L’aumento del capitale implica l’aumento della sua
parte costitutiva variabile, ossia della forza-lavoro. In altri termini, una
parte del plusvalore (quella che padroni e lacchè chiamano genericamente “profitto” o "valore aggiunto")
trasformato in capitale addizionale deve costantemente essere ritrasformata in
capitale variabile ossia in un fondo addizionale di lavoro. Sempre che le altre
circostanze rimangano invariate, e dunque resti invariata la composizione del
capitale, in tal caso una determinata massa di mezzi di produzione o di
capitale costante richiederà sempre la medesima massa di forza-lavoro per
essere messa in moto; in tal caso la domanda di forza-lavoro aumenterà
evidentemente in proporzione del capitale e aumenterà tanto più rapidamente
quanto più rapidamente aumenterà il capitale.
Siamo in presenza della classica riproduzione semplice che riproduce costantemente lo stesso
rapporto capitalistico. Non solo un caso di scuola, ma una realtà concreta del
capitalismo. Va da sé che la riproduzione della forza-lavoro, che deve
incessantemente incorporarsi al capitale come mezzo di valorizzazione,
costituisce effettivamente un elemento della riproduzione dello stesso
capitale, e perciò l’accumulazione del capitale comporta un aumento del
proletariato.
Se aumenta la domanda di forza-lavoro aumentano anche
i salari. Se poi, per contro, l’accumulazione si allenta in seguito all’aumento
del prezzo del lavoro, perchè ottunde lo stimolo del guadagno, l’accumulazione
diminuisce e il prezzo del lavoro ricade a un livello corrispondente ai bisogni
di valorizzazione del capitale.
Nel primo caso è l’aumento del capitale che rende
insufficiente la forza-lavoro sfruttabile. Nel secondo caso è la diminuzione
del capitale rende eccedente la forza-lavoro sfruttabile o, piuttosto, il suo
prezzo. La grandezza dell’accumulazione è la variabile indipendente, la
grandezza del salario quella dipendente, non
viceversa. La teoria borghese, fraintendendo completamente, interpreta il
fenomeno dell’accumulazione nel senso che la prima volta esistono troppo pochi
operai salariati, mentre nel secondo caso se ne hanno troppi.
Pertanto e come detto all’inizio, è il lavoro non
pagato, il plusvalore, trasformato in capitale addizionale, che determina da un
lato l’aumento della composizione del capitale e dunque la domanda di
forza-lavoro.
Finora, però, non si è tenuto conto del mutamento
nella composizione tecnica del
capitale, ossia dell’aumento della massa dei mezzi di produzione a paragone
della massa della forza-lavoro che li anima, e dunque, in definitiva,
dell’aumentata produttività del lavoro. Infatti, la crescente grandezza di
volume dei mezzi di produzione paragonata alla forza-lavoro ad essi incorporata
esprime la crescente produttività del lavoro. Vale a dire che la massa dei
mezzi di lavoro e delle materie prime aumenta sempre più a paragone della somma
di forza operaia necessaria al loro uso, e nella misura quindi in cui l’aumento
del capitale rende il lavoro più produttivo, esso diminuisce la domanda di
lavoro in rapporto alla grandezza del capitale.
Scrive Marx: “L’aumento
della differenza tra capitale costante [macchinari, materie prime, ecc.] e
variabile [salari] è quindi molto minore dell’aumento della differenza fra la
massa dei mezzi di produzione in cui si converte il capitale costante e la massa
di forza-lavoro in cui si converte il capitale variabile. La prima delle due
differenze aumenta insieme con la seconda, ma in un grado minore”.
Soprassedendo qui su questioni quali la
concentrazione e la centralizzazione del capitale, così come per altri aspetti della
riproduzione su scala allargata del capitale, resta da osservare che il
cambiamento della composizione tecnica del capitale, comporta che la parte costitutiva variabile diventa sempre più piccola
a paragone di quella costante. Ciò non è senza conseguenze decisive, e non
solo per gli effetti che tale dinamica produce in termini di disoccupazione
della forza-lavoro.
A tale riguardo un’ultima osservazione: la disoccupazione appare come un aumento assoluto della popolazione operaia costantemente più rapido di quello del capitale variabile, ossia dei mezzi che le danno occupazione. In realtà è vero il contrario: è l’accumulazione capitalistica che costantemente produce, precisamente in proporzione della propria energia e del proprio volume, una popolazione operaia relativa, cioè eccedente i bisogni medi di valorizzazione del capitale, e quindi superflua.
A tale riguardo un’ultima osservazione: la disoccupazione appare come un aumento assoluto della popolazione operaia costantemente più rapido di quello del capitale variabile, ossia dei mezzi che le danno occupazione. In realtà è vero il contrario: è l’accumulazione capitalistica che costantemente produce, precisamente in proporzione della propria energia e del proprio volume, una popolazione operaia relativa, cioè eccedente i bisogni medi di valorizzazione del capitale, e quindi superflua.
Tutto ciò in termini scientifici. Dopo di che ci si
può baloccare con terminologie, numerelli, grafici e le altre infinite e
fantasmagoriche congetture della “scienza” borghese.
viviamo in sistemi spuri, specie in Italia. Spuri e parecchio inquinati dalla borghesia.
RispondiEliminaBuona parte della poca occupazione di questo paese non è operaia, ma terziaria (non avanzata). E se la dinamica illustrata vale per gli operai, non vale per la disoccupazione, visto che spesso la massa operaia "superflua" viene impiegata, in qualche modo, nel terziario; con i risultati, nei servizi, che tutti apprezziamo.
Certo i disoccupati oggi sono invariabilmente i figli degli operai. Tuttavia le cose sono più complesse e sembrano poco riducibili alle leggi del bisogno.
“E’ il lavoro non pagato, il plusvalore, trasformato in capitale addizionale, che determina da un lato l’aumento della composizione del capitale e dunque la domanda di forza-lavoro.”
RispondiEliminaSiamo alla fase “matura” del capitalismo neoliberista quella dei lavoratori involontari senza alcuna retribuzione ma volenterosi.
Ormai lavoriamo ,da utili idioti ,a tempo pieno e gratis sui nuovi mezzi di accumulazione capitalista come Google,Facebook & compagnie varie .
Quanto tempo della nostra esistenza( e in quanti )dedichiamo a questa forma di neolavoro sulle tastiere non lavoro(dal punto di vista della retribuzione)?.
La “forza lavoro” si è ingigantita e il risultato lo vediamo dalla evoluzione economica delle società menzionate.
E non finisce qui.
Estrapolando il processo si arriverebbe al limite che un solo uomo ( il supercapitalista) produrrebbe PER SE tutto il prodotto per i suoi propri bisogni ( un superpanfilo di oro zecchino ? ) lasciando briciole ( ma anche nulla ) al resto de l' umanità
RispondiEliminaE' evidente quindi che anche rinunciando a vendere ( perchè nessuno può comprare) questo "re del mondo" avrebbe ancora bisogno di "servizi " cioè di SERVI, il che significa che un "punto di equilibrio" si deve formare prima ad un qualche rapporto piccolo a piacere ( dei kapitalisti) tra "forza lavoro" e "esercito industriale di riserva" che deve calmierare il costo del primo.
la speranza "rivoluzionaria" è che il sistema capitalistico esploda quando questo rapporto divenisse troppo piccolo , ma ciò non è assolutamente detto se mancasse cultura e coscienza di classe ai "venditori di se stessi".
Quindi l' immigrazione di culture allogene e arretrate non porterà ad alcuna rivoluzione ma solo a guerre tra impoveriti.
In questo già "America docet".
ws
il capitalista, super o normal, non produce una beata fava
Eliminatanto meno per sé. il capitale viene investito nella produzione ad un solo esclusivo scopo: il plusvalore. ciao
e quindi seppure l'aumento delle produttività ripaghi in termini di massa di profitto, lo stesso aumento su questo lato non ne produce altrettanto sul lato del saggio di profitto
RispondiEliminaHic Rhodus, hic salta
Eliminahttps://www.sinistrainrete.info/marxismo/10447-andrea-martocchia-lavoro-mentale-e-classe-operaia-di-g-carchedi.html
RispondiEliminacollaterale al post
grazie, ho letto
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