Questo post è stato vergato tra le ore 1.15 e le 3, complice l’abbondante cena ben
innaffiata. Del resto, gli anniversari vanno festeggiati. La festa è una delle
massime espressioni della cultura umana. I cani e gli economisti non hanno
nulla da festeggiare, salvo scodinzolare quanto i loro padroni con
condiscendenza li gratificano di una carezza o un lucroso incarico. A volte può
capitare che un cane azzanni il proprio padrone; un economista non lo farebbe
mai.
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Gli economisti borghesi e certi loro seguaci
“ultrasinistri” considerano la circolazione
come la base dell’economia capitalista. Al fine di non imbattersi nel problema
della teoria del valore, e nelle conseguenze pericolose per l’ordine sociale
esistente che essa comporta, tutti costoro evitano qualsiasi analisi del processo di produzione, limitandosi a
quello dei fenomeni di mercato.
Questa caratteristica è comune a tutte le scuole
economiche borghesi moderne, da quella marginalista, a quella keynesiana e a
tutte le altre.
La tendenza a considerare solo il valore di scambio,
riduce l’economia borghese all’analisi delle relazioni tra prezzi, così come
esse sono date sul mercato. Procedendo dai prezzi, invece che dai valori, non
si è in grado di andare di là della superficiale apparenza delle merci e si
finisce col cadere vittime del feticismo di esse.
Inoltre, queste teorie, nella misura in cui osservano
solo dal punto di vista della
circolazione, mirano a dimostrare che la contraddizione fondamentale del
modo di produzione capitalistico non consiste nello sfruttamento della
forza-lavoro, bensì, nel più favorevole dei casi, in “un’ingiusta ripartizione
della ricchezza prodotta”. Sarebbe pertanto sufficiente un’equa distribuzione
dei redditi e quindi una serie di riforme per eliminare tale “discrasia”.
Come ha dimostrato Marx, la forma sviluppata dello
scambio di merci contiene in sé già la possibilità
della crisi ma non ancora la sua necessità;
è necessario altresì considerare che il processo di produzione capitalistico, considerato
nel suo nesso complessivo, dunque come processo di riproduzione, non produce
solo merce, non produce solo plusvalore, ma produce e riproduce il rapporto capitalistico stesso:
da una parte il capitale, dall’altra il lavoro salariato.
È quanto mai necessario soffermarsi su questo aspetto
essenziale poiché esso denota la peculiarità del processo storico
capitalistico.
Storicamente l’accumulazione si è prodotta attraverso
la trasformazione di schiavi e servi della gleba in operai, ma soprattutto con
l’espropriazione dei produttori immediati, con la dissoluzione della proprietà
privata fondata sul lavoro personale. I produttori diretti vengono separati
violentemente dei propri mezzi di produzione; essi diventano liberi perché devono essere liberi di vendere la propria forza-lavoro, liberi di farsi sfruttare.
Nel contempo i mezzi di produzione si centralizzano
nelle mani di una minoranza che li trasforma in capitale. L’accumulazione è un
processo che prosegue incessantemente attraverso sempre le identiche fasi successive.
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Il processo politico-sociale che porta al superamento del capitalismo è ancora incerto, ma non lo è il
traguardo. Mai come nella fase attuale
si presenta in modo così netto il problema storico del capitalismo. Non si
tratta semplicemente del rapporto tra costi complessivi e ricavi netti, ma
della dimensione raggiunta dagli investimenti e della quota sempre più
residuale di lavoro vivo, con tutte le implicazioni economiche e sociali e
finanche demografiche che ciò comporta in modo decisivo e assoluto.
Poiché l’unica fonte di valore, e quindi del
plusvalore, è assiomaticamente la forza-lavoro, la diminuzione relativa del
capitale variabile implica che si giunga a un punto del processo di
accumulazione in cui il plusvalore prodotto è divenuto così piccolo, relativamente
al capitale complessivo accumulato, che non è più sufficiente a valorizzare
l’intero capitale, facendogli compiere il necessario salto di composizione
organica.
L’aumento della composizione organica del capitale è
una tendenza necessaria allo
sviluppo capitalistico e rappresenta la causa delle crisi di sovrapproduzione
di merci e di capitale.
A un determinato livello dell’accumulazione, la scala
della produzione è data tecnicamente: poiché, per la sua espansione, è
necessaria una quantità definita di capitale, la grandezza del plusvalore che
si richiede per consentire la valorizzazione non è arbitraria, ma sottoposta a vincoli tecnici.
Se all’epoca di Marx, la tendenza allo sfacelo del
modo di produzione capitalistico, in quanto “tendenza di fondo”, appariva come istante-limite del modello, cioè come istante-logico e non immediatamente storico, nella fase attuale dello sviluppo
capitalistico, tale tendenza si palesa come crisi generale-storica che investe il capitalismo
nella sua totalità e si estende nel
tempo quanto più aumentano le difficoltà di valorizzazione. Non si tratta di
bruscolini, come intuiscono bene i padroni che spingono verso sempre più
gigantesche concentrazioni e centralizzazioni.
Tale movimento reale
è ovviamente più complesso e multiforme del movimento che ne riflette le leggi,
e rappresenta in assoluto la causa più
profonda ed essenziale della crisi storica della società borghese quale si
manifesta nelle più variegate e correnti problematizzazioni.
Piaccia o no, la teoria marxista, proprio perché
consente di prevedere scientificamente la trasformazione
del possibile in necessario, è l’unica guida per la comprensione della
dinamica storica e per l’azione, un faro capace di rischiarare a distanza “il crepuscolo borghese
degli dei”.
La sfasatura tra il piano della logica e quello della
storia ha indotto certi critici di Marx a ritenere che il suo modello teorico,
non traducendosi nel “crollo” reale
del capitalismo, abbia valore di pura esercitazione letteraria o che, tutt’al
più, rappresenti il residuo del modo di ragionare hegeliano, una sorta di
increspatura idealistica di cui il marxismo, recepito come sociologia, non si
sarebbe liberato.
Si tratta, nella migliore delle ipotesi, di
liquidatori frettolosi e superficiali di un gigante del pensiero che
meriterebbe ben più attento e approfondito studio di prima mano. Ma tant’è, in
questo tramonto d’epoca non sono pochi coloro che, vedendo proiettarsi in lungo
la propria ombra, pensano di poter trattare Marx come un loro pari.
Per favore, potresti indicare quali pietanze e quali vini hanno favorito un post così straordinario?
RispondiEliminaun riesling della mosella e per finire un malvasia datato, appena un po' ossidato ma ancora squisito
Eliminati dico il secondo: una milanese fatta con braciola di vitella (tenerissima), impanata da dio in persona, non soffritta ma fritta. da rosicchiare fino all'osso e oltre. non è un piatto banale, ma da urlo.
i comunisti predicano bene ma razzolano ancor meglio, si sa
se vieni da 'ste parti è lì che ti porto
Eliminagrazie per gli errori che mi hai segnalato, tra l'altro la dettatura digitale ha mutato scuola marginalista con materialista !!!!!
EliminaInoltre, queste teorie, nella misura in cui osservano solo dal punto di vista della circolazione, mirano a dimostrare che la contraddizione fondamentale del modo di produzione capitalistico non consiste nello sfruttamento della forza-lavoro, bensì, nel più favorevole dei casi, in “un’ingiusta ripartizione della ricchezza prodotta”. Sarebbe pertanto sufficiente un’equa distribuzione dei redditi e quindi una serie di riforme per eliminare tale “discrasia”.
RispondiEliminaMa se la riforma fosse la “socializzazione dei mezzi di produzione”si eliminerebbe la discrasia.
in che cosa consiste la socializzazione dei mezzi di produzione? qualche esempio, prego
EliminaSOCIALIZZAZIONE. - La socializzazione dei mezzi di produzione sorge come conclusione necessaria della concezione socialista di C. Marx e di F. Engels; infatti secondo il manifesto dei comunisti l'accrescimento progressivo della produttività nell'ordinamento capitalistico offrirebbe i mezzi materiali per una partecipazione di ognuno al benessere economico; ma a causa della concentrazione progressiva del capitale, della legge bronzea dei salarî, della costituzione delle armate di riserva dei disoccupati, dell'immiserimento crescente, l'accrescimento tenderebbe spesso a generare crisi sempre più gravi fra produzione sociale e appropriazione privata; l'unico rimedio a questo fatale andamento sarebbe dato appunto dalla socializzazione dei mezzi di produzione (che del resto sarebbe preparata dalla loro crescente concentrazione) e dalla conseguente gestione sociale allo scopo non più del profitto capitalistico, ma della integrale soddisfazione dei bisogni sociali.
Eliminabravo, questo è c+v tratto dalla Treccani, ma io le ho chiesto un esempio concreto, storico. poi le dirò il resto.
EliminaStoricamente, a mia conoscenza, ci sono solo dei tentativi: la Comune di Parigi, Cuba e la Jugoslavia.
EliminaPer l'inveramento bisognerà fare la Rivoluzione.