domenica 2 giugno 2019

Il crepuscolo borghese degli dei



Questo post è stato vergato tra le ore 1.15 e le 3, complice l’abbondante cena ben innaffiata. Del resto, gli anniversari vanno festeggiati. La festa è una delle massime espressioni della cultura umana. I cani e gli economisti non hanno nulla da festeggiare, salvo scodinzolare quanto i loro padroni con condiscendenza li gratificano di una carezza o un lucroso incarico. A volte può capitare che un cane azzanni il proprio padrone; un economista non lo farebbe mai.

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Gli economisti borghesi e certi loro seguaci “ultrasinistri” considerano la circolazione come la base dell’economia capitalista. Al fine di non imbattersi nel problema della teoria del valore, e nelle conseguenze pericolose per l’ordine sociale esistente che essa comporta, tutti costoro evitano qualsiasi analisi del processo di produzione, limitandosi a quello dei fenomeni di mercato.

Questa caratteristica è comune a tutte le scuole economiche borghesi moderne, da quella marginalista, a quella keynesiana e a tutte le altre.

La tendenza a considerare solo il valore di scambio, riduce l’economia borghese all’analisi delle relazioni tra prezzi, così come esse sono date sul mercato. Procedendo dai prezzi, invece che dai valori, non si è in grado di andare di là della superficiale apparenza delle merci e si finisce col cadere vittime del feticismo di esse.


Inoltre, queste teorie, nella misura in cui osservano solo dal punto di vista della circolazione, mirano a dimostrare che la contraddizione fondamentale del modo di produzione capitalistico non consiste nello sfruttamento della forza-lavoro, bensì, nel più favorevole dei casi, in “un’ingiusta ripartizione della ricchezza prodotta”. Sarebbe pertanto sufficiente un’equa distribuzione dei redditi e quindi una serie di riforme per eliminare tale “discrasia”.

Come ha dimostrato Marx, la forma sviluppata dello scambio di merci contiene in sé già la possibilità della crisi ma non ancora la sua necessità; è necessario altresì considerare che il processo di produzione capitalistico, considerato nel suo nesso complessivo, dunque come processo di riproduzione, non produce solo merce, non produce solo plusvalore, ma produce e riproduce il rapporto capitalistico stesso: da una parte il capitale, dall’altra il lavoro salariato.

È quanto mai necessario soffermarsi su questo aspetto essenziale poiché esso denota la peculiarità del processo storico capitalistico.

Storicamente l’accumulazione si è prodotta attraverso la trasformazione di schiavi e servi della gleba in operai, ma soprattutto con l’espropriazione dei produttori immediati, con la dissoluzione della proprietà privata fondata sul lavoro personale. I produttori diretti vengono separati violentemente dei propri mezzi di produzione; essi diventano liberi perché devono essere liberi di vendere la propria forza-lavoro, liberi di farsi  sfruttare.

Nel contempo i mezzi di produzione si centralizzano nelle mani di una minoranza che li trasforma in capitale. L’accumulazione è un processo che prosegue incessantemente attraverso sempre le identiche fasi successive.

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Il processo politico-sociale che porta al superamento del capitalismo è ancora incerto, ma non lo è il traguardo. Mai come nella fase attuale si presenta in modo così netto il problema storico del capitalismo. Non si tratta semplicemente del rapporto tra costi complessivi e ricavi netti, ma della dimensione raggiunta dagli investimenti e della quota sempre più residuale di lavoro vivo, con tutte le implicazioni economiche e sociali e finanche demografiche che ciò comporta in modo decisivo e assoluto.

Poiché l’unica fonte di valore, e quindi del plusvalore, è assiomaticamente la forza-lavoro, la diminuzione relativa del capitale variabile implica che si giunga a un punto del processo di accumulazione in cui il plusvalore prodotto è divenuto così piccolo, relativamente al capitale complessivo accumulato, che non è più sufficiente a valorizzare l’intero capitale, facendogli compiere il necessario salto di composizione organica.

L’aumento della composizione organica del capitale è una tendenza necessaria allo sviluppo capitalistico e rappresenta la causa delle crisi di sovrapproduzione di merci e di capitale.

A un determinato livello dell’accumulazione, la scala della produzione è data tecnicamente: poiché, per la sua espansione, è necessaria una quantità definita di capitale, la grandezza del plusvalore che si richiede per consentire la valorizzazione non è arbitraria, ma sottoposta a vincoli tecnici.

Se all’epoca di Marx, la tendenza allo sfacelo del modo di produzione capitalistico, in quanto “tendenza di fondo”, appariva come istante-limite del modello, cioè come istante-logico e non immediatamente storico, nella fase attuale dello sviluppo capitalistico, tale tendenza si palesa come crisi generale-storica che investe il capitalismo nella sua totalità e si estende nel tempo quanto più aumentano le difficoltà di valorizzazione. Non si tratta di bruscolini, come intuiscono bene i padroni che spingono verso sempre più gigantesche concentrazioni e centralizzazioni.

Tale movimento reale è ovviamente più complesso e multiforme del movimento che ne riflette le leggi, e rappresenta in assoluto la causa più profonda ed essenziale della crisi storica della società borghese quale si manifesta nelle più variegate e correnti problematizzazioni.

Piaccia o no, la teoria marxista, proprio perché consente di prevedere scientificamente la trasformazione del possibile in necessario, è l’unica guida per la comprensione della dinamica storica e per l’azione, un faro capace di rischiarare a distanza “il crepuscolo borghese degli dei”.

La sfasatura tra il piano della logica e quello della storia ha indotto certi critici di Marx a ritenere che il suo modello teorico, non traducendosi nel “crollo” reale del capitalismo, abbia valore di pura esercitazione letteraria o che, tutt’al più, rappresenti il residuo del modo di ragionare hegeliano, una sorta di increspatura idealistica di cui il marxismo, recepito come sociologia, non si sarebbe liberato.

Si tratta, nella migliore delle ipotesi, di liquidatori frettolosi e superficiali di un gigante del pensiero che meriterebbe ben più attento e approfondito studio di prima mano. Ma tant’è, in questo tramonto d’epoca non sono pochi coloro che, vedendo proiettarsi in lungo la propria ombra, pensano di poter trattare Marx come un loro pari.

9 commenti:

  1. Per favore, potresti indicare quali pietanze e quali vini hanno favorito un post così straordinario?

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    1. un riesling della mosella e per finire un malvasia datato, appena un po' ossidato ma ancora squisito
      ti dico il secondo: una milanese fatta con braciola di vitella (tenerissima), impanata da dio in persona, non soffritta ma fritta. da rosicchiare fino all'osso e oltre. non è un piatto banale, ma da urlo.
      i comunisti predicano bene ma razzolano ancor meglio, si sa

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    2. se vieni da 'ste parti è lì che ti porto

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    3. grazie per gli errori che mi hai segnalato, tra l'altro la dettatura digitale ha mutato scuola marginalista con materialista !!!!!

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  2. Inoltre, queste teorie, nella misura in cui osservano solo dal punto di vista della circolazione, mirano a dimostrare che la contraddizione fondamentale del modo di produzione capitalistico non consiste nello sfruttamento della forza-lavoro, bensì, nel più favorevole dei casi, in “un’ingiusta ripartizione della ricchezza prodotta”. Sarebbe pertanto sufficiente un’equa distribuzione dei redditi e quindi una serie di riforme per eliminare tale “discrasia”.
    Ma se la riforma fosse la “socializzazione dei mezzi di produzione”si eliminerebbe la discrasia.

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    1. in che cosa consiste la socializzazione dei mezzi di produzione? qualche esempio, prego

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    2. SOCIALIZZAZIONE. - La socializzazione dei mezzi di produzione sorge come conclusione necessaria della concezione socialista di C. Marx e di F. Engels; infatti secondo il manifesto dei comunisti l'accrescimento progressivo della produttività nell'ordinamento capitalistico offrirebbe i mezzi materiali per una partecipazione di ognuno al benessere economico; ma a causa della concentrazione progressiva del capitale, della legge bronzea dei salarî, della costituzione delle armate di riserva dei disoccupati, dell'immiserimento crescente, l'accrescimento tenderebbe spesso a generare crisi sempre più gravi fra produzione sociale e appropriazione privata; l'unico rimedio a questo fatale andamento sarebbe dato appunto dalla socializzazione dei mezzi di produzione (che del resto sarebbe preparata dalla loro crescente concentrazione) e dalla conseguente gestione sociale allo scopo non più del profitto capitalistico, ma della integrale soddisfazione dei bisogni sociali.

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    3. bravo, questo è c+v tratto dalla Treccani, ma io le ho chiesto un esempio concreto, storico. poi le dirò il resto.

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    4. Storicamente, a mia conoscenza, ci sono solo dei tentativi: la Comune di Parigi, Cuba e la Jugoslavia.
      Per l'inveramento bisognerà fare la Rivoluzione.

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