Il Partito democratico non è mai stato un partito
socialdemocratico (tantomeno da quando è stato scalato da Renzi & C.).
Continua ad occupare una posizione parlamentare di sinistra pur non avendo da
molto tempo più nulla a che fare con la sinistra. Ciò crea
l’illusione che a sinistra vi sia ancora una forza parlamentare di peso
significativo. Le parole di Zingaretti sono state a tal proposito chiare: «E'
giusto allargare il perimetro del centrosinistra ma per farlo bisogna
innanzitutto concentrarsi sul Pd evitando di parlare solo di “centro moderato”
perché sarebbe sbagliato guardare solo in una direzione». Ha aggiunto: «abbiamo
il compito di coltivare al massimo la pianticella, non abbandono l'idea di una
vocazione maggioritaria». In altri termini, Zingaretti dice: dobbiamo portarci
dietro anche coloro che s’illudono che il partito democratico sia ancora un
partito di sinistra, abbiamo bisogno dei loro voti per essere maggioranza.
Del resto, come scrivevo alcuni giorni or sono, la
assai variegata “sinistra”, ripudiato il prontuario del riformismo classico, non
ha da offrire un programma d’alternativa reale, salvo prorogare le solite modeste misure fiscali e di “crescita” rivolte
a tamponare una situazione economica e sociale che si fa sempre più grave. Non
si tratta, come taluni pensano, solo di una crisi d’ordine culturale, bensì di
una chiara volontà di lasciarsi alle spalle le categorie storiche del pensiero
di sinistra, basti pensare che la categoria stessa di rapporti sociali di
produzione e quella di classi sociali sono scomparse da decenni dal vocabolario
del partito sortito dallo scioglimento del Pci, fino al punto che la destra reazionaria può oggi contestare perfino l’uso della più neutrale e eufemistica
espressione di “classi subalterne”. Per non dire poi di quell’ossimoro che si
sente ripetere, cioè quello di “socialismo liberale”. Sparatevi.
Ha ragione dunque chi sostiene che il capitalismo delle
nuove tecnologie ha messo a valore la vita e non più solo il lavoro, e che la catena
del valore divenuta internazionale ha reso meno individuabile e raggiungibile, anche
nelle lotte, la proprietà contro cui aprire il conflitto. Per quanto riguarda
il Partito democratico si tratta anche di altro. Parla una lingua che le nuove
generazioni e le fasce sociali più marginali non riescono a comprendere;
arruola nelle proprie file la feccia liberista ed europeista e dunque ne adotta
con gioia l’ideologia e il linguaggio.
Il caso, da ultimo, di Carletto Calenda è a tal
proposito esemplare. Mettersi in casa soggetti simili, per pescare voti al
centro, significa rinunciare a qualsiasi politica di sinistra che punti a
modificare gli attuali rapporti di forza tra le classi sociali; vuol dire
rinunciare di porre al primo posto del proprio programma una reale ed effettiva
lotta contro lo strapotere del capitale, contro la diseguaglianza crescente e l’erosione
dei diritti sociali e lo svilimento del lavoro; in definitiva è deflettere dal minimo
programmatico di un partito che possa dirsi ancora di sinistra, seppure di
sinistra riformista.
In tal senso, chi straparla di riforma della UE, o è
un povero imbecille oppure ci marcia, come nel caso di Salvini e del movimento
reazionario diretto dalla Casaleggio associati. È ben evidente che la UE non è riformabile. Sarebbe in tal
senso sufficiente prendere atto di chi comanda realmente a Bruxelles, così come
ho cercato di spiegare nel post del 24 maggio scorso, e di considerare
che anche sotto l’aspetto procedurale ciò risulta velleitario in quanto solo un
voto all’unanimità tra i 28 Paesi – 19 per l’eurozona – potrebbe cambiare il
contenuto dei Trattati (in qual senso poi sarebbe tutto da vedere).
Fantapolitica.
Poracci questi de sinistra
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