mercoledì 23 ottobre 2019

Antonio Polito, uomo di fede


Scrive Antonio Polito sul Corriere della Sera:

Ma è pur vero che fin dall’atto di nascita della Repubblica il mistero la avvolge. I risultati del referendum istituzionale si fecero aspettare così tanto, e sembrarono a lungo così incerti, che i monarchici attribuirono a sicuri brogli la loro sconfitta. E si deve solo al senso di responsabilità di Umberto II, il «re di maggio», (e a chi lo consigliò) se fece le valige e andò in esilio, senza cercare lo scontro.

Quando parliamo di notizie farlocche, sarebbe bene tener conto di quante di queste sono distribuite dai grandi giornali e dai loro più quotati opinionisti. Il brano sopra è solo un esempio tratto tra i tanti che quotidianamente ci passano davanti agli occhi. Di quale senso di responsabilità monarchica va cianciando Polito? Umberto II fece quanto possibile e minacciò di tutto pur di rimanere aggrappato al trono, dando retta soprattutto a coloro che lo consigliavano in tal senso. Antonio Polito farebbe bene a ripassare la storia di quel periodo, se ha scritto quella cosa in buona fede.

Antonio Polito, già sedicente marxista-leninista, della sua buona fede è convinto anche quando scrive:

Il mistero, ahinoi, avvolge ancora molti degli esecutori materiali, ma non più dei moventi, di quella che il giornale inglese The Observer chiamò la «strategia della tensione»: un’incredibile scia di bombe e stragi che condizionò la nostra democrazia negli anni ’70, fino a lasciare poi il testimone al terrorismo rosso e alla sua ferocia.

I nomi degli esecutori materiali delle stragi sono noti, con sentenze passante in giudicato e pur restando impuniti, così come sono noti per lo più anche i nomi dei depistatori. Basta documentarsi e scrivere sine ira et studio. A Polito però interessa far dipendere il “terrorismo rosso” dalla cosiddetta strategia della tensione:

Da allora la «strategia» mutò. Il Pci aveva infatti continuato a crescere, ottenendo la vittoria nel referendum sul divorzio, proprio nel 1974, e poi con lo sfondamento elettorale del biennio ’75-76. Sarà un caso, ma da quel momento al posto delle bombe partì l’attacco delle Brigate Rosse.

Polito non è un ignorantello, c’è dell’altro in questa sua ricostruzione, degna proprio dei teoremi che considerano gli “anni delle bombe” esclusivamente dal lato di una strategia che vuole impedire al Pci di entrare nella stanza dei bottoni (una ferita che in molti come Polito non si è mai rimarginata) e trascura ciò che realmente accadde, segnatamente, sul piano del conflitto sociale.

Polito cita più volte la strage di piazza Fontana, ma non ricorda che nel 1972, proprio per sviare l’attenzione sull’inchiesta di Stiz sulla cellula nera padovana, la responsabilità di quella strage si tentò in ogni modo, già allora, di farla ricadere, quando la pista anarchica non teneva più, sul “terrorismo rosso” (ancora in grembo agli dèi nel 1969). Dato che Polito è un po' più giovane di me, gli riferisco la mia di memoria.

Nel giugno 1972 fu distribuito dai comandi provinciali dell’arma dei carabinieri a tutte le stazioni un opuscolo dal titolo L’attività terroristica in Italia connessa al caso Feltrinelli. In esso si riassumeva grossolanamente l’attività dell’editore morto pochi mesi prima e i suoi collegamenti con altri gruppi dell’estrema sinistra. Seguì il cosiddetto dossier San Marco, 60 pagine elaborate da un gruppo di ricerca interno ai servizi segreti, denominato GS 573, operante su direttive di Mario Francovich, alias Guido Giannettini, agente del SID (Servizio Informazioni Difesa) che sarà implicato nelle inchieste e nei processi per gli attentati e i depistaggi. Nel dossier si stabiliva il coinvolgimento di Feltrinelli nella strage di Milano e in altri attentati compiuti a partire dal maggio 1968.

Il 12 settembre del 1972, arrivò al giudice istruttore di Milano un memoriale manoscritto con firma autenticata di Marco Pisetta. 93 pagine su carta spessa colore bianco rinforzata all’interno da rete di filo a trama larga, tipica dei servizi segreti. Già nel giugno precedente, Pisetta, in veste di testimone, confidò al giudice istruttore Ciro de Vincenzo episodi veri modificati e sostituiti da avvenimenti inventati.  Parlò di un incontro, avvenuto a Rocchetta Ligure nella casa dell’avv. Giovambattista Lasagna, al quale prese parte Marisa Calimodio, Vittorio Togliatti, Feltrinelli, Curcio, Italo Saugo e Corrado Simioni. Secondo il “teorema Pisetta”,  Curcio e Simioni avevano prelevato dal giardino di una casa 50 chili di esplosivo, che era stato poi trasportato a Milano con l’auto del pittore Enrico Castellani. Pisetta aveva tenuto a specificare che ciò era avvenuto prima dell’attentato di piazza Fontana! E via delirando.

I teorici della strategia della tensione e degli “opposti estremismi” si sono sempre nutriti di queste balle, funzionali allo stesso gioco. Va peraltro ricordato, en passant, che i GAP di Giangiacomo Feltrinelli erano uno sparuto gruppetto di sfigati, e non già il nucleo di un esercito rivoluzionario che esisteva solo nella mente e agli ordini dell’editore, cioè di un uomo che cercò vanamente di dare un senso alla sua vita e un valore anche morale al proprio denaro.

È vero, come dice Polito e stabilito dai fatti, che tra il 1975-’76 “partì l’attacco delle Brigate Rosse”. Anzi, un cambio di strategia si ebbe già con il caso Sossi (1974). Non va dimenticato che durante il periodo del sequestro del giudice vi fu la strage nel carcere di Alessandria, con sette morti tra prigionieri ed ostaggi. Un chiaro messaggio recepito dalle BR e dallo stesso Sossi, che fu portato a Milano, rilasciato, in incognito prese il treno per Genova, all’arrivo non si presentò a polizia e carabinieri, ma alla guardia di finanza. Sapeva che ognuno faceva il proprio gioco ed egli temeva per sé.

Normale che il gruppo di Dalla Chiesa, dati i suoi metodi, venisse poi messo da parte e riesumato solo nel 1978, quando mutò il livello dello scontro. Ma Polito vede in ciò dell'altro ... .

L’antagonismo sociale di quegli anni andava a rafforzare le file delle BR con nuove figure, anche di spicco intellettuale. L’organizzazione, sotto il profilo operativo e logistico, migliorò notevolmente, pur mostrando ancora delle carenze sul piano tenico-militare, come si noterà nell’operazione di via Fani, che non fu un esempio di “geometrica potenza”, ma un esempio di impreparazione e grave negligenza della controparte.

Come in ogni gruppo sociale, fosse pure una bocciofila, anche all’interno delle BR si denotano contrasti personali, divergenze di linea, tattica e strategica, fragilità e miserie umane. Morucci ne è un esempio quando sottrae 80 milioni e poi va a consegnarsi; così il caso di Peci e di altri. Il cambio di strategia, l’aver privilegiato l’aspetto dello scontro militare, sarà decisivo per la sconfitta delle BR, poiché darà la vittoria su quel terreno al più forte e spregiudicato, a chi ha mezzi illimitati e detiene il potere sull'informazione.

Del resto quella strategia non aveva reale prospettiva di successo dato il rapido mutare della situazione sociale e politica, come dimostrato, tra gli altri, dagli avvenimenti di Torino nel 1980, dall’esplosione della spesa pubblica, ecc.. Venendo a mancare l’acqua i pesci non nuotarono più come prima e muoiono.

Se si vuole davvero riannodare le fila di quel periodo storico è necessario puntare sui fatti più che sui “misteri”. Siamo tutti dei pedoni sulla grande scacchiera del caso, anche quelli che si reputano alfieri, torri e regine. I più illusi (e spesso pericolosi) sono quelli che nella scacchiera del caso si credono dei cavalli, cioè liberi di agire per proprio conto.

2 commenti:

  1. ".....si credono dei cavalli, cioè liberi di agire per proprio conto." Io dico per conto altrui, basta vedere l'intrighi che sono emersi nell'inchiesta di report su Salvini. C'è sempre un motivo non dichiarato in tutte " ca...te".
    un saluto roberto b

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  2. Nel post, a un certo punto, per distrazione, avevo scritto Sisde invece di SID. Ho corretto.

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