Scrive
Antonio Polito sul Corriere della Sera:
Ma
è pur vero che fin dall’atto di nascita della Repubblica il mistero la avvolge.
I risultati del referendum istituzionale si fecero aspettare così tanto, e
sembrarono a lungo così incerti, che i monarchici attribuirono a sicuri brogli
la loro sconfitta. E si deve solo al senso di responsabilità di Umberto II, il
«re di maggio», (e a chi lo consigliò) se fece le valige e andò in esilio,
senza cercare lo scontro.
Quando parliamo di notizie farlocche,
sarebbe bene tener conto di quante di queste sono distribuite dai grandi
giornali e dai loro più quotati opinionisti. Il brano sopra è solo un esempio tratto
tra i tanti che quotidianamente ci passano davanti agli occhi. Di quale senso
di responsabilità monarchica va cianciando Polito? Umberto II fece quanto
possibile e minacciò di tutto pur di rimanere aggrappato al trono, dando retta
soprattutto a coloro che lo consigliavano in tal senso. Antonio Polito farebbe
bene a ripassare la storia di quel periodo, se ha scritto quella cosa in buona
fede.
Antonio Polito, già sedicente marxista-leninista, della sua buona fede è
convinto anche quando scrive:
Il
mistero, ahinoi, avvolge ancora molti degli esecutori materiali, ma non più dei
moventi, di quella che il giornale inglese The Observer chiamò la «strategia
della tensione»: un’incredibile scia di bombe e stragi che condizionò la nostra
democrazia negli anni ’70, fino a lasciare poi il testimone al terrorismo rosso
e alla sua ferocia.
I nomi degli esecutori materiali delle
stragi sono noti, con sentenze passante in giudicato e pur restando impuniti, così come sono noti per lo più anche i nomi dei depistatori. Basta documentarsi e scrivere sine ira et studio. A Polito però interessa
far dipendere il “terrorismo rosso” dalla cosiddetta strategia della tensione:
Da
allora la «strategia» mutò. Il Pci aveva infatti continuato a crescere,
ottenendo la vittoria nel referendum sul divorzio, proprio nel 1974, e poi con
lo sfondamento elettorale del biennio ’75-76. Sarà un caso, ma da quel momento
al posto delle bombe partì l’attacco delle Brigate Rosse.
Polito non è un ignorantello, c’è dell’altro
in questa sua ricostruzione, degna proprio dei teoremi che considerano gli “anni
delle bombe” esclusivamente dal lato di una strategia che vuole impedire al Pci
di entrare nella stanza dei bottoni (una ferita che in molti come Polito non si è mai rimarginata) e trascura ciò che realmente accadde, segnatamente,
sul piano del conflitto sociale.
Polito cita più volte la strage di piazza Fontana,
ma non ricorda che nel 1972, proprio per sviare l’attenzione sull’inchiesta di
Stiz sulla cellula nera padovana, la responsabilità di quella strage si tentò in ogni modo, già allora, di farla
ricadere, quando la pista anarchica non teneva più, sul “terrorismo rosso” (ancora in grembo agli dèi nel 1969). Dato che Polito è un po' più giovane di me, gli riferisco la mia di memoria.
Nel giugno 1972 fu distribuito dai comandi
provinciali dell’arma dei carabinieri a tutte le stazioni un opuscolo dal
titolo L’attività terroristica in Italia
connessa al caso Feltrinelli. In esso si riassumeva grossolanamente
l’attività dell’editore morto pochi mesi prima e i suoi collegamenti con altri
gruppi dell’estrema sinistra. Seguì il cosiddetto dossier San Marco, 60 pagine elaborate da un gruppo di ricerca
interno ai servizi segreti, denominato GS 573, operante su direttive di Mario
Francovich, alias Guido Giannettini, agente del SID (Servizio Informazioni Difesa) che sarà implicato nelle
inchieste e nei processi per gli attentati e i depistaggi. Nel dossier si
stabiliva il coinvolgimento di Feltrinelli nella strage di Milano e in altri
attentati compiuti a partire dal maggio 1968.
Il 12 settembre del 1972, arrivò al giudice
istruttore di Milano un memoriale manoscritto con firma autenticata di Marco Pisetta.
93 pagine su carta spessa colore bianco rinforzata all’interno da rete di filo
a trama larga, tipica dei servizi segreti. Già nel giugno precedente, Pisetta,
in veste di testimone, confidò al giudice istruttore Ciro de Vincenzo episodi
veri modificati e sostituiti da avvenimenti inventati. Parlò di un incontro, avvenuto a
Rocchetta Ligure nella casa dell’avv. Giovambattista Lasagna, al quale prese
parte Marisa Calimodio, Vittorio Togliatti, Feltrinelli, Curcio, Italo Saugo e Corrado
Simioni. Secondo il “teorema Pisetta”, Curcio e Simioni avevano prelevato dal giardino di una casa
50 chili di esplosivo, che era stato poi trasportato a Milano con l’auto del
pittore Enrico Castellani. Pisetta aveva tenuto a specificare che ciò era
avvenuto prima dell’attentato di piazza Fontana! E via delirando.
I teorici della strategia della tensione e
degli “opposti estremismi” si sono sempre
nutriti di queste balle, funzionali allo stesso gioco. Va peraltro ricordato,
en passant, che i GAP di Giangiacomo Feltrinelli erano uno sparuto gruppetto di
sfigati, e non già il nucleo di un esercito rivoluzionario che esisteva solo
nella mente e agli ordini dell’editore, cioè di un uomo che cercò vanamente di
dare un senso alla sua vita e un valore anche morale al proprio denaro.
È vero, come dice Polito e stabilito dai
fatti, che tra il 1975-’76 “partì
l’attacco delle Brigate Rosse”. Anzi, un cambio di strategia si ebbe già
con il caso Sossi (1974). Non va dimenticato che durante il periodo del
sequestro del giudice vi fu la strage nel carcere di Alessandria, con sette
morti tra prigionieri ed ostaggi. Un chiaro messaggio recepito dalle BR e dallo stesso Sossi, che fu portato a Milano,
rilasciato, in incognito prese il treno per Genova, all’arrivo non si presentò
a polizia e carabinieri, ma alla guardia di finanza. Sapeva che ognuno faceva
il proprio gioco ed egli temeva per sé.
Normale che il gruppo di Dalla Chiesa, dati i suoi metodi, venisse poi messo da parte e riesumato solo nel 1978, quando mutò il livello dello scontro. Ma Polito vede in ciò dell'altro ... .
L’antagonismo sociale di quegli anni andava
a rafforzare le file delle BR con nuove figure, anche di spicco intellettuale. L’organizzazione,
sotto il profilo operativo e logistico, migliorò notevolmente, pur mostrando
ancora delle carenze sul piano tenico-militare, come si noterà nell’operazione di
via Fani, che non fu un esempio di “geometrica potenza”, ma un esempio di impreparazione
e grave negligenza della controparte.
Come in ogni gruppo sociale, fosse pure una
bocciofila, anche all’interno delle BR si denotano contrasti personali, divergenze
di linea, tattica e strategica, fragilità e miserie umane. Morucci ne è un esempio quando sottrae 80
milioni e poi va a consegnarsi; così il caso di Peci e di altri. Il cambio di
strategia, l’aver privilegiato l’aspetto dello scontro militare, sarà decisivo
per la sconfitta delle BR, poiché darà la vittoria su quel terreno al più forte
e spregiudicato, a chi ha mezzi illimitati e detiene il potere sull'informazione.
Del resto quella strategia non aveva reale prospettiva di
successo dato il rapido mutare della situazione sociale e politica, come
dimostrato, tra gli altri, dagli avvenimenti di Torino nel 1980, dall’esplosione della spesa
pubblica, ecc.. Venendo a mancare l’acqua i pesci non nuotarono più come prima e muoiono.
Se si vuole davvero riannodare le fila di quel
periodo storico è necessario puntare sui fatti più che sui “misteri”. Siamo tutti dei
pedoni sulla grande scacchiera del caso, anche quelli che si reputano alfieri,
torri e regine. I più illusi (e spesso pericolosi) sono quelli che nella
scacchiera del caso si credono dei cavalli, cioè liberi di agire per proprio conto.
".....si credono dei cavalli, cioè liberi di agire per proprio conto." Io dico per conto altrui, basta vedere l'intrighi che sono emersi nell'inchiesta di report su Salvini. C'è sempre un motivo non dichiarato in tutte " ca...te".
RispondiEliminaun saluto roberto b
Nel post, a un certo punto, per distrazione, avevo scritto Sisde invece di SID. Ho corretto.
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