Il nome del sociologo Jean Ziegler mi riporta a un
passato per molti aspetti remoto ma ancora ben vivido nella memoria. Ricordo, per
esempio, che la Rai, nel 1975, verso la mezzanotte del giorno di Ferragosto (!),
trasmise un documentario che aveva ad oggetto proprio un lavoro di Ziegler sul
ruolo delle multinazionali. Sempre in quell’anno lessi un suo libro, I vivi e la morte, su un tema molto
diverso, quello dei cimiteri, che ha sempre avuto per me un fascino particolare,
e non mi serve chissà quale pseudo dottrina psicanalitica per comprenderne le
motivazioni. Molto anni dopo pubblicò La
Svizzera lava più bianco, sul ruolo della Svizzera nel riciclaggio dei capitali
“sporchi”.
Ritrovo Jean Ziegler citato in un post di Malvino,
che riporta un estratto da un’intervista fatta al sociologo svizzero in merito
al suo ultimo saggio (Was ist so schlimm
am kapitalismus. Antworten auf die Fragen meiner Enkelin). Nel rispondere
alle domande dell’intervistatrice (e della nipote Zohra), Ziegler osserva: “Ogni
cinque secondi, un bambino sotto i dieci anni muore di fame. Secondo le Nazioni
Unite, questo mondo potrebbe nutrire normalmente 12 miliardi di persone. Quasi
il doppio della popolazione mondiale. Quando un bambino muore di fame è perché viene
ucciso, e nessuno scende per strada per questo. Ein Skandal!”.
Ziegler rileva che le 500 maggiori società multinazionali
hanno il controllo del 52,8% del prodotto nazionale lordo mondiale, dunque
hanno un potere che nessuno su questo pianeta ha mai avuto. Il capitalismo, secondo
il sociologo, è responsabile non solo della morte per inedia e malattie di
milioni di bambini, ma anche del cambiamento climatico che sta sconvolgendo il
pianeta. La sua proposta: “O distruggiamo il capitalismo o ci distruggerà” (Entweder
wir zerstören den Kapitalismus, oder er zerstört uns).
Nelle parole di Ziegler non si ravvisa alcun richiamo
all’aspetto reale delle immanenti contraddizioni del capitalismo, egli da un
lato denuncia l’aspetto morale ed etico che emerge da tali contraddizioni, e dall’altro
esprime un rifiuto del sistema, ritenuto non riformabile, richiamando la
necessità che esso venga “distrutto”, senza peraltro indicare come ciò possa
avvenire, salvo guardare alle generiche rivolte di piazza dei nostri giorni.
*
Malvino coglie la distanza che separa la realtà della
denuncia dalla indefinita proposta di Ziegler. Pare di capire, non solo
da questo post, che Malvino non sia tra gli estimatori del capitalismo;
tuttavia, alla luce dell’esperienza del Novecento, egli se lo tiene stretto
poiché teme l’incognita che si cela dietro il proposito di “distruzione” del
capitalismo. A tale proposito, egli punta il dito anche contro un’altra e
conseguente affermazione di Ziegler. Quando viene chiesto al sociologo “Che cosa avverrà dopo il capitalismo?”, Ziegler risponde: “Questo è il grande mistero.
La mattina della presa della Bastiglia, nessuno sapeva quale nuova società sarebbe
emersa dalle rovine della monarchia”.
Chiosa icastico Malvino: “Bell’esempio del cazzo,
faccio tra me e me, nessuno lo sapeva quella mattina, certo, ma noi lo
sappiamo, eccome: al posto di un re si ebbe un imperatore”.
La mattina della presa della Bastiglia, le masse, spinte
in avanti dall’incalzare degli avvenimenti e dalla carestia, non sapevano quale nuova società sarebbe
emersa dalle rovine della monarchia, ma la monarchia già sapeva della
rivoluzione, e avrebbe temuto per la propria sorte. E non erano
poi così pochi coloro che avevano prefigurato il grande mutamento sociale, anche
se non avrebbero saputo dire nulla a riguardo del dettaglio. Basta prendersi la
briga di leggere il Contrat social di
Rousseau, ossia quello che, lui morto da tempo, diverrà il programma di base
dei giacobini (*).
La fine della monarchia assoluta, del feudalesimo e
degli anacronistici privilegi era data per scontata quale esito di un processo
storico innescato da lungo tempo. Del resto, che cosa era accaduto il 6 maggio
1789 in una sala dell'Hôtel des Menus-Plaisirs, a Versailles? E il 17 e il 20
giugno? E il 7 luglio, quando fu eletto un comitato per l'elaborazione della
Costituzione, mentre il 9 l'Assemblea nazionale si proclamò Assemblea nazionale
costituente? L'Ancien Règime era stato giuridicamente distrutto prima di quel fatidico mattino del 14 luglio.
*
Che al posto di un re si ebbe poi
un imperatore (cui seguirono altri monarchi), è un dato di fatto. Al punto in
cui s’era giunti dopo la vittoria della borghesia e l’instaurazione del suo
ordine economico e sociale, dopo che la Rivoluzione aveva imposto la moderna
idea di nazione, aveva un’importanza relativa chi dormisse a Fontainbleau.
Né, del resto, Napoleone può
essere paragonato ai Capeto o ai fantocci che poi hanno preso il suo posto,
nipote compreso. I biografi che danno troppo spazio alle sue campagne non
aiutano a veder chiaro, scriveva Jacques Benville.
Con la rivoluzione, il consolato e l’impero, l’architrave
dell’edificio internazionale non era stato solo incrinato, ma compromesso per
sempre. Le nuove costituzioni, il codice civile, l’abolizione lla disuguaglianza tra eredi e del maggiorascato,
il ridimensionamento del ruolo della Chiesa cattolica, la fine dei principati
ecclesiastici, il nuovo assetto europeo che veniva a prendere forma con e dopo
le guerre napoleoniche, insomma lo smottamento del vecchio equilibrio europeo,
quello uscito nella guerra dei Sette anni e costruito soprattutto dalla
politica del cancelliere austriaco Kaunitz, l’emergere infine della Prussia e
della Russia quali nuovi attori europei, e dunque l’esistenza in Europa di un
altro centro di gravitazione diverso da quello del passato, tutto ciò la
Rivoluzione francese e Napoleone non l’avevano fatto nascere, ma l’avevano reso
possibile.
Pertanto, a mio avviso, ciò che è avvenuto nel 1917 e
negli accidentati sentieri del Novecento, merita una più attenta riflessione e
giudizi meno affrettati. Per quanto riguarda il domani, da un lato vi è la certezza, non astratta ma basata sull’effettiva dinamica delle sue immanenti contraddizioni, che il
modo di produzione capitalistico se non sarà superato ci distruggerà.
Dall’altro lato, dobbiamo avere la consapevolezza che per evitare la catastrofe
verso cui stiamo precipitando, è necessaria una rivoluzione epocale, che chiude
l’epoca dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Per impedirlo, non ci sarà arma
militare ed ideologica che non verrà impiegata da parte delle classi dominanti,
non c’è violenza, strage o genocidio che non saranno tentati.
(*) Il nome di Rousseau è citato ogni giorno, ma pochi
l’hanno effettivamente letto, specie “tra i cervelli piccoli e vuoti”, che
essendo vuoti “non v’incontra conoscenza alcuna che le sia d’ostacolo” (Taine, Le origini … II, 97).
Nè L'Einaudi nè lo Ziegler citati da Malvino pare a mio avviso facciano dichiarazioni eclatanti.(già sentito)
RispondiEliminaL'Einaudi poi pare anticipare o posticipare Popper ,in qualche misura..boh!
Peccato che la via tortuosa a Ziche e Zaghe virtuosa ,conducente da qualche parte,chissà perchè ,poi, penda sempre da una stessa parte !
Vado a rileggermi Esopo .
caino
L'attuale capitalismo ha alle sue spalle ben due guerre mondiali e ha di fronte a se la terza. A confronto, le campagne napoleoniche sono state soltanto un'inezia. Peccato che non riesco a pubblicare la Seconda guerra mondiale, ma da qualche parte ho già scritto che la prima e la seconda guerra mondiale hanno lasciato un chiaro messaggio: le nuove armi con le quali le hanno concluse sarebbero diventate le principali armi della guerra successiva.
RispondiEliminaTutto molto giusto e molto logico, però, se ci si fermasse sempre a soppesare tute le possibili conseguenze di ogni possibile azione, non si farebbe mai niente.
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