Bisognerebbe
chiedersi perché proprio nel momento del massimo trionfo del capitalismo su
scala mondiale, nel momento in cui si schiudono immense possibilità di sviluppo
in ogni campo, sia venuta a mancare, quale logico coronamento di tanti sforzi e
drammi plurisecolari, un’esplicazione umanistico-comunitaria che veda l’uomo
ordinatore di giustizia sociale all’interno di società finalmente pacificate.
Domandina
non peregrina se si è capaci d’introspezione e non ci si nasconde dietro il
frusto stereotipo di frasette tipo: “è il peggiore sistema ad eccezione di
tutti gli altri”. E invece niente, si sconta l’instancabile riproposizione dei
soliti temi (disoccupazione, disuguaglianza, povertà, crisi della
rappresentanza, strapotere delle lobby, caduta demografica verticale,
immigrazione, allarme per i cambiamenti ambientali, ecc.), accompagnati da
ridondanti e paludate soluzioni, senza che mai vi sia un sussulto, una presa di
distanze da un lealismo borghese che puzza di putrefazione.
Fingiamo
meraviglia e scandalo perché la maggioranza di un paese affida illusoriamente al
leaderismo carismatico la risoluzione dei problemi, ma le belle coscienze
attente ai problemi nuovi che cosa hanno da proporre in alternativa dopo aver
sposato le ragioni del capitale, la cui “etica” assoluta è quella della massimizzazione del profitto? Pensiamo
davvero che le contraddizioni di questo sistema, dalle quali sortiscono irreversibili
disastri umani e naturali, possano essere assorbite vuoi da un lato con misure
fiscali più rigorose e una più equa distribuzione, vuoi dall’altro e paradossalmente
con più mercato?
La posizione
oggettiva della classe media, sfracellata, polverizzata, atomizzata,
parcellizzata, proletarizzata e senza prospettive, non è condizione sufficiente
per mutarne i tratti psichici, le convinzioni ideologiche. Essa resta sotto il
dominio e l’influenza dell’ideologia dominante ed è perciò estremamente
vacillante nelle “sue” opinioni.
Non
va dimenticato che pur essendo le ragioni programmatiche (quelle del tempo che fu) della sinistra
parlamentare più corrispondenti agli interessi ed alle aspirazioni delle classi
proletaria e media, si deve fare i
conti con l’ideologia borghese che è assai antica, più elaborata in ogni
direzione e dispone di mezzi di diffusione incommensurabilmente più potenti.
La
superficialità della concezione liberal-democratica della storia non aveva
bisogno di comprendere che le conquiste ottenute negli anni ruggenti del
riformismo non avrebbero retto l’urto del revanscismo reazionario sospinto dal
ferreo imporsi della legge naturale del capitale. È accaduto ciò che altre
volte la storia ha mostrato (*).
La
sinistra riformista da un lato ha arruolato nelle proprie file e in posizioni
apicali la feccia d’impronta liberista e cattolica, dall’altro ha dato spazio a
una guerra ideologica senza quartiere contro chi s’oppone alle dottrine di un
liberismo senza se e senza ma. Nel
momento in cui il blocco degli interessi borghesi non ha più bisogno del welfare per fronteggiare il
pericolo “comunista”, lascia il riformismo al suo declino tenendosi stretto il
portafoglio.
Quelli
che ci stanno di fronte non sono problemi del futuro, siamo già a una svolta
decisiva per le sorti dell’umanità stessa, e anche coloro che dall’altro lato
della barricata pensano che per far breccia nelle coscienze sia sufficiente
proporre, tanto per andare per grossi schemi, la tosatura patrimoniale dei
“ricchi” (anche i ricchi piangono!!) o programmi di rinazionalizzazione, sono
fuori della realtà storico-sociale (**).
(*)
Senza un colpo di forza dei terribili giacobini (la rivoluzione “cattiva”),
anche le timide e parziali conquiste girondine (la rivoluzione “buona”)
sarebbero state, con la restaurazione borbonica, sepolte sotto le macerie della
rivoluzione. Lo stesso era accaduto nel corso della rivoluzione inglese,
scoppiata nel 1642, laddove gli esitanti capi presbiteriani evitarono
deliberatamente una battaglia decisiva contro l’esercito regio e dunque una
vittoria su Carlo I, e ciò ebbe come necessaria conseguenza la loro cacciata dal
Parlamento e la conquista del potere da parte degli Indipendenti. Fu la
determinazione di altri a rimettere in carreggiata le cose.
(**)
Il trasferimento dei titoli di proprietà non implica di per sé vantaggi per la
collettività, e ad ogni modo ad abolire la proprietà privata dei mezzi di
produzione stanno provvedendo, non da oggi, i giganteschi agglomerati
multinazionali (in tal senso farà molto più gioco l’eventuale accordo tra
Renault-Nissan-FCA che bislacchi programmi di rinazionalizzazione).
il ritorno in Italia è sempre drammatico.
RispondiEliminaSi esce dall'Europa e si precipita in basso.
Il paese più indebitato è l'unico dove si tributa 0 sulla casa (case ovunque); 0 sul patrimonio (soldi nascosti ovunque ma soprattutto in Svizzera) e 0 sulle successioni (paese di vecchi straricchi che muoiono coi soldi rubati). Le scuole, i trasporti, gli ospedali fanno schifo. Tutti raccomandati o fuori dai coglioni. Tutto è inquinato e marcio, crollano i ponti. E non c'è democrazia ma solo consenso manipolato non essendoci alcuna legge sul conflitto d'interesse. Così alle elezioni - che incredibilmente hanno ancora luogo - fanno 30% Renzi come 30% di Maio come 30% Salvini (certo, uno per volta, come al cesso), e davvero pure una scimmia può fare 30% se non 40, nella speranza di non cambiare mai e non pagare un cazzo di niente sulla roba e salvare così la propria famiglia.
ah, ecco dov'eri finito
Eliminaeh, niente, stavo facendo due conti.
RispondiEliminaCiao
ciao
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