sabato 30 luglio 2022

Ciò che da lontano ci riguarda da vicino


La crisi finanziaria del 2008, innescata dagli oltre due decenni di follia speculativa, ha portato al più grande salvataggio aziendale e finanziario della storia. Il governo degli Stati Uniti ha distribuito centinaia di miliardi di dollari in pacchetti di salvataggio e la Fed ha iniettato denaro nel sistema finanziario in modo che la speculazione di Wall Street potesse continuare.

Nel marzo 2020, con la pandemia, Wall Street e i mercati finanziari sono stati a un passo dal tracollo. La Fed ha raddoppiato le sue disponibilità di attività finanziarie da 4.000 a 8.000 miliardi, spendendo a un certo punto un milione di dollari al secondo. Le altre banche centrali non sono state da meno.

Questa è l’origine della spirale inflazionistica globale, che si è accompagnata a una crisi delle catene di approvvigionamento. L’essenza della situazione attuale è questa: le banche centrali, custodi degli interessi delle grandi società e del capitale finanziario, hanno deciso un forte rallentamento e, se necessario, una contrazione economica.

L’attuale politica monetaria riprende quella del presidente della Fed Paul Volcker negli anni 1980, quando i tassi d’interesse furono portati a livelli record, provocando la più profonda recessione fino a quel momento dalla Grande Depressione.

Questa politica ritorna in auge attraverso l’aumento dei tassi d’interesse a una velocità inedita negli ultimi decenni e all’insegna della lotta all’inflazione. La decisione di provocare una contrazione dell’economica rendendo il denaro più caro, non farà però scendere i prezzi del gas né districherà l’impasse delle catene di approvvigionamento.

Per veder diminuire i prezzi è necessario che la domanda si contragga, ciò almeno in teoria, poiché anche in tal caso il rientro dell’inflazione potrebbe avvenire solo entro certi limiti e a determinate condizioni, e solo con effetto ritardato. Né va scordato che sugli idrocarburi vige un sistema di stretto oligopolio.

L’obiettivo è di “sterilizzare” le richieste salariali nelle condizioni in cui l’inflazione è salita al livello più alto degli ultimi quattro decenni (e resterà quantomeno stabilmente alta per un bel pezzo). Non dobbiamo trascurare che gli aumenti salariali vanno a incidere direttamente sul saggio del profitto, ossia in rapporto al capitale investito (*).

L’ex segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Lawrence Summers, ha insistito sul fatto che per contenere l’inflazione è necessario indurre livelli di disoccupazione più elevati per cinque anni o un tasso di disoccupazione del 10% per almeno un anno. Previsione ottimistica.

Giovedì, il Dipartimento del Commercio ha rilevato che l’economia statunitense si è ridotta per il secondo trimestre consecutivo, portandola in una “recessione tecnica”. Questo mese, nel solo settore tecnologico si sono verificati più di 30.000 licenziamenti. La scorsa settimana, la Ford ha annunciato 8.000 licenziamenti, e presto assisteremo a un bagno di sangue nell’industria automobilistica globale.

Per quanto ci riguarda da vicino (non perché le decisioni delle banche centrali ci riguardino da “lontano”), a latere delle chiacchiere e speculazioni demenziali della campagna elettorale, risento aleggiare certe frasi e proposte tipiche degli anni Settanta sulle “politiche dei prezzi”. In sistema capitalistico e in regime di oligopolio viene solo da sorridere. C’è chi propone di ridurre le imposte o di toglierle del tutto su certe merci, anche di mettere “tetti” ai prezzi. Ottima misura, se hai il controllo dei prezzi, altrimenti stai facendo un regalo a chi invece li controlla realmente.

Quanto a fissare dei prezzi politici per alcune merci, ci provò a suo tempo un imperatore romano con un suo famoso editto, dunque ben prima di chi oggi invoca un prezzo politico del gas. Nel caso di Diocleziano, che aveva strumenti impositivi alquanto autoritari per farsi obbedire, molte derrate, il cui prezzo era stato calmierato, sparirono dal mercato per ricomparire ancora più care nei retrobottega.

(*) Il saggio del profitto può aumentare in senso assoluto, però tende a diminuire in senso progressivo in rapporto al capitale investito. In altri termini, man mano che aumentano gli investimenti, il profitto aumenta ma non in rapporto diretto con l’investimento stesso, e anzi il saggio del profitto tende a calare. Marx scrive: “le stesse leggi producono per il capitale sociale un aumento della massa assoluta del profitto e una diminuzione del saggio del profitto”. Lo sviluppo tecnologico aumenta la forza produttiva del lavoro, quindi la massa del plusvalore e quindi la massa assoluta del profitto, malgrado diminuisca in via relativa il capitale variabile (forza-lavoro) nei confronti di quello costante (mezzi di produzione). Si chiede Marx: “In quale forma deve ora esprimersi questa legge a doppio taglio della diminuzione del saggio del profitto e del corrispondente aumento della massa assoluta del profitto, posto che entrambi i fenomeni hanno le stesse cause?”. 

4 commenti:

  1. riposto un mio commento:
    Anonimo27 giugno 2022 17:22
    del senno di poi son piene le fosse. ma anche di zebedei tafazzati dei lavoratori che votarono a favore del referendum sull'abolizione della Scala Mobile. Scala Mobile che dovrebbe essere ripristinata non in moneta, ma con un paniere di beni di consumo.

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  2. L’aumento della produttività del lavoro comporta quindi, nella produzione capitalistica, una permanente sovrappopolazione operaia.
    Pietro

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  3. O. T: Consumi gas primo semestre: in calo la domanda, ma aumentano import e pure l'export.
    https://www.qualenergia.it/articoli/consumi-gas-primo-semestre-calo-domanda-ma-aumentano-import-e-pure-export/

    P. S: sono una manica di ipocriti. I consumi diminuiscono ma aumenta l'import di gas, per rivenderlo (dato gli alti prezzi della materia prima) ad altri paesi.
    I russi sono brutti, sporchi e cattivi. Già!

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