ha stravinta. Non è semplicemente una lotta tra destra e sinistra, come sostiene Pierluigi Bersani nelle sue recidive televisive nel disperante tentativo di rintracciare i favori di un elettorato che però è ormai lontano.»

Il 1° maggio dell’anno scorso:

« [...] ripeto per l’ennesima volta, la lotta ideologica è la lotta più importante. Non per far cambiare idea ai padroni e ai loro mantenuti (impossibile), ma per far uscire noi dalla caverna nella quale ci tengono incatenati con le loro bugie e i pregiudizi ripetuti continuamente e che creano dei bias cognitivi.»

Della lotta ideologica non c’è stata più traccia, non solo dopo il 1989, ma già da prima. Chi arriva tardi, la storia lo punisce. Ebbe ad accorgersene Gorbacev, ma qui da noi tale consapevolezza è mancata totalmente. Anzi, si è passati dall’altra parte della barricata!

Il tempo in cui viviamo dimostra bene che era un’illusione pensare che lo scacco fosse solo dei comunisti, ivi compresi i comunisti del PCI e i lacerti che gli sono succeduti. Un errore esiziale aver pensato che fosse tutto da buttar via, esecrando le idee di rivolta e restando indifferenti, quando non segretamente compiaciuti, al prezzo che la globalizzazione capitalistica faceva pagare a tanta parte dei lavoratori delle metropoli.

Penso che la fine del mondo sia già avvenuta. Il mondo di ieri, certo. Noi vecchi siamo dei sopravvissuti, per qualche tempo ancora. Poi di quel mondo di ieri non resterà più alcun testimone. Nostalgia del passato? Leggo che in Francia il nuovo governo ha annunciato il divieto di vendita, dal marzo prossimo, delle sigarette in bustina (*).

Più che di nostalgia canaglia direi si tratta della amara constatazione delle tante occasioni perdute e del fallimento di chi quelle occasioni volle perderle per inseguire il sogno di poter mettere assieme tutto ciò che non stava apertamente a destra, così come l’equazione impossibile di conciliare la bulimia dei filantropi del capitale con tutto il resto. Voler colpire le banche e i boss della tecnologia con sempre nuove armi letali contro l’ingiustizia fiscale, per esempio, per poi scoprire che sono pistole ad acqua.

Oppure cavalcare la faccenda dell’immigrazione ventilando la “regolarizzazione dei flussi”. Scavalcati a sinistra ancora una volta dai fascisti: dopo i 450mila del triennio 2023-2025, il governo ha varato a giugno scorso il nuovo decreto flussi che stabilisce 164.850 quote per il 2026, 165.850 per il 2027 e 166.850 per il 2028.

Eccetera, eccetera, eccetera, come direbbe l’anima in pena di Cacciari il Massimo.

(*) Noi ci siamo presi avanti: il sedicente ministro Francesco Lollobrigida ha firmato un accordo con la Philip Morris Italia per sostenere la filiera del tabacco nazionale, in particolare la coltivazione del tabacco Kentucky. In attesa di vietare il fumo anche nel cesso di casa nostra.

martedì 16 settembre 2025

[...]

 

Pensavamo che la nascita d’Israele avrebbe lavato via la nostra colpa. Era facilmente prevedibile che il sionismo avrebbe trasformato i palestinesi nelle sue vittime e la Palestina in un territorio da colonizzare integralmente. Gli ebrei non hanno mai considerato la popolazione araba come abitante di quella terra, nonostante vi avesse vissuto per così tanto tempo. Come potrebbero gli ebrei vivere il mito della loro origine, sentirsi definitivamente a casa loro quando la popolazione palestinese sfollata e colonizzata vive tra loro o ai loro confini immediati, manifestando costantemente la sua presenza? Gli ebrei hanno capito che quella terra non sarebbe mai stata veramente loro a causa della presenza di questo popolo. Hanno costruito muri di separazione, recinzioni, filo spinato, posti di blocco, ma era sempre più difficile per loro sentirsi a casa propria. E allora bisognava rimuovere il “problema” alla radice. Spostare, cancellare le tracce e la memoria di coloro che sono stati uccisi e vengono cacciati.

Oggi i sionisti hanno gettato definitivamente la maschera e stanno completando l’opera. Nessun ebreo (non solo i sionisti) potrà più dirsi innocente di fronte ai palestinesi. Nessuno di noi potrà più dirsi innocente di fronte a quanto è accaduto e sta accadendo in Palestina. Non è questione che riguarda la destra e l’estrema destra. Ci siamo dentro tutti, ebrei e non ebrei, di qualunque colore e sfumatura politica. Nessuno di noi può davvero vantare una coscienza pulita, anche quelli che hanno la certezza di essere sempre dalla parte giusta. Complici del massacro di una popolazione inerme. Nel caso non piacesse il termine genocidio, si chiama pulizia etnica. Un massacro annunciato e reiterato in modo meticoloso, cibernetico e freddo. Ci siamo fatti prendere in ostaggio da dei criminali di guerra tra i più turpi, che non rispondono al nome del solo Netanyahu, dei componenti razzisti del suo governo, dei generali e dei soldati dell’esercito con la stella che equivale a una svastica. I loro complici diretti, i loro fornitori di armi, munizioni ed equipaggiamenti, i loro sostenitori ad oltranza sono anche a Washington, Bruxelles, Londra, Parigi, Roma, Berlino, eccetera.

Un nuovo Bottai

 

Gli intrattenitori stanno tornando alla spicciolata dalle lunghe vacanze, dunque basta con i temi estivi: troppo caldo, caro ombrellone, intossicazioni alimentari e bombe su Gaza. Esperti nel rilevare che i salari sono troppo bassi e il carrello della spesa ...

L’anno scolastico è iniziato alla grande. Sotto il segno della epocale riforma che vieta l’uso dei microtelefoni a scuola. Una misura che parrebbe di buon senso, che troverà il consenso di molti genitori, compresi i furiosi che, per aver dato alla luce dei somari cyberpunk, strangolerebbero gli insegnanti.

Un Valditara che passa per essere un Bottai (e ho detto tutto). Per il resto il potere di continuare a esistere gestendo la cosa pubblica con miopia, grettezza e insolenza, ma soprattutto come fosse un patrimonio privato, elargendo incarichi e relativi cospicui stipendi ai fedeli e ai parenti, meglio ancora se mediocri, ottusi e cialtroni, aprendo loro le strade della carriera e del successo.

Lo si faceva anche in antico, ma in modo così sfacciato e con tale protervia? Me li ricordo i democristiani e i craxiani, e non solo loro. Ma tutti, dico proprio tutti, così mediocri, ottusi e cialtroni come adesso? Del resto che senso avrebbe preferire quelli a questi? E i cosiddetti governi tecnici? Puro prodotto della tecnocrazia e dei magnaschei liberal.

Ammetto di avere molta curiosità per le percentuali di votanti alle prossime regionali. La mia misantropia sta raggiungendo livelli preoccupanti.

lunedì 15 settembre 2025

Ostaggi del regime

L’ineffabile quotidiano Repubblica, organo del sionismo, dell’atlantismo e di altre sconcezze, ci informa che l’oblast di Leningrado (re)esiste ancora, adombrando il fatto che c’è qualcosa di maledettamente sovietico che ancora incrosta la Russia. Motivo per il quale la guerra in corso è santa e giusta. Tanto più se ad essere colpite sono le ferrovie russe da sabotatori ucraini. Salvo un anno un attimo dopo (nell’occhiello dello stesso articolo), quando ad essere colpite sono le ferrovie ucraine, denunciare “la violata sacralità delle ferrovie”.

Il 28 agosto è entrato in vigore in Ucraina il decreto governativo n. 1031 del 26 agosto 2025, che autorizza l’espatrio degli uomini di età compresa tra 18 e 22 anni. In precedenza, dall’inizio della guerra, il 24 febbraio 2022, solo gli uomini di età inferiore ai 18 anni e superiore ai 60 anni potevano lasciare il Paese. Alla frontiera, devono presentare un passaporto e un documento con i dati di registrazione militare aggiornati, in formato cartaceo o digitale. La maggior parte della popolazione maschile, di età compresa tra 23 e 60 anni, rimane ostaggio del regime di Kiev.

Tale concessione dipende dalla possibile imminenza delle elezioni, e dalla volontà di liberarsi degli studenti che un mese fa costituivano la base sociale che ha promosso le proteste di massa contro la corruzione, l’inasprimento delle pene per i renitenti, i disertori e altre quisquiglie.

Intanto, venerdì scorso, sono iniziate le esercitazioni militari su entrambi i lati del confine esterno della NATO nei Paesi Baltici. Mentre Russia e Bielorussia lanciavano la loro esercitazione congiunta Zapad 2025, in Lituania è iniziata la serie di esercitazioni Quadriga dell’alleanza occidentale, con una significativa partecipazione delle Forze Armate tedesche. Prima o poi succederà qualcosa di irreparabile, e prima o poi Repubblica scriverà che bisogna ripristinare la leva militare.

venerdì 12 settembre 2025

Senza limiti

 

Il proditorio attacco russo alla Polonia (non quello del settembre 1939) ha provocato lo scoperchiamento parziale di 1 (uno) tetto di lamiera ondulata di abitazione rurale provocando grande spavento negli abitanti dalla casa, i coniugi Kaminski. Per la violazione dello spazio aereo nazionale e il grave danno materiale patito, le autorità varsaviane hanno invocato l'art. 4 del Patto atlantico in prefigurazione dell'attivazione dell'art. 5 e lo scatenamento della Terza Guerra Mondiale.

C’è una domanda che dovremmo porci e che invece è ignorata o troppo sottaciuta: è ancora possibile, senza che l’umanità tutta corra serio pericolo, lasciare la decisione d’impiegare gli arsenali nucleari con un potenziale di distruzione capace di annientare il pianeta più e più volte, in mano a una catena di comando che, tra l’altro, ignoriamo in gran parte da chi sia costituita?

Tutti abbiamo in mente le immagini delle due città nipponiche colpite nell’agosto di 80 anni fa da ordigni atomici. Non abbiamo ben presente, penso, che quelle due bombe rappresentano, in rapporto alla capacità distruttiva delle armi nucleari attuali, poco più che dei grossi petardi. Oggi, un ordigno nucleare di media potenza ha capacità distruttive decine di volete superiore alla bomba di Hiroshima. Un “terzo utilizzo” di quest’arma, rappresenterebbe per il mondo un vero e proprio salto nell’ignoto.

Inoltre, il Giappone non aveva, a sua volta, la possibilità di rispondere sul piano nucleare. In ciò sta una differenza essenziale rispetto a ciò che invece potrebbe accadere attualmente in un conflitto tra potenze dotate di arsenali nucleari e adeguati vettori di lancio.

Alla fine della Guerra Fredda, la probabilità di un conflitto nucleare globale è stata considerata così bassa da non essere più oggetto di dibattito. Oggi, nonostante il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, entrato in vigore nel 2021, l’eventualità di una guerra e la banalizzazione delle armi nucleari ha preso piede nella psicologia di massa.

Sempre più si fa strada che sia possibile superare la “soglia nucleare”, e ciò è conseguenza diretta del tendenziale fallimento della deterrenza, ossia del meccanismo, non solo psicologico, che dovrebbe prevenire la guerra nucleare. Del resto, la crescente multipolarità nucleare rende la deterrenza più problematica.

Nonostante la rapidità degli sviluppi tecnologici contemporanei, non vi è alcuna prova che un altro strumento militare (mezzi ipersonici di precisione, droni, ecc.) possa sostituire le armi nucleari, che rimangono uniche per i loro effetti. Poiché coinvolge i componenti più elementari della materia, nessun’altra tecnologia nel prossimo futuro offre la stessa combinazione di distruzione istantanea su larga scala, così formidabile e prevedibile.

La guerra in Ucraina è un conflitto in atmosfera nucleare. In altre parole, se la Russia ha potuto permettersi di impegnarsi in un’operazione del genere senza timore di subire risposta diretta da parte della NATO, è perché possiede armi nucleari. E, viceversa, è perché i paesi della NATO – Stati Uniti, Francia e Regno Unito in particolare – ne sono protetti che si permettono di aiutare massicciamente l’Ucraina.

Finora le armi nucleari non sono state utilizzate semplicemente perché i protagonisti hanno evitato di mettere in discussione gli interessi più essenziali dei loro avversari. L’ascesa della Cina, quale superpotenza economica e militare, prefigura una lotta che mette in discussione gli equilibri strategici, in primo luogo il dominio statunitense e i relativi interessi vitali della potenza americana.

Un conflitto tra le grandi potenze nucleari non avrebbe, per sua logica e conseguenza intrinseca, alcun limite. Illudersi che superato il gradino nucleare si possa poi fermare

l’escalation è cosa fuori della realtà. Per farsi un’idea, peraltro approssimativa, di ciò che è accaduto sul piano della predisposizione degli armamenti nucleari penso siano utili alcuni dati, peraltro inevitabilmente parziali e tuttavia significativi di ciò che è avvenuto con gli esperimenti nucleari, per esempio, a quote elevate della nostra atmosfera.

Degli oltre 2.000 test nucleari eseguiti da Stati Uniti, URSS, Francia, Gran Bretagna e Cina tra il 1945 e il 1992, la quota statunitense è stata pari a 1.051 test. Vediamo la qualità di questi test. Innanzitutto quelli nella ionosfera e persino nella magnetosfera, a 750 chilometri di altezza.

Nell’agosto 1958 gli Stati Uniti lanciano due testate di 3,8 megatoni – per dare un ordine di grandezza, la bomba sganciata su Hiroshima era di circa 16 chilotoni, vale a dire circa 237 volte meno potente – a 43 e 77 chilometri di altitudine.

Con questa operazione viene scoperto l’effetto EMP, ossia l’impulso elettromagnetico generato dalle esplosioni nucleari ad alta quota che interferisce con i componenti elettronici, danneggiandoli.

Subito dopo si attivava l’operazione Argus, per testare l’ipotesi che un’esplosione atomica nello spazio possa creare delle cinture di Van Allen artificiali con le quali produrre degradazione delle trasmissioni radio e radar, il danneggiamento o la distruzione dei meccanismi di armamento a spoletta delle testate balistiche ICBM, e la messa in pericolo degli equipaggi dei veicoli spaziali in orbita che potrebbero entrare nella “cintura”.

Non contenti, lanciano tre razzi con tre testate da 1,7 chilotoni ciascuna, che esplodono a 160, 290 e 750 chilometri di altezza. L’ipotesi della creazione delle cinture di Van Allen artificiali di radiazioni magnetiche viene confermata.

Nel luglio 1962, una testata ben più potente, 1,45 megatoni (90 volte l’ordigno di Hiroshima), è fatta detonare a 400 chilometri di quota (operazione Dominic/Fishbowl, nell’atollo Johnston), l’esplosione distrugge temporaneamente la fascia interna di Van Allen, mentre l’onda elettromagnetica produce una tempesta magnetica che sulle isole Hawaii (a 860 miglia di distanza) danneggia tutti i sistemi elettrici ed elettronici e, unita alle polveri radioattive ad alta quota, manda fuori uso sette satelliti, che nel 1962 in orbita intorno alla Terra erano ben pochi.

All’interno della stessa operazione vengono effettuati altri cinque test nucleari, tra i quali Kingfish, 300 chilotoni lanciati a 97 chilometri di altitudine il primo novembre, che provoca l’interruzione delle comunicazioni radio sul Pacifico per tre ore.

Eccetera. Quali effetti queste esplosioni in atmosfera possono aver avuto sugli esseri umani? E, altro esempio, sul clima a breve, medio e lungo termine?

giovedì 11 settembre 2025

Ne hanno abbastanza della guerra

 

Secondo dati di Kiev, confermati degli istituti di analisi occidentali, l’esercito ucraino conta circa 800.000 effettivi. In base alla legge marziale, gli uomini di età compresa tra 25 e 60 anni possono essere arruolati nelle forze armate. Secondo gli stessi dati, circa 400.000 di questi sono al fronte. O almeno dovrebbero esserlo.

La realtà è diversa secondo quanto pubblicato dal quotidiano filogovernativo (vi sono solo quelli in Ucraina) online Ukrainska Pravda: «Dal 2022 al luglio 2025, in Ucraina sono stati aperti più di 200.000 casi per abbandono non autorizzato di ununità militare o di un luogo di servizio e più di 50.000 casi per diserzione.»

A dirlo è la Procura generale alla richiesta del Primo Ministro. Dunque, ufficialmente, più di 250.000 soldati ucraini hanno abbandonato il loro posto e se la sono squagliata. Clamoroso il caso della 155a brigata “Anna di Kiev” addestrata in Francia. Se la sono data a gambe levate in un paio di migliaia. Il comandante dell’unità, Dmytro Ryumshyn, fu arrestato dall’Ufficio investigativo statale ucraino (DBR) con l’accusa di incompetenza e negligenza.

Secondo altre fonti, i casi di allontanamento illecito e diserzione, dall’inizio del conflitto, sarebbero molti di più. I dati mensili sulle diserzioni per il 2025 oscillano tra 16.000 e 19.000 casi al mese. Nei primi sette mesi del 2025, sempre secondo la Procura, sono già stati registrati 110.511 casi.

La differenza giuridica tra “assenza senza permesso” e “diserzione” risiede nella durata dell’assenza del soldato. Generalmente, fino a una settimana di “congedo volontario” è tollerata, a condizione che il soldato si presenti successivamente alla sua unità. Almeno teoricamente, il soldato disposto a rientrare continua addirittura a ricevere la retribuzione per il “periodo di riposo”. Con questa pratica permissiva, la leadership militare ucraina tiene conto anche del fatto che non esiste un sistema di rotazione regolare tra l’impiego in prima linea e quello nelle retrovie, e che i soldati, teoricamente – quelli che sopravvivono, ovviamente – sono tenuti a prestare servizio ininterrottamente dal momento dell’arruolamento, che in casi estremi ammonta ormai a tre anni e mezzo.

L’inefficacia del sistema di “rotazione” è dovuta anche all’afflusso irregolare di riservisti nell’esercito ucraino, rendendo difficile prevedere la sostituzione. Le cifre previste di 30.000 nuove leve al mese vengono regolarmente ignorate. L’impopolarità del servizio militare tra la restante popolazione maschile si riflette indirettamente nella dinamica delle tangenti richieste alle agenzie di reclutamento militare e, almeno in parte, pagate.

Come ha recentemente scritto un soldato ucraino patriotticamente indignato di un’unità nella regione della Transcarpazia, la “tariffa” è ora di 8.000 dollari per l’assegnazione del coscritto nelle retrovie o a un’unità di sua scelta, e di 30.000 dollari per essere “riformato”.

Diserzioni e assenze non autorizzate giocano probabilmente un ruolo significativo nei drammatici resoconti dei comandanti ucraini sulla carenza di personale nelle loro unità. Senza voler minimizzare le perdite, quando fonti militari russe riportano regolarmente la morte di diverse centinaia o addirittura oltre 1.000 “combattenti ucraini”, queste cifre sono molto probabilmente esagerate.

mercoledì 10 settembre 2025

Dialettica bellica


La dialettica di ogni innovazione militare è che risolve un problema ma ne crea un altro. Il suo scopo è la distruzione, indipendentemente dai mezzi tecnici. Il drone, come nuovo dispositivo militare, lo illustra perfettamente: spesso è più economico da produrre di un missile; se viene abbattuto, la perdita è quindi inferiore; e poiché non segue traiettorie balistiche ma è controllato da un’intelligenza umana o artificiale, il suo percorso è praticamente imprevedibile.

Quando un drone viene abbattuto le leggi fisiche di gravità si applicano all’improvviso, e cade ovunque possa cadere. Anche su edifici residenziali civili che non erano previsti come bersaglio. Ancora più fatale è quando i controlli da remoto vengono interrotti dalla guerra elettronica, e il drone continua a volare per un po’, finché, com’è successo, nell’aria non c’è più un’etichetta nazionale gialla e blu, ma una bianca e rossa. E che i polacchi siano gente rissosa è ampiamente noto.

Era “intenzione russa” che i droni entrassero nello spazio aereo polacco, come ha così acutamente dedotto l’Alto rappresentante per la politica estera dell’UE, tale Kaja Kallas, figlia di un filonazista cacciatore di ebrei. In termini giuridici, esiste anche la categoria dell’intenzione condizionale: incidenti che di per sé non causano danni gravi, ma si verificano semplicemente nello “spazio aereo straniero”. Mosca non voleva creare crateri nei prati polacchi.

Sorge la domanda su quale interesse possa avere la Russia nell’inevitabile escalation di tensioni che tali incidenti comportano. O persino la Bielorussia, che pur l’avrebbe dopo il fallimento del cambio di regime orchestrato da Varsavia nel 2020. Rimane un terzo attore per il quale l’attuale escalation si adatta perfettamente, perché la sta comunque perseguendo: l’Ucraina.

La Russia ha accusato il governo di Varsavia di aver tentato di inventare falsi miti per inasprire il conflitto in Ucraina. Tuttavia, il ministero degli Esteri ha dichiarato di essere pronto, così come il ministero della Difesa, a collaborare con la parte polacca “per una completa chiarificazione degli eventi”. Donald Tusk ha intimato alla popolazione polacca di “credere solo alle proprie informazioni ufficiali”. Un’indicazione che ci troviamo di fronte a menzogne che piegano le travi. 

Meglio non indagare

 

In dieci anni la scuola ha perso mezzo milione di studenti. È come se in un decennio fossero spariti gli studenti di una grande regione.

Altra notizia: l’Italia ha un alto numero di adulti con un basso livello di alfabetizzazione: il 37 % di tutti gli adulti tra i 25 e i 64 anni ha competenze alfabetiche di livello 1 o inferiore, un dato superiore alla media dell’Ocse.

Il livello 1 di alfabetizzazione indica l’acquisizione di conoscenze elementari e la capacità di svolgere compiti semplici con strumenti tecnologici e navigare in modo basilare su Internet. Questo livello di alfabetizzazione, sia linguistica che digitale, è il più basilare e permette di comprendere e usare espressioni quotidiane di uso molto frequente.

Il livello 2 di alfabetizzazione indica la capacità di comprendere frasi e espressioni di uso frequente relative ad ambiti di immediata rilevanza personale e lavorativa. Nel contesto dell’alfabetizzazione digitale, il livello 2 implica l’acquisizione di competenze avanzate per interagire attivamente, comunicare e partecipare alla società dell’informazione attraverso il web.

L’individuo può capire frasi isolate ed espressioni di uso comune relative a situazioni quotidiane, come informazioni su sé stessi e la famiglia, acquisti, geografia locale e lavoro. È in grado di descrivere o presentare in modo semplice persone, situazioni di vita o di lavoro, attività quotidiane e può esprimere preferenze personali usando frasi semplici e collegate tra loro.

Si riferisce a un insieme di competenze più evolute rispetto a quelle di base, per un uso consapevole e attivo del digitale. Permette ai cittadini di sfruttare appieno il potenziale del web per informarsi e comunicare, condividere contenuti e interagire con comunità online. Include la capacità di utilizzare strumenti digitali in modo autonomo e critico, valutare le fonti e gestire la sicurezza delle informazioni online.

Ciò significa, volgendo il discorso in negativo e sorvolando sulle competenze a riguardo dell’utilizzo di strumenti digitali in modo autonomo e critico (che non è poca cosa), che quasi il 40% degli adulti (eccettuati nel computo gli over 64) non è in grado di comprendere frasi e espressioni di una qualche complessità relative ad ambiti di immediata rilevanza personale e lavorativa, così come non è capace (o non si trova a suo agio) di descrivere o presentare in modo semplice persone, situazioni di vita o di lavoro, attività quotidiane ed esprimere preferenze personali usando frasi semplici e collegate tra loro. Né di utilizzare strumenti digitali in modo autonomo e critico, valutare le fonti e gestire la sicurezza delle informazioni online.

Per popolazione adulta s’intendono persone che sono nate tutte nel dopoguerra, anzi, a partire dagli anni Sessanta, ossia nella fase più alta della storia economica e sociale di questo Paese, con livelli di scolarizzazione di massa. Quali giudizi e considerazioni trarre da questi dati? Quei giudizi e quelle considerazioni che ognuno di noi preferisce, posto che il 37% di tali opinioni verrebbe da persone, tra i 25 e i 64 anni, con un basso livello di alfabetizzazione. E per i più anziani è meglio non indagare.