Su il manifesto
compare un’intervista di Roberto Ciccarelli a tale Rutger Bregman, un altro
infatuato di tutto ciò che circola di più bislacco in tema di reddito di base
universale. Secondo costui si tratterebbe di un’idea che non è né di destra né
di sinistra. Infatti è la solita cagata.
Già nel 1974 – sostiene
Rutger Bregman – questa forma di reddito fu sperimentata a Dauphin in
Canada. « … è stato l’esperimento più lungo di
reddito ed è stato dimostrato che la povertà crollò tra gli abitanti, come il tasso
di ospedalizzazione e le violenze domestiche. Le persone non lasciarono il
lavoro, ma s’impegnavano diversamente».
Anche prendendo per vero quanto dice, Bregman
tralascia due informazioni essenziali: i pochi partecipanti all’esperimento
sapevano che il giochino del reddito minimo era limitato nel tempo e che poi tutto
sarebbe tornato come prima e che dunque alcune migliaia di dollari annui non
valevano un posto di lavoro. È ben spiegato qui.
Tagliando corto su tali idiozie, veniamo al climax
della proposta di questo povero disgraziato di passaggio in Italia:
Per la prima volta nella storia tutti,
e non solo i ricchi, potranno avere il privilegio di dire «no» a quello che non
vogliono fare.
Se tutti avessero la
possibilità, dunque il privilegio, di dire «no» a quello che non vogliono fare,
la società borghese (e non solo quella) chiuderebbe i battenti prima di sera, e
il signor Bregman troverebbe ben strano che nessuno voglia più alzarsi all’alba
per pulire la stalla della fattoria dove viene prodotto il latte della sua
colazione.
Il venditore di almanacchi farnetica che in tal modo
si arriverebbe a “una soluzione win-win. Anche i ricchi
otterrebbero dei benefici. Sradicare la povertà è un investimento che paga”.
È evidente che Bregman, la cui testa è piena di
spazzatura se crede realmente a questa roba, non ha la minima idea su che cosa determini la condizione di povertà, ossia il
bisogno di vendersi per sopravvivere. Soprattutto ignora il fondamento di ogni
società di classe in generale, e la ragion d’essere del capitalismo in
particolare. Il capitalismo non sono i “ricchi”. I quali, in senso stretto, non rappresentano nemmeno una classe sociale. Non basta essere ricchi per essere
dei borghesi, né poveri per essere dei proletari.
Tutti i ricchi del pianeta, posto per assurdo che
abbiano effettivamente gli stessi interessi dei poveri, possono benissimo
essere d’accordo con le stronzate alla Bregman, dare con larghezza in
beneficienza il loro denaro per migliorare la condizione dei poveri, ecc.. Tuttavia
il capitalista, quando investe, si
aspetta un profitto. Non un profitto
qualsiasi, bensì un determinato
saggio del profitto. Il capitale ha bisogno di operare in determinate condizioni, e cioè di acquistare a un certo prezzo la
forza-lavoro e di estrarne tutto il plusvalore possibile.
Quanto alla trita filosofia sulla tassazione dei
profitti, è necessario aver chiara una cosa: forme e misura del welfare non
sono né saranno mai una variabile indipendente dalle dinamiche dell'accumulazione
capitalistica (*). Perciò, Rutger Bregman, o lei è molto furbo, oppure è un gran coglione.
(*) In Italia lo si è fatto credere per decenni, ed infatti vedi alla voce debito pubblico (e non solo).
(*) In Italia lo si è fatto credere per decenni, ed infatti vedi alla voce debito pubblico (e non solo).
Questo post è meraviglioso. Un bacio.
RispondiEliminastavo proprio pensando di smettere, poi arrivi tu (è evidente che c'è un fatto di telepatia) e mi rinfranchi. ti abbraccio
EliminaSe basta così poco per farla continuare, sappia che il suo post è la prima cosa che leggo ogni mattina. E non sempre lo trovo...
RispondiEliminasì, a volte basta così poco.
Eliminane tengo conto, davvero.
Mi unisco a Giorgio qui sopra. arrivo in uffico, alncio Chrome, apro contemporaneamente Gmail, la posta del posta lavoro e diciottobrumaio. se non c'è nulla da leggere su diciottobrumaio dico: oh, ma che fa, non scrive niente oggi... si batte la fiacca ?!!?!? :D
RispondiEliminaNon smettere! Davvero
Il "reddito di cittadinanza" ( o di base universale o come ancora lo si vorrà chiamare ) non funziona solo in un sistema capitalistico.
RispondiEliminaInfatti per quanto la "moneta" si possa stampare a piacimento ( di "qualcuno"), anche nel più socialistico dei sistemi essa, come " mezzo di acquisto" deve sempre corrispondere in valore ad una equivalente massa di beni e sevizi acquistabili , per produrre i quali parecchi devono comunque lavorare senza grande personale soddisfazione .
Quindi l' unica cosa auspicabile è che TUTTI lavorino, ma solo" il giusto" e per un "giusto" compenso . Ma su quel "giusto" discuteremo sempre perché "giusto" non sarà mai.
ws