Durante l’annual meeting del FMI del 15-19
ottobre (in realtà una riunione semestrale), l'ex governatore della Bank of
England (BoE), Mervyn King, ha affermato a chiare lettere che il “sistema
finanziario globale, attenendosi alla nuova ortodossia della politica monetaria
e fingendo di aver reso sicuro il sistema bancario, si sta dirigendo come un
sonnambulo verso una devastante crisi finanziaria” con “conseguenze devastanti
per il sistema di mercato democratico”.
Quindi: “Nessuno può dubitare che stiamo
vivendo ancora una volta un periodo di turbolenze politiche. Ma non c’è stato
un confronto sulle idee di fondo della politica economica [But there has been
no comparable questioning of the basic ideas underpinning economic policy.]. Ciò
deve cambiare”.
Facile osservare che le “idee” del capitale, cioè di chi investe per trarre profitto e non per fare della beneficienza, sono da
sempre le stesse e non possono cambiare. Né, di conseguenza, possono mutare gli orizzonti ideologici di coloro che sostengono il sistema.
*
Il FMI, dal canto suo, rileva che il ritmo
dell'attività economica globale, dopo aver rallentato bruscamente negli ultimi
tre trimestri del 2018, rimane debole. “Lo slancio dell'attività
manifatturiera, in particolare, si è notevolmente ridotto, a livelli mai visti dalla crisi finanziaria globale” (2008).
Quali le cause secondo il FMI? “L'aumento
delle tensioni commerciali e geopolitiche aumenta l'incertezza sul futuro del
sistema commerciale globale e sulla cooperazione internazionale più in generale,
influenzando la fiducia delle imprese, le decisioni d’investimento e il commercio
globale”.
Nel Rapporto sulle prospettive dell’economia globale si ammette che vi è stato un accentuato rallentamento economico in
paesi come la Turchia, l'Argentina e l'Iran, o anche come il Brasile, Messico,
India, Russia e Arabia Saudita. Hong Kong, Corea e Singapore, “sono
particolarmente esposti al rallentamento a causa delle tensioni commerciali tra
Cina e Stati Uniti”. Si può aggiungere che l’area euro non se la passa meglio,
a cominciare dalla Germania (per l’Italia la bassa crescita è una costante, e
ad ogni modo una parte significativa della nostra manifattura dipende dagli
ordinativi tedeschi). In buona sostanza “Le economie dei paesi avanzati
continuano a rallentare poiché esposte al rallentamento dell’economia cinese”,
sostiene il FMI.
Insomma, tutta “colpa” della Cina e in
subordine degli Stati Uniti che si stanno facendo la guerra.
In queste affermazioni c’è del vero, senza
dubbio, ma si riscontra anche una reticenza di base. Anzitutto bisognerebbe
chiedersi qual è il motivo profondo che provoca le tensioni commerciali tra
Cina e Stati Uniti, motivo che riguarda senz’altro la lotta per l’egemonia, ma
questa stessa lotta sui dazi e il rientro delle produzioni negli Usa ha evidentemente
ragioni più profonde.
Nonostante tutti i paludati discorsi gergali
sulle banche e il sistema finanziario, alla fine della canzone, chi in un modo
e chi in un altro, siamo tutti d’accordo che la contraddizione centrale
dell’economia capitalistica sia da rintracciarsi nel rapporto tra produzione e
consumo.
Non proprio tutti, per esempio io non sono
d’accordo. Per ciò che vale, ovviamente. La causa della crisi viene individuata
nella sovrapproduzione di merci e conseguentemente dall’impossibilità a
realizzarsi in seguito al sottoconsumo, vale a dire alla limitatezza di
consumo. Un tempo si era giunti a teorizzare persino che gli schiavi moderni (cioè
lo schiavo di quegli uomini che si sono resi proprietari delle condizioni
materiali del lavoro) consumino meno di quanto producono per loro mera
propensione psicologica alla parsimonia, quasi per dispetto. Il keynesismo,
cioè il delirio teorico borghese, ci ha regalato anche queste perle (*).
Nel modo di produzione capitalistico la contraddizione
tra produzione e consumo assume effettivamente una rilevanza di primo piano,
poiché la crisi di sovrapproduzione è anche “crisi di sottoconsumo”, benché
quest’ultima ne rappresenti unicamente un lato, un aspetto, non la necessità (non si studia la dialettica
ritenendola un’astrusità, faccenda di perditempo).
Le contraddizioni operanti nella sfera del
consumo sono indotte da quelle interne alla sfera della produzione. Di
conseguenza la genesi della crisi va ricercata nella produzione di plusvalore, e non nella sua realizzazione.
Procedere in senso inverso, collocando cioè la contraddizione principale nella
circolazione, conduce inevitabilmente alle interpretazioni della crisi come
esito di sottoconsumo, di scarsa “propensione”. Questa tesi alimenta l’illusione (questa sì necessaria!) che
sia possibile risolvere la crisi intervenendo sulla sfera del mercato e degli
investimenti, in definitiva agendo sul movimento del denaro, dei tassi e sulla
fiscalità (gli sciocchi alla stregua di Piketty e di tutti quelli che
hanno “soluzioni” pronte all’uso).
La crisi per cause di sovrapproduzione (o di
sproporzione tra le diverse sfere produttive), ha il suo reale motivo, in
ultima istanza, nel
meccanismo stesso dell’accumulazione, vale a dire nella produzione del
plusvalore per il plusvalore. E nessuno può farci nulla, se non
soccorrere con pannicelli caldi, ossia con dazi, nuove tasse, patrimoniali,
lotta a questo e quello.
(*) Tra parentesi, anche la cosiddetta
teoria della sproporzionalità appartiene
al novero delle concezioni che individuano la causa della crisi nella sola sovrapproduzione di merci.
Per i sostenitori della teoria della sproporzionalità, la crisi dell’economia
capitalistica deriverebbe da uno sviluppo sproporzionato dei diversi settori
della produzione sociale.
https://www.ilsole24ore.com/art/non-solo-cile-perche-sud-america-e-polveriera-ACWLodt
RispondiElimina