La storia non si fa con i “sé”, ma questi
aiutano a capire quanto la storia sia capricciosa sgualdrina (*). Non avvertendo
alcun afflato per la sorte di partiti e movimenti politici che non sono in
grado di comprendere e affrontare la nuova realtà se non dal lato della sua
spettacolarizzazione, e non dovendomi occupare di questioni di urgente momento
come la messa al bando della “d” eufonica, da alcuni giorni rifletto su un
fatto storico che mi era noto ma al quale non avevo dato il peso che esso indubbiamente
merita per le gigantesche e tremende conseguenze prodotte nel secolo scorso, la
cui eco giunge inesorabile fino a noi e scavalcherà le nostre caduche esistenze.
I nomi di Lenin e di Trotsky sarebbero oggi
noti solo a una ristretta cerchia di cultori della storia del socialismo
rivoluzionario russo. Quello di Stalin sarebbe sconosciuto a tutti.
Nell’ottobre del 1917, secondo il calendario vigente in loco, a Pietrogrado non
sarebbe avvenuto nulla di particolarmente significativo. E così di seguito,
tanto che il XX secolo avrebbe avuto uno svolgimento del tutto diverso da com’è
stato in realtà “sé” però la dirigenza politica, militare, amministrativa della
Russia zarista avesse approntato un decente equipaggiamento per il proprio
esercito prima di avventurarsi in una guerra europea che poteva scoppiare in ogni momento e era già largamente preventivata (anche se non attesa in quel preciso momento). Una guerra combattuta modernamente e i
cui ammaestramenti sul piano tattico e logistico erano stati messi in luce nel
corso dalle guerre balcaniche recenti, se non già anticipati nel conflitto
russo nipponico del decennio precedente.
E tuttavia perfino in assenza di tali basilari
predisposizioni belliche, la Russia non sarebbe crollata militarmente e anzi
sarebbe stata decisiva per le sorti del conflitto in atto se solo la Gran
Bretagna e la Francia si fossero decise di inviarle per tempo e in aiuto una
parte delle proprie artiglierie, fucili e soprattutto munizioni invece di
dissipare tali risorse in sterili e sanguinosi tentativi di sfondare le linee tedesche con attacchi frontali. L’esercito russo, ristrutturato sotto l’aspetto
ordinamentale dopo la batosta del 1905, addestrato e soverchiante numericamente
rispetto alle forze dello schieramento tedesco e di quello austroungarico, mancò
però di sufficienti e adeguate artiglierie, specie di grosso calibro, e rimase
fino all’ultimo sprovvisto in modo criminoso di fucili e munizioni.
In tal senso offrono ampia e accurata
disamina i dati inoppugnabili e le ponderate considerazioni che si possono
trarre dalle Memorie di guerra di
Lloyd George, il quale non risparmia taglienti e motivate critiche alla
leadership militare anglo-francese, sovrana delle decisioni in quel momento, mettendo
in luce che se la Russia avesse ricevuto prontamente e adeguatamente gli aiuti richiesti
– e possibili – non solo avrebbe potuto resistere al nemico ma l’avrebbe
ricacciato e sconfitto, tanto che il conflitto stesso si sarebbe concluso ben
prima del 1918. Quando tali aiuti finalmente giunsero in Russia, alquanto
insufficienti, la situazione era già irrimediabilmente compromessa (**). Un errore che grazie-a-dio non si ripeterà nel secondo conflitto mondiale.
A ben vedere e anche se sotto aspetti
apparentemente del tutto diversi si può cogliere un’analoga miopia strategica dell’Occidente
verso la Russia in chiave anticinese così come verso il teatro mediorientale odierno.
L'esercito invasore è descritto come "forze di Ankara", mentre l'esercito regolare che si difende dall'aggressione viene descritto come "truppe di regime". Sempre grande giornalismo.
(*) Il generale Joseph Simon Gallieni, la sera del 9 agosto 1914, pranzando in borghese in un piccolo ristorante parigino, sentì un redattore del quotidiano Temps, che sedeva al tavolo accanto, dire a un commensale: “La informo che il generale Gallieni è appena entrato a Colmar con tremila uomini”. Gallieni si avvicino all’orecchio del suo amico che sedeva a tavola con lui e gli disse: “Et voilà comment on écrit l’histoire!”.
(**) "Uno dei misteri del grande conflitto rimarrà questo: perché coloro i quali lo dirigevano non si riunirono a conferire sulla strategia da seguire se non al febbraio del 1917, quando era ormai troppo tardi per rimediare ai più calamitosi errori strategici?" (David Lloyd George, Memorie di guerra, vol. II, Mondadori, 1934, pp. 207-08).
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L'esercito invasore è descritto come "forze di Ankara", mentre l'esercito regolare che si difende dall'aggressione viene descritto come "truppe di regime". Sempre grande giornalismo.
(*) Il generale Joseph Simon Gallieni, la sera del 9 agosto 1914, pranzando in borghese in un piccolo ristorante parigino, sentì un redattore del quotidiano Temps, che sedeva al tavolo accanto, dire a un commensale: “La informo che il generale Gallieni è appena entrato a Colmar con tremila uomini”. Gallieni si avvicino all’orecchio del suo amico che sedeva a tavola con lui e gli disse: “Et voilà comment on écrit l’histoire!”.
(**) "Uno dei misteri del grande conflitto rimarrà questo: perché coloro i quali lo dirigevano non si riunirono a conferire sulla strategia da seguire se non al febbraio del 1917, quando era ormai troppo tardi per rimediare ai più calamitosi errori strategici?" (David Lloyd George, Memorie di guerra, vol. II, Mondadori, 1934, pp. 207-08).
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