Riesco ancora a stupirmi su come sia
possibile trasmettere nella tv pubblica un documentario, della durata di circa
un’ora, riguardante il crollo della borsa di New York dell’ottobre 1929 e la
crisi economica e sociale che ne seguì, senza mai pronunciare la parola
“capitalismo” (*). Ecco che la storia non è più il prodotto dall’azione di forze
oggettive, ma ogni evento viene collocato sotto il segno del miracolo o della
catastrofe, dell’azione degli individui di volta in volta buoni o cattivi. Buoni investitori, cattivi speculatori; Herbert
Hoover all’inferno e Franklin D. Roosevelt in paradiso.
Dal
momento che i responsabili di questi programmi televisivi, così come gli
storici ed economisti intervistati, non posso essere accusati di non conoscere
che cos’è la censura, né di essere incapaci di distinguere ciò che è
semplicemente falsificazione, si deve dedurre che questa gente è entrata in una
sorta di orbita autonoma, vorrei dire autistica, e senza imbarazzo vuol
stabilire che la società capitalistica è in grado di superare le proprie
contraddizioni ed è il solo sistema praticabile. Vedremo ancora per quanto e a
quali costi.
Il programma si chiude con una citazione
dell’economista borghese John Kenneth Galbraith: “Nessuno fu responsabile del grande
crollo di Wall Street, nessuno manovrò la speculazione che lo precedette, entrambi
furono il prodotto della libera scelta e della libera decisione di migliaia di
individui; questi non furono condotti al macello, vi furono spinti dalla latente
follia che ha sempre travolto la gente presa dall’idea di diventare ricchissima”.
L'approccio "scientifico" borghese alle contraddizioni proprie del sistema (non solo di quelle economiche) funziona così. In tal modo la crisi perde il carattere capitalistico, oggettivo, per assumerne uno soggettivo, “umano”: non è il modo di produzione capitalistico che contiene in sé le cause dello squilibrio, ma la psiche umana, la volubilità degli attori sulla scena del mercato, e perciò non si tratta di cambiare sistema economico, ma di cambiare la testa degli uomini!
L'approccio "scientifico" borghese alle contraddizioni proprie del sistema (non solo di quelle economiche) funziona così. In tal modo la crisi perde il carattere capitalistico, oggettivo, per assumerne uno soggettivo, “umano”: non è il modo di produzione capitalistico che contiene in sé le cause dello squilibrio, ma la psiche umana, la volubilità degli attori sulla scena del mercato, e perciò non si tratta di cambiare sistema economico, ma di cambiare la testa degli uomini!
(*) Dal sogno all'incubo. America 1929, Rai Storia.