Sembra che le proteste siano iniziate a San Antonio de los Baños, un comune a sud-ovest della capitale, poi si sono rapidamente diffusi altrove, tra cui L’Avana e la maggior parte delle principali città del paese: Santiago de Cuba, Santa Clara, Matanzas, Cienfuegos e Holguín, e in numerose città più piccole come Palma Soriano.
I cubani hanno manifestato in massa domenica, nella più grande ondata di proteste sull’isola dall’agosto del 1994, che fu chiamata Maleconazo (Malecón è un viale de L’Avana). Le attuali proteste sono motivate da anni di difficoltà economiche che la pandemia ha aggravato. Libertà e Abbasso la dittatura, gridavano i manifestanti, ma molti altri hanno richiamato l’attenzione sulla carenza di cibo e le condizioni di vita.
Il crollo del turismo internazionale e quello del raccolto della canna da zucchero, che è stato a livelli del 1908, quindi la restrizione delle forniture dal Venezuela, in crisi, hanno fatto sì che ufficialmente l’economia cubana, non diversamente da altri Paesi, si sia ridotta dell’11%, la più grande contrazione dal 1993. Le importazioni nell’isola sono diminuite del 40%, davanti ai negozi si formano lunghe code per ottenere i prodotti alimentari di base, cui s’aggiungono interruzioni di elettricità diffuse.
Le motivazioni delle proteste cubane sono simili a quelle delle prolungate manifestazioni di massa in Colombia, che sono state represse molto più brutalmente, ma hanno ricevuto una frazione dell’attenzione dei media. Non ci sono dubbi che la mafia cubano-americana, come sempre, sta soffiando sul fuoco di un Paese in gravi difficoltà economiche e alle prese con il diffondersi della pandemia.
Il sindaco di Miami Francis Suarez ha chiesto l’intervento militare degli Stati Uniti, “per proteggere il popolo cubano da un bagno di sangue”, mentre il presidente Biden ha rilasciato una dichiarazione ufficiale di sconcertante ipocrisia chiedendo al governo cubano di rispettare il “diritto di protesta pacifica e il diritto del popolo cubano a determinare liberamente il proprio futuro” e a “servire i loro bisogni in questo momento vitale piuttosto che arricchirsi”.
Si può eccepire molto sul sistema sociale e politico cubano, ma a dare lezioni di democrazia non può essere certo l’oligarchia statunitense o i gangster cubani che controllano la Florida.
Cuba, stretta nell’embargo decretato dagli Usa e inasprito da Trump, è sola e in difficoltà. Ancora una volta bisogna prendere atto che, nonostante gli innegabili successi della rivoluzione cubana, la prospettiva nazionalista arranca nel sottosviluppo e nell’isolamento. C’è da chiedersi quanto potrà ancora resistere in tali condizioni, mentre che cosa potrebbe diventare l’isola, dopo un traumatico passaggio in mano alla mafia cubano-americana, è facile immaginarlo.
Neanche gli Usa, di fronte ad un blocco mondiale, riuscirebbero a farcela.
RispondiEliminasenza spacciare i loro biglietti verdi sarebbero morti
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