Prendiamo atto, di garbo o no, che non è possibile
nessuna risposta politica che guardi al passato, nessuna possibilità di
ripristino degli antichi equilibri tra le classi sociali, nessun ritorno a
quell’epoca dove contraddizioni e aspirazioni trovavano nella piattaforma
riformistica ricomposizione e agibilità. Per quanto ci riguarda direttamente, la
fusione del maggior partito della sinistra con l’area moderata e cattolica ha
prodotto semplicemente un’eterogenea convergenza elettorale, toccando il punto
più basso con l’urticante vicenda del renzismo. Non deve perciò sorprendere che
nuovi soggetti politici abbiano a modo loro colmato il vuoto.
Non era stato forse un giovane profeta a scrivere che
la borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti
di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali? Ecco
dunque che quando si parla di crisi della democrazia si deve intendere anzitutto
la crisi dell’esperienza riformistica che ha subito uno scacco storico nella
temperie della cosiddetta globalizzazione. Per contro, di un soggetto politico
nuovo in un tempo nuovo, non v’è traccia; vale a dire di un soggetto politico che
sia radicalmente alternativo, e dunque necessariamente e programmaticamente
rivoluzionario quanto lo richieda l’ampiezza del cambiamento.
Anche per la semplice ragione – in realtà assai
complessa – che non si sono fatti i conti fino in fondo con l’esperienza del “comunismo”
novecentesco. Quei regimi offrivano la comprensione immediata che non l’umanità in ogni individuo trionfava ma il potere
dispotico di pochi. Ciò è parso sufficiente, anche sul piano storico e della
riflessione politica, per liquidare quell’esperienza come negatività assoluta, dunque non solo come errore ma come crimine (*).
L’iperbole di una società nuova, come compimento di
una lunga attesa, troverebbe negli esiti di quei regimi la sua definitiva
smentita storica: l'uomo è destinato a essere lupo per l'altro uomo per infallibile
condizione di natura. Ha vinto l’idea che una società senza classi, senza
padroni e schiavi, non può esistere. È impossibile – ci
viene fatto credere – liberarci da una condizione storicamente permanente (**).
Non ci vogliamo rendere conto, a rischio
di replicare i drammi del passato e forse anche di maggiori, che la società
borghese, il capitalismo in stato avanzato, non ha risposte da dare ai gravissimi problemi del presente e a quelli che ineludibili s’annunciano. Che in essa sono maturi tutti i presupposti per il suo
superamento, basti pensare che la ricchezza reale si manifesta sempre più
nell’enorme sproporzione fra il tempo di lavoro impiegato e il suo prodotto,
come pure nella sproporzione qualitativa fra il lavoro ridotto a una pura
astrazione e la potenza del processo di produzione che esso sorveglia.
Il furto del tempo di lavoro altrui, su
cui poggia la ricchezza odierna, si presenta come una base miserabile rispetto
alla nuova base produttiva tecnologicamente avanzata che si è sviluppata nel
frattempo, e così l’appropriazione di gran parte della ricchezza prodotta
socialmente da parte di poche migliaia d’individui diventa sempre più
intollerabile e un anacronismo storico che non potrà durare ancora a lungo.
Quale sarà l’esito concerto di questo
processo e quale nuovo assetto politico e statuale esso produrrà, non è dato
ancora sapere. Né del resto ha grande importanza: ogni epoca produce, prima o
poi, le proprie forme organizzative e sociali più adatte.
(*) Si tratta di un giudizio storico sul proprio
tempo, fondato sull’ansia frettolosa di mettere fine a un appuntamento mancato
fin dall’origine a causa d’insufficienti presupposti di sviluppo e che,
tuttavia, non potrà tardare a riproporsi nella sequenza dello sviluppo storico.
(**) Dovremmo lasciarci ammaestrare dagli
antichi, i quali accordavano la libertà ai loro schiavi soltanto durante i
saturnali. In quelle feste popolari i servi comandavano ai loro padroni, e
questi si compiacevano della mascherata con la sospensione di ogni lavoro solo perché
la farsa non durava più a lungo di una settimana.
Risolverà la situazione in un modo o nell'altro il modello di Lotka-Volterra.
RispondiEliminaRecentemente ho avuto possibilità si seguire alcuni incontri del gruppo di lotta comunista e, se da un lato mi ha fatto piacere trovare buona parte dei fondamenti teorici che lei espone in questo blog, dall’altra ho notato con rammarico la mancanza di una strategia a breve e lungo termine che possa accompagnare il cambiamento della struttura produttiva.
RispondiEliminaDue esempi che mi hanno colpito: la propaganda che fa riferimento prevalentemente agli operai lavoratori e la mancanza di una solida rete di rapporti internazionali (quanto meno europei).
Non conosco direttamente altre realtà o movimenti di questo tipo ma ho l’impressione che, sulla base di quel poco che ancora so della teoria marxista che sto imparando grazie anche a questo blog, un po’ di “colpe” siano da attribuirsi anche a chi la teoria marxista l’ha studiata e sta provando a metterla in pratica. Se di colpe si può parlare, considerando comunque importante la presenza e l’operato di questi gruppi.
i compagni di lotta comunista sono ottimi, e sono leninisti, cioè dei "rivoluzionari di professione". ricordo una riunione di trotskisti, a milano, nel secolo scorso, laddove questi compagni di lotta comunista venivano sarcasticamente chiamati "testimoni di genova" (genova è la sede storica principale). buone le analisi, soprattutto quelle di La Barbera, ma per quanto riguarda la strategia a breve, anche loro non si fanno illusioni. e come dare loro torto?
Eliminasul breve e anche sul medio e lungo periodo, l'unico suggerimento che mi sento di darle è quello di evitare la cosiddetta "teoria merxista" e di studiare direttamente gli scritti di Marx e Engels, aggiungendoci magari R. Luxemburg. naturalmente continui a leggere anche lotta comunista, mensile che da qualche tempo i compagni di padova non mi fanno più giungere per il semplice motivo che l'amico S. è stato destinato ad altri incarichi.
il fatto che non siano presenti in internet è conferma del fatto che loro cercano il contatto diretto. insomma, il proselitismo fine a se stesso non interessa. dal loro punto di vista hanno indubbiamente ragione. dal mio punto di vista, invece, penso che abbiano torto a non pubblicare almeno alcuni articoli. benemerita è inoltre la loro attività editoriale relativamente alle opere inedite in italiano di M & E.
In effetti per come ne sono venuto a conoscenza e ho cominciato a seguirli, “testimoni di genova” ci sta come ironia. Comunque ci tengo a precisare che anche io li sto apprezzando molto.
EliminaRiguardo le letture, concordo con il suo suggerimento di approcciare direttamente Marx e Engels: per il momento mi sto studiando l’antiduhring.
Grazie della risposta e dell’interessamento