martedì 23 settembre 2025

Fischiettando davanti al cimitero

 

Alla fine s’è parlato d’altro. Così come si voleva. Il giornalista Severgnini, inutilmente canuto e però utilmente portatore d’acqua, ha addirittura scoperto che “gli israeliani vogliono prendersi la terra”. Riesce ancora a sorprendere questa ridicola gente.

L’unico dato certo è che l’ordine mondiale continua la sua inesorabile decostruzione e questa non è una buona notizia per nessuno. Esisteva una forma di rispetto reciproco tra le grandi potenze e i loro regimi; esistevano anche regole di condotta volte a ridurre il rischio di una guerra. Invece del rispetto reciproco, regna il disprezzo per la parte avversa e non esistono più regole del gioco, il che aumenta costantemente il rischio di incidenti.

Da parte dell’Occidente c’è un senso di superiorità morale che non trova riscontro nei fatti. Da tempo l’attenzione non è più rivolta allo studio o alla comprensione dell’avversario, ma alla sua pubblica derisione e umiliazione. Nel giugno 2013, durante una conferenza stampa, Barack Obama ha definito la Russia una “potenza regionale”, minimizzandone il ruolo sulla scena internazionale.

Sono incapaci di qualsiasi riflessione strategica a lungo termine. La Russia è un paese delle dimensioni di un continente, dotato di abbondanti risorse naturali e di una profondità strategica. Occupa una posizione centrale nel continente eurasiatico, confina con una dozzina di paesi, tra cui Cina, Stati Uniti e Giappone; ha accesso sia all’oceano Atlantico che a quello Pacifico e possiede la costa più lunga – e la più grande zona economica esclusiva – dell’Artico. Inoltre, sorprendentemente, la Russia viene trattata come se non avesse un vasto arsenale nucleare.

Quanto all’Europa, che con miopia s’identifica nella UE (Londra è un sobborgo di Washington), in assenza dei leader del passato, abbiamo a che fare con personaggi fin troppo convenzionali. Dopo il febbraio 2022, il conflitto di logoramento della Russia non ha dato i frutti sperati, e ora ci stanno portando allo scontro frontale con essa. Non potrà che finire male.

lunedì 22 settembre 2025

Un monarca assoluto alla Casa Bianca

 

Riassumo (velleitariamente, lo so) una delle cause fondamentali che trasformarono quella che poteva essere una delle numerose rivolte sociali in Francia nella rivoluzione francese del 1789: il debito pubblico e i relativi interessi mostruosi che ammontavano a circa il 50% della spesa statale (fonte: Lefevre, Fayard, Fierro, Tulard, ecc.).

Luigi XVI cambiava ministro delle finanze, ora l’uno ora l’altro, ma la situazione non mutava. Promulgava leggi che il Parlamento di Parigi faceva passare senza battere ciglio, tranne quella che prevedeva di far pagare le imposte ai privilegiati (nobili e alto clero), che costituivano la quasi totalità dei membri del Parlamento stesso.

Il conflitto tra la monarchia e il Parlamento, ovvero tra il re e la nobiltà, portò quest’ultima a chiedere e ottenere (agosto 1788) la convocazione degli Stati Generali. Solo il “popolo” di Francia poteva decidere su una simile questione, ossia far pagare le imposte (o più imposte) ai privilegiati. Luigi XVI pensò bene di raddoppiare il numero dei deputati del Terzo Stato, in modo da ottenere la maggioranza e far passare le sue riforme finanziarie.

Si trattava però di decidere se far votare per “ordine” (nobili, clero e borghesi) oppure per “testa”. Su questa questione gli Stati Generali, riuniti nella primavera del 1789, si divisero. Finché il Terzo Stato, convocatosi di per sé nella famosa Sala della Pallacorda a Versailles, si costituì in Assemblea Costituente. Le rivolte di piazza a Parigi, la presa della Bastiglia, diedero man forte a questa iniziativa. Il resto è storia conosciuta e spettacolarizzata.

Veniamo all’oggi, che ovviamente non è esattamente sovrapponibile a quei lontani avvenimenti francesi, ma che ad ogni modo può servire a mo’ di analogia.

Gli Stati Uniti sono stati in grado di usare il proprio debito pubblico per combattere guerre, recessioni globali, pandemie e crisi finanziarie. Basta “stampare”, ricordava il presidente Reagan. Data la reputazione del dollaro come asset più sicuro e liquido al mondo, i deficit correnti, basati su nuovi prestiti, sembravano un vero e proprio pranzo gratis: gli investitori globali sarebbero sempre stati felici di digerire un’altra montagna di debito in dollari.

Ma oggi i tassi d’interesse a lungo termine sono aumentati bruscamente sui titoli del Tesoro a 10 e 30 anni. Il debito statunitense, pari a 37.000 miliardi di dollari, è ormai pari a quello di tutte le altre principali economie avanzate messe insieme; il deficit annuale sfiora i 1.000 miliardi, e dunque un aumento dei tassi di interesse di appena l’1% si traduce in un pagamento aggiuntivo di 370 miliardi di dollari per il debito pubblico.

Le finanze statunitensi si stanno avvicinando a una situazione in cui sarà necessario prendere in prestito più denaro solo per pagare gli interessi sui debiti pregressi. Vi sono ormai chiari segnali che la fiducia nel dollaro statunitense – la base della capacità degli Stati Uniti di portare il debito a livelli record – si sta rapidamente indebolendo. Quest’anno ha perso il 10% del suo valore rispetto alle altre valute, e la scorsa settimana una nota emessa dalla Deutsche Bank affermava che “gli investitori stranieri stanno riducendo l’esposizione al dollaro a un ritmo senza precedenti”.

L’aumento del prezzo dell’oro, di oltre il 35% dall’inizio dell’anno, è un altro importante indicatore della crescente mancanza di fiducia nel dollaro statunitense come valuta fiat, non sostenuta da alcun valore reale, ma dal sistema finanziario statunitense e dalla sua potenza tecnologica e militare. Gran parte dell’aumento del prezzo dell’oro è dovuto all’aumento degli acquisti da parte delle banche centrali (che sentono spirare venti di crisi e di guerra), quintuplicati negli ultimi tre anni e mezzo, al punto che l’oro è ora la seconda riserva di attività dopo il dollaro, superando l’euro.

Il motivo per il quale il monarca assoluto che siede alla Casa Bianca chiede e vuole un taglio consistente dei tassi da parte della Federal Reserve non ha nulla (o molto poco) a che vedere con l’impulso all’economia reale o con il contrasto a un mercato del lavoro in netto indebolimento, dove uno dei principali ostacoli immediati alla crescita economica e all’occupazione è l’aumento della struttura dei costi dovuto agli aumenti tariffari.

Trump vuole il taglio dei tassi per ridurre il deficit e il debito per avere più dollari da spendere per i suoi progetti faraonici, per dare ulteriore impulso al mercato azionario e agli oligarchi finanziari che costituiscono la base del suo regime, oltre a fornire supporto al fiorente mercato delle criptovalute, che è direttamente vantaggioso per lui e la sua famiglia.

Lo scontro tra la Fed di Powell e la Casa Bianca di Trump sta ad indicare che appena sotto la superficie si stanno accumulando tensioni all’interno del sistema finanziario e anche a livello economico e sociale, tensioni che prima o poi esploderanno.

domenica 21 settembre 2025

Cose d’altri tempi

 

L’immagine di Konrad Adenauer, cordiale coltivatore di rose in quel di Rhöndorf am Rhein, deve essere rivista. Fino alla sua morte si rifiutò di rivelare i nomi dei donatori che gli avevano versato 2,1 milioni di marchi tedeschi (di allora) in donazioni senza renderne conto nei libri contabili della CDU. Ma non è di questo che tratto qui di seguito.

Nel 1952, il cancelliere Adenauer dichiarò senza mezzi termini in un’intervista all’allora influente quotidiano Merkur: «Ciò che si trova a est del Werra e dell’Elba sono le province non redente della Germania [...]. La parola riunificazione deve finalmente scomparire. Ha portato troppi danni. Liberazione è la parola d’ordine».

Fin dai primi anni del suo cancellierato, Adenauer basò l’intera politica tedesca sull’annessione forzata della RDT. Bisogna tener conto che vigeva allora la cosiddetta dottrina Hallstein, secondo la quale qualunque relazione diplomatica intrattenuta da un Paese terzo con la Repubblica Democratica Tedesca (Germania Est), in virtù della cosiddetta rappresentanza unica del popolo tedesco da parte della Repubblica Federale Tedesca, era da considerarsi un atto ostile e avrebbe portato all’immediata interruzione delle relazioni diplomatiche.

Tre anni dopo l’intervista al Merkur, l’8 settembre 1955, Adenauer si recò a Mosca nelle vesti di un rispettabile cittadino. Il suo aereo, come dichiarato nel gennaio 2009 da un ex funzionario della CIA coinvolto nell’operazione, era stato equipaggiato con telecamere speciali presso un aeroporto militare in Ohio, con l’espressa approvazione del cancelliere della CDU.

L’obiettivo era spiare le posizioni difensive intorno alla capitale sovietica da bassa quota approfittando della visita di Stato. Il comandante dell’aereo governativo era uno degli amici americani del cancelliere. Dopo l’arrivo all’aeroporto di Mosca, l’aereo, senza nessun passeggero a bordo, fece immediatamente ritorno nella Repubblica Federale di Germania. Quella stessa sera, le pellicole furono sviluppate presso la base dell’aeronautica militare statunitense di Wiesbaden. Il cancelliere Adenauer era stato ricevuto con tutti gli onori e un caloroso benvenuto dal primo ministro sovietico Nikolaj Bulganin. Solo decenni dopo si è saputo che il cancelliere era diventato un agente segreto degli Stati Uniti.

Adenauer e i suoi successori autorizzarono Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia di spiare i cittadini tedeschi, nonché i deputati e i ministri, di censurare lettere e intercettare telefoni a loro piacimento. Questo accordo tra la Germania e i suoi alleati è ancora in vigore.

Per conto suo, Adenauer faceva spiare l’intera dirigenza della SPD. Si avvalse in particolare di due suoi stretti collaboratori, il Direttore della Cancelleria della Repubblica Federale, Hans Globke, ossia l’avvocato che nel 1935 scrisse il commento legale alle leggi razziali di Norimberga (e per tale motivo condannato all’ergastolo in contumacia nella DDR), e il capo dei servizi segreti della Germania Ovest, Reinhard Gehlen, ex generale della Wehrmacht e figura di spicco durante il periodo nazista.

Parliamo ora di Kurt Benno Fechner. Durante la guerra era stato ufficiale dell’unità di sabotaggio e sovversione dell’Abwehr II, il cui compito era quello di sostenere le ambizioni espansionistiche tedesche con l’aiuto delle minoranze nazionali. Singolare il fatto che Fechner fosse ebreo, ma le leggi razziali di Norimberga non venivano applicate nell’Abwehr. Nell’agosto del 1944, il tenente colonnello Fechner assunse la direzione dell’allora Quartier Generale II Sud-Est per la Ricognizione del Fronte a Vienna. È in tale veste che fu in stretto contatto con l’organizzazione clandestina ucraina OUN, dalla quale oggi è mutuato il logo che adorna l’uniforme dei soldati ucraini e di Zelens’kyj (**).

Tra i colleghi più importanti di Fechner figuravano il professore dell’Europa orientale Hans Koch (1894-1959), in qualità di suo vice, e il suo aiutante di campo, il capitano Siegfried Ziegler. Nel dopoguerra Ziegler fu confidente di fiducia di Reinhard Gehlen. Ziegler reclutò Sigfried Ortloff, capo della sicurezza e del personale della sede centrale del partito SPD, come suo principale informatore.

Non deve per nulla sorprendere incontrare gli stessi nomi dell’intelligence nazista in incarichi nell’intelligence della Germania Ovest e dell’Austria, né l’orgia di ipocrisia nella quale è coinvolto per molti aspetti oggi l’Occidente libero e democratico.

Per fare degli esempi: secondo i documenti depositati nei National Archives Usa (numero di identificazione XE004471), la CIA aveva individuato Eichmann in Argentina almeno dal 1958, ma si guardò dal fornire le informazioni sul criminale di guerra a chicchessia, Israele compresa. Per proteggere proprio Hans Globke, Segretario di Stato e consigliere del cancelliere tedesco Adenauer, che aveva lavorato nel dipartimento Affari Ebraici (***). Il caso del citato generale Reinhard Gehlen, uno dei capi dei servizi segreti nazisti, che alla fine della guerra venne semplicemente assunto dagli americani per continuare ciò che sapeva fare meglio: lo spionaggio all’Est. Le informazioni su di lui sono state tenute segrete per 50 anni e solo dal maggio 2004 sono diventate consultabili nei National Archives (Record Group 319, Entry 134A, Boxes 144A-147).

(*) Un certo Philipp Gerber, emigrato con la sua famiglia negli Stati Uniti, divenne agente del Counter Intelligence Corps (CIC). Poco prima della fine della guerra, viaggiò lungo il Reno, con l’incarico (non è noto se nell’ambito dell’Operazione Paperclip) di trovare una persona che gli Stati Uniti consideravano importante per la Germania del dopoguerra. Gerber trovò la persona. Era anziana, con il volto segnato dalla sua vita precedente. Era l’ex sindaco di Colonia, Konrad Adenauer.

Qualche anno dopo, nell’estate del 1953, le strade di Adenauer e Greber si incrociarono di nuovo. Gerber fu incaricato di indagare sulla morte di un funzionario del gruppo di sicurezza di Bonn. L’uomo era uscito di strada con la sua auto della polizia a causa di una gomma a terra, schiantandosi mortalmente. Ma non si trattò di un incidente, perché la gomma dell’auto fu forata da un proiettile sparato da un fucile di precisione. Non un incidente, ma un attentato. Ma perché? Chi c’era dietro? Gerber fu incaricato di scoprirlo. Il CIC lo nominò subito agente del Bundeskriminalamt (BKA) e membro del gruppo di sicurezza di Bonn.

(**) Con “ricognizione frontale” si intendevano le unità operative e i centri di comando dell’Abwehr (Servizio di intelligence del Ministero del Reichswehr), che durante la seconda guerra mondiale si occupava di spionaggio, sabotaggio e controspionaggio in prima linea. La ricognizione in prima linea di solito coinvolgeva informatori e agenti che collaboravano con l’Abwehr per vari motivi. I vettori della ricognizione segreta prima della guerra erano quei collegamenti all’estero gestiti dal quartier generale dell’Abwehr o dai centri di controllo dell’Abwehr, ad esempio, con l’organizzazione clandestina ucraina OUN.

L’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN), fondata a Vienna nel 1929 come punto di ritrovo per vari gruppi nazionalisti e veterani della prima guerra mondiale, cooperò con l’Abwehr tedesco e partecipò alle invasioni tedesche della Polonia e dell’Unione Sovietica sia nel 1939 che nel 1941.

Durante la seconda guerra mondiale, l’OUN si divise nel 1940 in un’organizzazione guidata da Andriy Melnyk – i Melnykisti (OUN-M) – e i Banderisti (OUN-B) sotto la guida di Stepan Bandera. I membri dell’OUN-B combatterono nei battaglioni Nachtigall e Roland della Wehrmacht tedesca durante la guerra contro l’Unione Sovietica nelle terre d’origine ucraine. I membri dell’OUN-M fornirono volontari per la Divisione Galizia delle Waffen-SS. Nel 1942, l’OUN-B fondò l’Esercito Insurrezionale Ucraino come esercito clandestino, che combatté contro l’Esercito Nazionale Polacco e, fino all’inizio degli anni ‘50, contro l’Unione Sovietica. In seguito, l’OUN visse in esilio nei paesi occidentali. Il Congresso dei Nazionalisti Ucraini (KUN), fondato nel 1992, si considera il successore dell’OUN.

(***) È stupefacente la “diligenza” e la perseveranza della burocrazia tedesca. I cittadini del Reich emigrati (non solo ebrei) furono puniti con la revoca della cittadinanza tedesca. Già nel 1933, il Reich disponeva di uno strumento per la denaturalizzazione individuale. E lo Stato nazista se ne avvalse: ai sensi dell’art. 2 della Legge sulla revoca delle naturalizzazioni e la privazione della cittadinanza tedesca del 14 luglio 1933, circa 39.000 persone furono dichiarate “private della cittadinanza tedesca”. Lunghi elenchi numerati contenenti i nomi di coloro che erano diventati apolidi apparvero sulla Gazzetta Ufficiale del Reich Tedesco e sulla Gazzetta Ufficiale dello Stato Prussiano, l'ultima delle quali pubblicata il 7 aprile 1945.


venerdì 19 settembre 2025

Il rovescio della medaglia

 

Allargando un po’ i nostri orizzonti, non possiamo non notare come gli interessi fondamentali dell’oligarchia capitalista non possano più essere conciliati con i bisogni e le aspirazioni della società nel suo complesso. Succedeva anche prima dell’attuale fase, ma oggi lo strapotere di tale oligarchia ha raggiunto livelli di scala inediti. Un tipico rappresentante politico di tali interessi è Trump. Paradossalmente il successo elettorale di questi tipici rappresentanti politici dell’oligarchia deriva in gran parte dal saper coagulare la protesta e la rabbia sociale volgendo gli antagonismi sociali a proprio favore.

Naturalmente i nuovi media giocano un ruolo essenziale in questo processo di rivolgimento che è tangibile a tutti. Si tratta di una strategia non dissimile a quella messa in atto, ma oggi con strumenti di manipolazione ancora più sofisticati e potenti, da movimenti politici come il fascismo e il nazismo.

Per esempio, la questione dell’immigrazione chiama a battaglia contro di essa le passioni più ardenti, più meschine e più odiose del cuore umano. Eppure, per limitarci ai nostri orizzonti, in stretto senso, basterebbe girare un po’ per vigneti e frutteti in questa stagione per accorgersi che larga parte della forza-lavoro impiegata nella raccolta del prodotto non è, per così dire, autoctona. Gran parte della forza-lavoro impiegata in agricoltura, nell’allevamento e in pastorizia è costituita da immigrati. Per non parlare poi dei cantieri edili e altre attività ad alto contenuto di manodopera.

C’è il rovescio della medaglia, costituito da una non minuscola percentuale di immigrati che invece vivono di espedienti, spesso ai margini della società e nella illegalità. Sono persone che alimentano la cronaca nera e le carceri. A volte vere e proprie gang, che delinquono creando un forte allarme sociale. E così quartieri un tempo di alto pregio residenziale sono diventati invivibili per chi può contare su un certo livello di incivilimento. Poi magari le statistiche dicono che certe tipologie di reato sono in diminuzione, ma resta tuttavia il fatto che tali reati possono essere annoverati nella categoria della cosiddetta microcriminalità solo se tra le vittime non figura anche il tuo nome o quello dei tuoi cari.

Questi sono segni dei tempi, che non possono essere nascosti sotto manti purpurei o sotto tonache nere. La sinistra moderata, progressista, ben posizionata socialmente e culturalmente, semplicemente ignora la questione. Per contrapposizione ideologica e politica. Poi però stupisce di diventare essa stessa bersaglio del risentimento sociale ben sfruttato da chi sa usare il manganello mediatico senza troppe perifrasi.

giovedì 18 settembre 2025

Quel leninista di Bersani

 

L’altra sera, durante una sessione di karaoke televisivo, Pierluigi Bersani cantava: la lotta ideologica è la lotta più importante. La canzone diceva che l’ideologia è dura quanto il marmo. Peccato che questo genere di consapevolezze bersaniane arrivi sempre con qualche lustro di ritardo.

Scrivevo il 2 dicembre 2014:

«Nel materialismo dialettico, partendo anzitutto da Marx ed Engels, c’è la possibilità di legare positivamente insieme critica e pratica antagonista. Per quanto ci riguarda, bisogna capire bene che la lotta ideologica è una determinazione essenziale della lotta di classe, senza di essa non c’è teoria, e senza teoria e sviluppo della stessa non c’è organizzazione pratica.»

Il 30 settembre 2022:

«Lotta ideologica significa far comprendere che le nuove forme in cui si esprime sia il capitalismo e sia lo Stato, ci fanno tutti schiavi nella stessa caverna, e che fermare la guerra dipende da noi, dalla nostra mobilitazione. Solo sulla base di questa opposizione di massa comincerà a operare anche il principio strategico della fase successiva.»

Il 14 settembre 2023:

«Proprio non si vuol capire che la lotta ideologica è la forma di lotta più importante nella nostra epoca. La grande borghesia l’ha capito da tempo e il “pensiero liberale” questa guerra l’ha stravinta. Non è semplicemente una lotta tra destra e sinistra, come sostiene Pierluigi Bersani nelle sue recidive televisive nel disperante tentativo di rintracciare i favori di un elettorato che però è ormai lontano.»

Il 1° maggio dell’anno scorso:

« [...] ripeto per l’ennesima volta, la lotta ideologica è la lotta più importante. Non per far cambiare idea ai padroni e ai loro mantenuti (impossibile), ma per far uscire noi dalla caverna nella quale ci tengono incatenati con le loro bugie e i pregiudizi ripetuti continuamente e che creano dei bias cognitivi.»

Della lotta ideologica non c’è stata più traccia, non solo dopo il 1989, ma già da prima. Chi arriva tardi, la storia lo punisce. Ebbe ad accorgersene Gorbacev, ma qui da noi tale consapevolezza è mancata totalmente. Anzi, si è passati dall’altra parte della barricata!

Il tempo in cui viviamo dimostra bene che era un’illusione pensare che lo scacco fosse solo dei comunisti, ivi compresi i comunisti del PCI e i lacerti che gli sono succeduti. Un errore esiziale aver pensato che fosse tutto da buttar via, esecrando le idee di rivolta e restando indifferenti, quando non segretamente compiaciuti, al prezzo che la globalizzazione capitalistica faceva pagare a tanta parte dei lavoratori delle metropoli.

Penso che la fine del mondo sia già avvenuta. Il mondo di ieri, certo. Noi vecchi siamo dei sopravvissuti, per qualche tempo ancora. Poi di quel mondo di ieri non resterà più alcun testimone. Nostalgia del passato? Leggo che in Francia il nuovo governo ha annunciato il divieto di vendita, dal marzo prossimo, delle sigarette in bustina (*).

Più che di nostalgia canaglia direi si tratta della amara constatazione delle tante occasioni perdute e del fallimento di chi quelle occasioni volle perderle per inseguire il sogno di poter mettere assieme tutto ciò che non stava apertamente a destra, così come l’equazione impossibile di conciliare la bulimia dei filantropi del capitale con tutto il resto. Voler colpire le banche e i boss della tecnologia con sempre nuove armi letali contro l’ingiustizia fiscale, per esempio, per poi scoprire che sono pistole ad acqua.

Oppure cavalcare la faccenda dell’immigrazione ventilando la “regolarizzazione dei flussi”. Scavalcati a sinistra ancora una volta dai fascisti: dopo i 450mila del triennio 2023-2025, il governo ha varato a giugno scorso il nuovo decreto flussi che stabilisce 164.850 quote per il 2026, 165.850 per il 2027 e 166.850 per il 2028.

Eccetera, eccetera, eccetera, come direbbe l’anima in pena di Cacciari il Massimo.

(*) Noi ci siamo presi avanti: il sedicente ministro Francesco Lollobrigida ha firmato un accordo con la Philip Morris Italia per sostenere la filiera del tabacco nazionale, in particolare la coltivazione del tabacco Kentucky. In attesa di vietare il fumo anche nel cesso di casa nostra.

martedì 16 settembre 2025

[...]

 

Pensavamo che la nascita d’Israele avrebbe lavato via la nostra colpa. Era facilmente prevedibile che il sionismo avrebbe trasformato i palestinesi nelle sue vittime e la Palestina in un territorio da colonizzare integralmente. Gli ebrei non hanno mai considerato la popolazione araba come abitante di quella terra, nonostante vi avesse vissuto per così tanto tempo. Come potrebbero gli ebrei vivere il mito della loro origine, sentirsi definitivamente a casa loro quando la popolazione palestinese sfollata e colonizzata vive tra loro o ai loro confini immediati, manifestando costantemente la sua presenza? Gli ebrei hanno capito che quella terra non sarebbe mai stata veramente loro a causa della presenza di questo popolo. Hanno costruito muri di separazione, recinzioni, filo spinato, posti di blocco, ma era sempre più difficile per loro sentirsi a casa propria. E allora bisognava rimuovere il “problema” alla radice. Spostare, cancellare le tracce e la memoria di coloro che sono stati uccisi e vengono cacciati.

Oggi i sionisti hanno gettato definitivamente la maschera e stanno completando l’opera. Nessun ebreo (non solo i sionisti) potrà più dirsi innocente di fronte ai palestinesi. Nessuno di noi potrà più dirsi innocente di fronte a quanto è accaduto e sta accadendo in Palestina. Non è questione che riguarda la destra e l’estrema destra. Ci siamo dentro tutti, ebrei e non ebrei, di qualunque colore e sfumatura politica. Nessuno di noi può davvero vantare una coscienza pulita, anche quelli che hanno la certezza di essere sempre dalla parte giusta. Complici del massacro di una popolazione inerme. Nel caso non piacesse il termine genocidio, si chiama pulizia etnica. Un massacro annunciato e reiterato in modo meticoloso, cibernetico e freddo. Ci siamo fatti prendere in ostaggio da dei criminali di guerra tra i più turpi, che non rispondono al nome del solo Netanyahu, dei componenti razzisti del suo governo, dei generali e dei soldati dell’esercito con la stella che equivale a una svastica. I loro complici diretti, i loro fornitori di armi, munizioni ed equipaggiamenti, i loro sostenitori ad oltranza sono anche a Washington, Bruxelles, Londra, Parigi, Roma, Berlino, eccetera.

Un nuovo Bottai

 

Gli intrattenitori stanno tornando alla spicciolata dalle lunghe vacanze, dunque basta con i temi estivi: troppo caldo, caro ombrellone, intossicazioni alimentari e bombe su Gaza. Esperti nel rilevare che i salari sono troppo bassi e il carrello della spesa ...

L’anno scolastico è iniziato alla grande. Sotto il segno della epocale riforma che vieta l’uso dei microtelefoni a scuola. Una misura che parrebbe di buon senso, che troverà il consenso di molti genitori, compresi i furiosi che, per aver dato alla luce dei somari cyberpunk, strangolerebbero gli insegnanti.

Un Valditara che passa per essere un Bottai (e ho detto tutto). Per il resto il potere di continuare a esistere gestendo la cosa pubblica con miopia, grettezza e insolenza, ma soprattutto come fosse un patrimonio privato, elargendo incarichi e relativi cospicui stipendi ai fedeli e ai parenti, meglio ancora se mediocri, ottusi e cialtroni, aprendo loro le strade della carriera e del successo.

Lo si faceva anche in antico, ma in modo così sfacciato e con tale protervia? Me li ricordo i democristiani e i craxiani, e non solo loro. Ma tutti, dico proprio tutti, così mediocri, ottusi e cialtroni come adesso? Del resto che senso avrebbe preferire quelli a questi? E i cosiddetti governi tecnici? Puro prodotto della tecnocrazia e dei magnaschei liberal.

Ammetto di avere molta curiosità per le percentuali di votanti alle prossime regionali. La mia misantropia sta raggiungendo livelli preoccupanti.

lunedì 15 settembre 2025

Ostaggi del regime

L’ineffabile quotidiano Repubblica, organo del sionismo, dell’atlantismo e di altre sconcezze, ci informa che l’oblast di Leningrado (re)esiste ancora, adombrando il fatto che c’è qualcosa di maledettamente sovietico che ancora incrosta la Russia. Motivo per il quale la guerra in corso è santa e giusta. Tanto più se ad essere colpite sono le ferrovie russe da sabotatori ucraini. Salvo un anno un attimo dopo (nell’occhiello dello stesso articolo), quando ad essere colpite sono le ferrovie ucraine, denunciare “la violata sacralità delle ferrovie”.

Il 28 agosto è entrato in vigore in Ucraina il decreto governativo n. 1031 del 26 agosto 2025, che autorizza l’espatrio degli uomini di età compresa tra 18 e 22 anni. In precedenza, dall’inizio della guerra, il 24 febbraio 2022, solo gli uomini di età inferiore ai 18 anni e superiore ai 60 anni potevano lasciare il Paese. Alla frontiera, devono presentare un passaporto e un documento con i dati di registrazione militare aggiornati, in formato cartaceo o digitale. La maggior parte della popolazione maschile, di età compresa tra 23 e 60 anni, rimane ostaggio del regime di Kiev.

Tale concessione dipende dalla possibile imminenza delle elezioni, e dalla volontà di liberarsi degli studenti che un mese fa costituivano la base sociale che ha promosso le proteste di massa contro la corruzione, l’inasprimento delle pene per i renitenti, i disertori e altre quisquiglie.

Intanto, venerdì scorso, sono iniziate le esercitazioni militari su entrambi i lati del confine esterno della NATO nei Paesi Baltici. Mentre Russia e Bielorussia lanciavano la loro esercitazione congiunta Zapad 2025, in Lituania è iniziata la serie di esercitazioni Quadriga dell’alleanza occidentale, con una significativa partecipazione delle Forze Armate tedesche. Prima o poi succederà qualcosa di irreparabile, e prima o poi Repubblica scriverà che bisogna ripristinare la leva militare.

venerdì 12 settembre 2025

Senza limiti

 

Il proditorio attacco russo alla Polonia (non quello del settembre 1939) ha provocato lo scoperchiamento parziale di 1 (uno) tetto di lamiera ondulata di abitazione rurale provocando grande spavento negli abitanti dalla casa, i coniugi Kaminski. Per la violazione dello spazio aereo nazionale e il grave danno materiale patito, le autorità varsaviane hanno invocato l'art. 4 del Patto atlantico in prefigurazione dell'attivazione dell'art. 5 e lo scatenamento della Terza Guerra Mondiale.

C’è una domanda che dovremmo porci e che invece è ignorata o troppo sottaciuta: è ancora possibile, senza che l’umanità tutta corra serio pericolo, lasciare la decisione d’impiegare gli arsenali nucleari con un potenziale di distruzione capace di annientare il pianeta più e più volte, in mano a una catena di comando che, tra l’altro, ignoriamo in gran parte da chi sia costituita?

Tutti abbiamo in mente le immagini delle due città nipponiche colpite nell’agosto di 80 anni fa da ordigni atomici. Non abbiamo ben presente, penso, che quelle due bombe rappresentano, in rapporto alla capacità distruttiva delle armi nucleari attuali, poco più che dei grossi petardi. Oggi, un ordigno nucleare di media potenza ha capacità distruttive decine di volete superiore alla bomba di Hiroshima. Un “terzo utilizzo” di quest’arma, rappresenterebbe per il mondo un vero e proprio salto nell’ignoto.

Inoltre, il Giappone non aveva, a sua volta, la possibilità di rispondere sul piano nucleare. In ciò sta una differenza essenziale rispetto a ciò che invece potrebbe accadere attualmente in un conflitto tra potenze dotate di arsenali nucleari e adeguati vettori di lancio.

Alla fine della Guerra Fredda, la probabilità di un conflitto nucleare globale è stata considerata così bassa da non essere più oggetto di dibattito. Oggi, nonostante il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, entrato in vigore nel 2021, l’eventualità di una guerra e la banalizzazione delle armi nucleari ha preso piede nella psicologia di massa.

Sempre più si fa strada che sia possibile superare la “soglia nucleare”, e ciò è conseguenza diretta del tendenziale fallimento della deterrenza, ossia del meccanismo, non solo psicologico, che dovrebbe prevenire la guerra nucleare. Del resto, la crescente multipolarità nucleare rende la deterrenza più problematica.

Nonostante la rapidità degli sviluppi tecnologici contemporanei, non vi è alcuna prova che un altro strumento militare (mezzi ipersonici di precisione, droni, ecc.) possa sostituire le armi nucleari, che rimangono uniche per i loro effetti. Poiché coinvolge i componenti più elementari della materia, nessun’altra tecnologia nel prossimo futuro offre la stessa combinazione di distruzione istantanea su larga scala, così formidabile e prevedibile.

La guerra in Ucraina è un conflitto in atmosfera nucleare. In altre parole, se la Russia ha potuto permettersi di impegnarsi in un’operazione del genere senza timore di subire risposta diretta da parte della NATO, è perché possiede armi nucleari. E, viceversa, è perché i paesi della NATO – Stati Uniti, Francia e Regno Unito in particolare – ne sono protetti che si permettono di aiutare massicciamente l’Ucraina.

Finora le armi nucleari non sono state utilizzate semplicemente perché i protagonisti hanno evitato di mettere in discussione gli interessi più essenziali dei loro avversari. L’ascesa della Cina, quale superpotenza economica e militare, prefigura una lotta che mette in discussione gli equilibri strategici, in primo luogo il dominio statunitense e i relativi interessi vitali della potenza americana.

Un conflitto tra le grandi potenze nucleari non avrebbe, per sua logica e conseguenza intrinseca, alcun limite. Illudersi che superato il gradino nucleare si possa poi fermare

l’escalation è cosa fuori della realtà. Per farsi un’idea, peraltro approssimativa, di ciò che è accaduto sul piano della predisposizione degli armamenti nucleari penso siano utili alcuni dati, peraltro inevitabilmente parziali e tuttavia significativi di ciò che è avvenuto con gli esperimenti nucleari, per esempio, a quote elevate della nostra atmosfera.

Degli oltre 2.000 test nucleari eseguiti da Stati Uniti, URSS, Francia, Gran Bretagna e Cina tra il 1945 e il 1992, la quota statunitense è stata pari a 1.051 test. Vediamo la qualità di questi test. Innanzitutto quelli nella ionosfera e persino nella magnetosfera, a 750 chilometri di altezza.

Nell’agosto 1958 gli Stati Uniti lanciano due testate di 3,8 megatoni – per dare un ordine di grandezza, la bomba sganciata su Hiroshima era di circa 16 chilotoni, vale a dire circa 237 volte meno potente – a 43 e 77 chilometri di altitudine.

Con questa operazione viene scoperto l’effetto EMP, ossia l’impulso elettromagnetico generato dalle esplosioni nucleari ad alta quota che interferisce con i componenti elettronici, danneggiandoli.

Subito dopo si attivava l’operazione Argus, per testare l’ipotesi che un’esplosione atomica nello spazio possa creare delle cinture di Van Allen artificiali con le quali produrre degradazione delle trasmissioni radio e radar, il danneggiamento o la distruzione dei meccanismi di armamento a spoletta delle testate balistiche ICBM, e la messa in pericolo degli equipaggi dei veicoli spaziali in orbita che potrebbero entrare nella “cintura”.

Non contenti, lanciano tre razzi con tre testate da 1,7 chilotoni ciascuna, che esplodono a 160, 290 e 750 chilometri di altezza. L’ipotesi della creazione delle cinture di Van Allen artificiali di radiazioni magnetiche viene confermata.

Nel luglio 1962, una testata ben più potente, 1,45 megatoni (90 volte l’ordigno di Hiroshima), è fatta detonare a 400 chilometri di quota (operazione Dominic/Fishbowl, nell’atollo Johnston), l’esplosione distrugge temporaneamente la fascia interna di Van Allen, mentre l’onda elettromagnetica produce una tempesta magnetica che sulle isole Hawaii (a 860 miglia di distanza) danneggia tutti i sistemi elettrici ed elettronici e, unita alle polveri radioattive ad alta quota, manda fuori uso sette satelliti, che nel 1962 in orbita intorno alla Terra erano ben pochi.

All’interno della stessa operazione vengono effettuati altri cinque test nucleari, tra i quali Kingfish, 300 chilotoni lanciati a 97 chilometri di altitudine il primo novembre, che provoca l’interruzione delle comunicazioni radio sul Pacifico per tre ore.

Eccetera. Quali effetti queste esplosioni in atmosfera possono aver avuto sugli esseri umani? E, altro esempio, sul clima a breve, medio e lungo termine?

giovedì 11 settembre 2025

Ne hanno abbastanza della guerra

 

Secondo dati di Kiev, confermati degli istituti di analisi occidentali, l’esercito ucraino conta circa 800.000 effettivi. In base alla legge marziale, gli uomini di età compresa tra 25 e 60 anni possono essere arruolati nelle forze armate. Secondo gli stessi dati, circa 400.000 di questi sono al fronte. O almeno dovrebbero esserlo.

La realtà è diversa secondo quanto pubblicato dal quotidiano filogovernativo (vi sono solo quelli in Ucraina) online Ukrainska Pravda: «Dal 2022 al luglio 2025, in Ucraina sono stati aperti più di 200.000 casi per abbandono non autorizzato di ununità militare o di un luogo di servizio e più di 50.000 casi per diserzione.»

A dirlo è la Procura generale alla richiesta del Primo Ministro. Dunque, ufficialmente, più di 250.000 soldati ucraini hanno abbandonato il loro posto e se la sono squagliata. Clamoroso il caso della 155a brigata “Anna di Kiev” addestrata in Francia. Se la sono data a gambe levate in un paio di migliaia. Il comandante dell’unità, Dmytro Ryumshyn, fu arrestato dall’Ufficio investigativo statale ucraino (DBR) con l’accusa di incompetenza e negligenza.

Secondo altre fonti, i casi di allontanamento illecito e diserzione, dall’inizio del conflitto, sarebbero molti di più. I dati mensili sulle diserzioni per il 2025 oscillano tra 16.000 e 19.000 casi al mese. Nei primi sette mesi del 2025, sempre secondo la Procura, sono già stati registrati 110.511 casi.

La differenza giuridica tra “assenza senza permesso” e “diserzione” risiede nella durata dell’assenza del soldato. Generalmente, fino a una settimana di “congedo volontario” è tollerata, a condizione che il soldato si presenti successivamente alla sua unità. Almeno teoricamente, il soldato disposto a rientrare continua addirittura a ricevere la retribuzione per il “periodo di riposo”. Con questa pratica permissiva, la leadership militare ucraina tiene conto anche del fatto che non esiste un sistema di rotazione regolare tra l’impiego in prima linea e quello nelle retrovie, e che i soldati, teoricamente – quelli che sopravvivono, ovviamente – sono tenuti a prestare servizio ininterrottamente dal momento dell’arruolamento, che in casi estremi ammonta ormai a tre anni e mezzo.

L’inefficacia del sistema di “rotazione” è dovuta anche all’afflusso irregolare di riservisti nell’esercito ucraino, rendendo difficile prevedere la sostituzione. Le cifre previste di 30.000 nuove leve al mese vengono regolarmente ignorate. L’impopolarità del servizio militare tra la restante popolazione maschile si riflette indirettamente nella dinamica delle tangenti richieste alle agenzie di reclutamento militare e, almeno in parte, pagate.

Come ha recentemente scritto un soldato ucraino patriotticamente indignato di un’unità nella regione della Transcarpazia, la “tariffa” è ora di 8.000 dollari per l’assegnazione del coscritto nelle retrovie o a un’unità di sua scelta, e di 30.000 dollari per essere “riformato”.

Diserzioni e assenze non autorizzate giocano probabilmente un ruolo significativo nei drammatici resoconti dei comandanti ucraini sulla carenza di personale nelle loro unità. Senza voler minimizzare le perdite, quando fonti militari russe riportano regolarmente la morte di diverse centinaia o addirittura oltre 1.000 “combattenti ucraini”, queste cifre sono molto probabilmente esagerate.

mercoledì 10 settembre 2025

Dialettica bellica


La dialettica di ogni innovazione militare è che risolve un problema ma ne crea un altro. Il suo scopo è la distruzione, indipendentemente dai mezzi tecnici. Il drone, come nuovo dispositivo militare, lo illustra perfettamente: spesso è più economico da produrre di un missile; se viene abbattuto, la perdita è quindi inferiore; e poiché non segue traiettorie balistiche ma è controllato da un’intelligenza umana o artificiale, il suo percorso è praticamente imprevedibile.

Quando un drone viene abbattuto le leggi fisiche di gravità si applicano all’improvviso, e cade ovunque possa cadere. Anche su edifici residenziali civili che non erano previsti come bersaglio. Ancora più fatale è quando i controlli da remoto vengono interrotti dalla guerra elettronica, e il drone continua a volare per un po’, finché, com’è successo, nell’aria non c’è più un’etichetta nazionale gialla e blu, ma una bianca e rossa. E che i polacchi siano gente rissosa è ampiamente noto.

Era “intenzione russa” che i droni entrassero nello spazio aereo polacco, come ha così acutamente dedotto l’Alto rappresentante per la politica estera dell’UE, tale Kaja Kallas, figlia di un filonazista cacciatore di ebrei. In termini giuridici, esiste anche la categoria dell’intenzione condizionale: incidenti che di per sé non causano danni gravi, ma si verificano semplicemente nello “spazio aereo straniero”. Mosca non voleva creare crateri nei prati polacchi.

Sorge la domanda su quale interesse possa avere la Russia nell’inevitabile escalation di tensioni che tali incidenti comportano. O persino la Bielorussia, che pur l’avrebbe dopo il fallimento del cambio di regime orchestrato da Varsavia nel 2020. Rimane un terzo attore per il quale l’attuale escalation si adatta perfettamente, perché la sta comunque perseguendo: l’Ucraina.

La Russia ha accusato il governo di Varsavia di aver tentato di inventare falsi miti per inasprire il conflitto in Ucraina. Tuttavia, il ministero degli Esteri ha dichiarato di essere pronto, così come il ministero della Difesa, a collaborare con la parte polacca “per una completa chiarificazione degli eventi”. Donald Tusk ha intimato alla popolazione polacca di “credere solo alle proprie informazioni ufficiali”. Un’indicazione che ci troviamo di fronte a menzogne che piegano le travi. 

Meglio non indagare

 

In dieci anni la scuola ha perso mezzo milione di studenti. È come se in un decennio fossero spariti gli studenti di una grande regione.

Altra notizia: l’Italia ha un alto numero di adulti con un basso livello di alfabetizzazione: il 37 % di tutti gli adulti tra i 25 e i 64 anni ha competenze alfabetiche di livello 1 o inferiore, un dato superiore alla media dell’Ocse.

Il livello 1 di alfabetizzazione indica l’acquisizione di conoscenze elementari e la capacità di svolgere compiti semplici con strumenti tecnologici e navigare in modo basilare su Internet. Questo livello di alfabetizzazione, sia linguistica che digitale, è il più basilare e permette di comprendere e usare espressioni quotidiane di uso molto frequente.

Il livello 2 di alfabetizzazione indica la capacità di comprendere frasi e espressioni di uso frequente relative ad ambiti di immediata rilevanza personale e lavorativa. Nel contesto dell’alfabetizzazione digitale, il livello 2 implica l’acquisizione di competenze avanzate per interagire attivamente, comunicare e partecipare alla società dell’informazione attraverso il web.

L’individuo può capire frasi isolate ed espressioni di uso comune relative a situazioni quotidiane, come informazioni su sé stessi e la famiglia, acquisti, geografia locale e lavoro. È in grado di descrivere o presentare in modo semplice persone, situazioni di vita o di lavoro, attività quotidiane e può esprimere preferenze personali usando frasi semplici e collegate tra loro.

Si riferisce a un insieme di competenze più evolute rispetto a quelle di base, per un uso consapevole e attivo del digitale. Permette ai cittadini di sfruttare appieno il potenziale del web per informarsi e comunicare, condividere contenuti e interagire con comunità online. Include la capacità di utilizzare strumenti digitali in modo autonomo e critico, valutare le fonti e gestire la sicurezza delle informazioni online.

Ciò significa, volgendo il discorso in negativo e sorvolando sulle competenze a riguardo dell’utilizzo di strumenti digitali in modo autonomo e critico (che non è poca cosa), che quasi il 40% degli adulti (eccettuati nel computo gli over 64) non è in grado di comprendere frasi e espressioni di una qualche complessità relative ad ambiti di immediata rilevanza personale e lavorativa, così come non è capace (o non si trova a suo agio) di descrivere o presentare in modo semplice persone, situazioni di vita o di lavoro, attività quotidiane ed esprimere preferenze personali usando frasi semplici e collegate tra loro. Né di utilizzare strumenti digitali in modo autonomo e critico, valutare le fonti e gestire la sicurezza delle informazioni online.

Per popolazione adulta s’intendono persone che sono nate tutte nel dopoguerra, anzi, a partire dagli anni Sessanta, ossia nella fase più alta della storia economica e sociale di questo Paese, con livelli di scolarizzazione di massa. Quali giudizi e considerazioni trarre da questi dati? Quei giudizi e quelle considerazioni che ognuno di noi preferisce, posto che il 37% di tali opinioni verrebbe da persone, tra i 25 e i 64 anni, con un basso livello di alfabetizzazione. E per i più anziani è meglio non indagare.

martedì 9 settembre 2025

Più in alto nella futura guerra

La parata di armamenti messa in mostra a Pechino in occasione della celebrazione della vittoria contro il Giappone, alleato dei nazifascisti, è stata interpretata da molti come un’esplicita minaccia. In realtà la Cina non vuole farsi mettere sotto i piedi dai nostri amici di Washington che, tanto per mettere in chiaro su chi minaccia chi e che cosa ci aspetta, hanno cambiato nome al ministero della difesa.

È evidente che ogni parte in causa si sta preparando alla prossima guerra mondiale. Lo Spazio extra-atmosferico sarà il punto di osservazione più alto, non solo per godersi lo spettacolo. E la Luna sta più in alto ancora (vedi Programma Artemis e missione ILRS sino- russa, ovvero la capacità di proiettare colpi dalla Luna e da piattaforme collocate nel sistema solare: assicuro non si tratta di fantascienza) [*].

Lo scopo è sempre quello: poter individuare e colpire il nemico sulla superficie terrestre. Lo dimostra tutta la gestione affidata ai satelliti nella guerra in Ucraina così come nello sterminio dei palestinesi.

Non è casuale che nella cosiddetta space-economy ci siano gli stessi imprenditori del digitale. E non sono certo gli appalti e le commesse statali, i soldi pubblici, il punto centrale. È noto che economia e guerra sono sempre andate di pari passo e dunque non sorprende che lo Spazio sia stato da subito concepito come un ambiente dual use, militare e commerciale.

Le rotte che consentono uno sfruttamento efficiente e profittevole dello Spazio sono poche e fanno i conti con i pozzi gravitazionali e la meccanica orbitale. Gli “hub regionali”, ossia stazioni spaziali in grado di supportare centri manifatturieri, stoccaggio di risorse, impianti di lancio intermedi e basi militari, devono tenere in considerazione i Punti di Lagrange, che sono appena cinque.

I Punti di Lagrange sono anomalie gravitazionali dove interagiscono due campi gravitazionali (in questo caso, quello della Terra e quello della Luna); posizionandosi in orbita intorno a questi punti, un oggetto (satellite, stazione spaziale, telescopio, ecc.) resta stabile senza quasi consumare energia. La Cina nel giugno 2018 ne ha già conquistato uno, il punto L2, collocandovi un satellite in orbita che, per la prima volta, permette di mantenere comunicazioni attive e stabili tra la Terra e il versante nascosto della Luna.

La corsa allo sfruttamento dello Spazio è già iniziata e gli Stati Uniti non possono permettere alla Cina di raggiungere per prima la Luna e costruirvi la propria architettura. Se lo Spazio diventa un ambiente di sfruttamento economico e di posizionamento strategico-militare, c’è bisogno di capitali privati per sostenere gli enormi costi della corsa spaziale contro la Cina.

C’è stata una prima fase, quando la NASA aiutava le imprese a sviluppare lanciatori e navette per il trasporto di beni e astronauti in orbita terrestre bassa e l’obiettivo era il rifornimento della Stazione Spaziale Internazionale (ISS); quindi una seconda fase, nella quale la NASA stipulava contratti standard, i Commercial Resupply Services (CRS), per comprare questi servizi dalle relative aziende.

Nel 2010 la NASA implementa il Commercial Crew Development, focalizzato sul trasporto di equipaggio sulla ISS, strutturato nello stesso modo: prima fase di sviluppo – costata alle casse pubbliche quasi 1,6 miliardi – poi contratti di servizio per 9,3 miliardi, che garantiscono lanci sulla ISS fino al 2030. Seguono i programmi legati alla missione per l’esplorazione lunare Artemis, con un impegno finanziario statale inizialmente previsto di 45 miliardi di dollari, poi aumentato a 93 miliardi fino al 2025 e destinato a proseguire.

Se la Luna e la space highway sono lontane – per non parlare di Marte – le orbite terrestri sono da tempo molto vicine e conquistate da più attori. Tranne una. Quella dei 31 satelliti GPS, in orbita a 20.000 km di altezza, nella zona MEO (Medium Earth Orbit), storico emblema del legame militare-commerciale dello Spazio.

Posto che lo Spazio extra-atmosferico e i satelliti hanno assunto una rilevanza primaria nella guerra del XXI secolo, la Cina che fa? L’Occidente si emoziona per le dirette televisive dalla ISS, per il ritorno degli astronauti e un po’ anche per i lanci dei razzi SpaceX. Pochi prestano attenzione all’altra stazione spaziale che orbita sulle nostre teste: quella cinese.

Tiangong-1, il prototipo interamente made in China, è stata lanciata nel settembre 2011, nel giugno 2012 è stata raggiunta dal primo equipaggio per qualche giorno, e un anno dopo dal secondo per due settimane; programmata per due anni di vita operativa, nel marzo 2016 è stata posta fuori servizio facendola deorbitare nell’aprile 2018.

La Tiangong-2 è stata attiva da settembre 2016 a luglio 2019, e visitata da due astronauti per trenta giorni. A sua volta è stata avvicendata dalla nuova Stazione spaziale Tiangong, lanciata ad aprile 2021, che compie la sua rotazione terrestre in orbita bassa ospitando, da giugno 2022, un equipaggio permanente di tre persone che possono arrivare fino a sei per 180 giorni.

Da notare che la Cina a suo tempo aveva chiesto di partecipare al progetto della ISS, ma è stata esclusa per legge dal Congresso Usa da qualsiasi progetto NASA. Dunque la Cina fa corsa a sé alla Luna (Missione Chang’e), per una propria base lunare con equipaggio permanente, in collaborazione con la Russia (Missione International Lunar Research Station), e guarda anche verso Marte (Missione Tian-wen).

In cinque lustri Pechino ha saputo costruire una propria rete satellitare, siti e veicoli di lancio, volo spaziale con equipaggio e TT&C (Telemetry, Tracking and Command), ossia la rete di collegamento tra satelliti, veicoli spaziali e stazioni a terra, il tutto con una rapidità di sviluppo da lasciare esterrefatti gli stessi Stati Uniti.

Che devono costruire la loro strategia sul nuovo fattore geopolitico fondamentale costituito dalla Cina, la maggior concentrazione economica e militare al mondo dopo gli stessi Stati Uniti. E la Cina, lo dimostra la recente parata di Pechino, sta passando da una strategia passiva ad atteggiamenti e modalità tipici di una potenza militare [**].

Non solo per terra, nel mare e nell’aria, ma dopo aver eclissato la Russia come leader spaziale, la Cina è pronta a competere con gli Stati Uniti come leader mondiale nello Spazio. Conta più di 1.060 satelliti in orbita, decine dei quali con capacità di intelligence, sorveglianza, ricognizione e molto altro. Pronta a competere anche con armi di counterspace (tra cui sistemi per la guerra elettronica (EW), armi a energia diretta (DEW) e missili antisatellite (ASAT) in grado di interrompere, danneggiare e distruggere i satelliti degli Stati Uniti e dei suoi alleati.

Dunque lo Spazio extra-atmosferico come territorio conteso tra Cina, Stati Uniti e, in terza battuta, Russia. Vista da lassù l’Ucraina è una macchia indeterminata tra i Carpazi e il Mar Nero.

[*] Il 15 ottobre 2024, l’Accademia cinese delle scienze, la China National Space Administration (CNSA) e l’Ufficio del programma spaziale con equipaggio hanno pubblicato congiuntamente il Piano nazionale di sviluppo a medio e lungo termine della scienza spaziale (2024-2050). Un programma di una complessità e ambizione scientifica e tecnologica stupefacente. La Cina condurrà esplorazioni e ricerche scientifiche di frontiera in 17 aree prioritarie e 5 temi scientifici chiave, tra cui Universo Estremo, Increspature Spazio-Tempo, Visione Panoramica Sole-Terra, Pianeti Abitabili e Scienze Biologiche e Fisiche nello Spazio.

La Cina invita i suoi omologhi nel mondo a partecipare attivamente alle missioni satellitari di scienze spaziali e ai grandi progetti scientifici internazionali, e a realizzare scambi internazionali approfonditi seguendo i principi di ampia consultazione, contributo congiunto e benefici condivisi. È prevista per il 2026 una missione spaziale congiunta Cina- ESA, denominata Solar wind Magnetosphere Ionosphere Link Explorer (SMILE).

[**] Nota curiosa: nel 2017 la Cina ha inaugurato una propria stazione per telecomunicazioni spaziali in Patagonia, e secondo l’accordo sottoscritto, l’Argentina non esercita alcun tipo di supervisione sulle attività effettuate: la stazione è pienamente sotto il controllo di Pechino. Proprio la stazione in Argentina è stata coinvolta in due missioni del programma lunare cinese: la Chang’e 4 che ha portato sulla faccia nascosta della Luna un lander e un rover robotici, e la Chang’e 5 che ha prelevato 1,7 chilogrammi di campioni. Ma di là delle singole missioni, l’obiettivo lunare della Cina non è dissimile da quello statunitense: occupare strategicamente il punto di osservazione più alto nella futura guerra.

lunedì 8 settembre 2025

Il discorso del re travicello

 

Il presidente Mattarella, davanti a un’assemblea di capitalisti e dei loro leccaculo, dice “no” allo strapotere delle multinazionali. È una posizione coraggiosa, che mi ricorda certe cose dette e scritte molto tempo fa. Appunto, cose vecchie a cui non si dava retta e anzi si irridevano come di fantasie di spostati di testa.

Veniamo all’oggi e al punto: nella logica globale di privatizzazione del mondo, la ricerca scientifica è finanziata in grandissima parte dalle multinazionali. E se essa è interamente dedicata a sviluppi tecnologici che fanno avanzare la sfera militare (internet nasce a tali scopi, ecc.), insieme ai profitti e al dominio delle imprese, perché stupirsi che quelle stesse multinazionali vogliano giocare anche un ruolo politico?

Di cosa siamo diventati testimoni? Del fatto che il progresso sociale ed umano è diventata roba d’altri tempi. Di chi è la responsabilità? Questa sarebbe stata una riflessione già meno peregrina rispetto a un monito contro il grande capitale che fagocita la politica. Sarebbe stato meno naïf, anche se ugualmente inutile, denunciare, davanti a un’assemblea compiaciuta e obsoleta, un capitalismo che s’inscrive nel postumano, nell’ibridazione uomo-macchina, nell’editing del genoma e, in una parola, nel transumanesimo (un’ideologia tecno-soluzionista quasi eugenetica), che implica un livello di disuguaglianza sociale che diventerà maggiore e peggiore di quello attuale.

Poi, a pagina 10, titolo: «Mattarella sprona l’Europa “Non cedere alle autocrazie”». Non fa nomi, ingessato nel vago, perciò penso si riferisse all’Italia, dove il governo esercita il potere esecutivo in combinazione con quello legislativo e mediatico, aspirando anche a decidere sulle inchieste giudiziarie e la nomina dei vescovi. Un Paese autocratico dove la schiavitù è regolata per contratto e dove l’uguale diritto alla salute sta diventando sempre di più il diritto alla salute di chi può pagarselo. Eccetera.

Fuori dalla sorveglianza Nato, dall’unificazione dei sistemi sociali e delle ideologie, nessun popolo ha diritto di scegliere liberamente i propri percorsi di sviluppo interno. È in questo concetto d’ordine che lor signori basano la distinzione tra “democrazie” e “autocrazie”, che diventa distinzione tra il bene e il male, come se un Netanyahu o quel Zelensky che ha fatto tabula rasa di ogni pluralismo interno non facessero parte di quest’ordine “democratico”.

A scanso di sottintesi, il presidente si riferiva alla Russia. Piaceva al tempo in cui era stata scaraventata nella privatizzazione selvaggia. È arrivato quel mostro di Putin è la musica è cambiata. Tra il 2003 e il 2007 l’economia russa cresce in media del 7% l’anno: l’esportazione di petrolio e gas porta il Paese a surplus commerciali e bilanci pubblici in avanzo. Con vantaggio anche dell’Europa.

Di tale sviluppo è l’esempio, non meramente simbolico, della NASA e Roscosmos che firmano un accordo che impegna la prima ad acquistare dalla seconda i lanci per il trasporto di equipaggi e rifornimenti sulla Stazione Spaziale Internazionale. Potrà sembrare paradossale, ma Russia diventa così l’unico Paese in grado di portare in orbita gli astronauti. Nel 2014 il bilancio Roscosmos tocca il picco con 4,2 miliardi di dollari e la Russia supera gli Stati Uniti e Cina nei lanci spaziali: 34 contro 23 e 16. Particolare attenzione è data anche allo sviluppo di GLONASS, il GPS russo.

Eh no, bisogna rimetterla in riga questa Russia. Di utili idioti alleati in Europa se ne trovano sempre a dare una mano nel momento del bisogno. E al diavolo gli avvertimenti di un Kissinger. Due visioni e due strategie dividono l’establishment americano. Vince quella di chi vuole appiccare il fuoco davanti alla tana del grande orso.

Finché dura la guerra in Ucraina, con la sua pessima gestione da parte del governo Biden, i tentativi di avvicinamento (oh, scandalo!) dall’attuale amministrazione Trump con Mosca non andranno in porto. Washington ha identificato nella Cina il proprio nemico mortale e prova strategicamente a isolarla. La domanda del secolo è: quando la Russia identificherà l’ascesa della Cina come minaccia principale? Ma con questi chiari di luna Putin e Xi saranno a lungo come due piselli in un baccello.

domenica 7 settembre 2025

"Maestro di etica e di vita"

 

“Maestro di sofisticatezza e discrezione”. “Maestro di eleganza senza tempo e visione globale”. “Maestro e guida per il design”. “Maestro di stile e creatività”. E va bene. Ma “maestro di etica e di vita” mi sembra esagerato. E poi guarda caso questi maestri di vita, celebrati dai media, sono sempre dei maschi. E almeno benestanti. Nel caso specifico il “maestro di etica e di vita” era a capo di una multinazionale che appalta a fornitori e subfornitori, per lo più cinesi, che impiegano i loro operai “in condizione di sfruttamento”.

Il mese scorso, l’autorità garante della concorrenza e del mercato ha multato Giorgio Armani per 3,5 milioni di euro perché le sue dichiarazioni sulla responsabilità etica e sociale non riflettevano le reali condizioni di lavoro presso i fornitori.

«Secondo l’autorità di regolamentazione, Giorgio Armani e la sua controllata GA Operations si sono presentati negli ultimi tre anni come esempi di sostenibilità ed etica, sia nelle loro comunicazioni pubbliche sia sul loro sito web aziendale Armani Values. Hanno sottolineato l’importanza di buone condizioni di lavoro e della sicurezza dei dipendenti come valori fondamentali del marchio.

«Nel motivare la multa, l’Antitrust ha spiegato che le due società “hanno reso dichiarazioni etiche e di responsabilità sociale non veritiere, presentate in modo non chiaro, specifico, accurato e inequivocabile”. Dichiarazioni che, pur pubblicizzate dal gruppo, sarebbero in contrasto con le effettive condizioni di lavoro riscontrate presso fornitori e subfornitori artefici di larga parte della produzione di borse e accessori in pelle a marchio Armani.

«In pratica, l’attenzione alla sostenibilità sarebbe diventata uno strumento di marketing per rispondere alle crescenti aspettative dei consumatori. Dalle indagini dei carabinieri che avevano portato all’amministrazione giudiziaria, poi revocata, era emerso che le società esternalizzavano buona parte della produzione a fornitori che, a loro volta, si avvalevano di subfornitori, per lo più cinesi.

«Soprattutto questi ultimi, avevano rilevato i militari dell’Arma, impiegavano i loro operai “in condizione di sfruttamento (pagamento sotto soglia, orario di lavoro non conforme, ambienti di lavoro insalubri), in presenza di gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (omessa sorveglianza sanitaria, omessa formazione e informazione) nonché ospitando la manodopera in dormitori realizzati abusivamente e in condizioni igienico sanitarie sotto minimo etico”. Le accuse, analoghe a quelle che hanno interessato altri brend della moda (Alviero Martini, Dior, Valentino), raccontavano di operai cinesi pagati meno di 5 euro l’ora per assemblare borse vendute a 75 euro ai fornitori ufficiali, che a loro volta le rivendevano alla società principale per 250 euro, fino al prezzo finale nei negozi di ben 1.800 euro.

«Infine, in un documento interno alla Giorgio Armani S.p.A. del 2024, precedente all’apertura della procedura di amministrazione giudiziaria richiesta dalla Procura della Repubblica di Milano, si afferma addirittura che “nella migliore delle situazioni riscontrate, l’ambiente di lavoro è al limite dell’accettabilità, negli altri casi, emergono forti perplessità sulla loro adeguatezza e salubrità”.»

venerdì 5 settembre 2025

Il buon senso di Trump

 

Per la Russia la presenza della Nato ai confini della Federazione è uno dei motivi scatenanti della guerra. Che cosa propongono i cosiddetti “volenterosi”? Di inviare truppe della Nato in Ucraina. Chiaro che in tal modo si verrebbe a creare una situazione di guerra aperta tra l’Europa e la Russia. Una guerra alla quale la Cina non potrà restare indifferente per ovvi motivi legati soprattutto alla propria sicurezza, nel caso la Russia dovesse perdere la guerra e il controllo del proprio territorio.

Per fortuna, al momento, i cosiddetti “volenterosi” sono sostanzialmente due: Francia e Regno Unito. Soprattutto Macron, il quale si vede sfuggire, ma mano che il tempo passa, l’occasione di passare alla storia. È un ambizioso con gravi problemi psicologici irrisolti da quando era un adolescente. È uno di quelli che sono venuti al mondo in giacca e cravatta, con un piano ben saldo in mente.

Macron è sempre stato un antipatico, e di recente lo ha ammesso: “Non sono mai stato un adolescente. Non mi piacciono gli adolescenti. Non li capisco. Mia moglie sì”. Pronunciò la frase in presenza dello scrittore Emmanuel Carrère e di altri collaboratori durante una cena. Innanzitutto, c’è da notare la laboriosa messa in scena di una simile affermazione. Una frase che si lascia apparentemente sfuggire a fine pasto, osservando l’effetto che produrrà.

Poi, Brigitte. Sappiamo che si sono conosciuti sui banchi del liceo, lei da una parte della scrivania e lui dall’altra, e potremmo pensare che dopo tanti anni di matrimonio, questo non fosse più un problema. S’è visto che non è così, lei non manca di prenderlo a schiaffi.

Macron sicuramente non ha vissuto i dubbi dell’adolescenza: le crisi d’identità, l’ansia e la sensazione di non sapere da dove cominciare. Forse non crede nemmeno all’esistenza di quest’età turbolenta. In ogni caso, non gli importa. È nato vecchio. Nel mondo di Macron, i giovani sono invisibili: non vengono interpellati, vengono disciplinati. Devono ubbidire, nel caso armarsi e partire per la guerra.

Perché è chiaro (almeno a me, scusate la presunzione) che non è sufficiente un esercito volontario, per quanto plurale nelle alleanze, quando si sfida una potenza come la Russia, esercitata alla guerra da più di tre anni. Dopo qualche migliaio di morti e feriti si avvertirà la necessità di rimpinguare i ranghi. Esattamente quello che fa l’Ucraina e la Russia, dunque non si tratta di un’ipotesi avventata.

Basta dar retta alle parole dello stesso Macron rivolte nel luglio scorso ai giovani francesi: “Avrò bisogno di voi tra due anni, tra cinque anni, tra dieci anni”. Non la Francia avrà bisogno di loro, ma lui stesso ne avrà bisogno. Sebbene Emmanuel Macron non possa ricandidarsi nel 2027, nulla gli impedisce di candidarsi nel 2032. Ma è possibile, nel suo immaginario bellico, abbia bisogno di quei giovani prima dei due anni.

Il Financial Times ha scritto che «gli Usa non intendono più finanziare programmi di addestramento ed equipaggiamento per le forze armate nei paesi dell’Europa orientale che si troverebbero in prima linea in un eventuale conflitto con la Russia». Vuoi vedere che Trump ha più buon senso della schiuma bellicista europea? Magari tra una settimana ci smentirà.