giovedì 21 settembre 2017

Una vecchia, irredimibile, questione



Ieri su il Foglio è stato pubblicato un lungo articolo a firma di Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d'Italia, dal titolo molto eloquente: Appunti definitivi sulla vexata quaestio meridionale, che non è una questione. Si chiama assistenzialismo secolare.

L’articolo prende avvio riportando alcuni dati macroeconomici:

Al Sud risiede un terzo della popolazione italiana, ma vi si produce un quarto del pil complessivo, un quinto del pil del settore privato e si esporta un decimo; vi si concentra invece quasi metà dei disoccupati italiani e i due terzi dei cittadini poveri, secondo la definizione di povertà relativa. Dalla seconda metà degli anni Settanta l'inseguimento che il sud aveva iniziato con qualche successo nei confronti del Nord si è fermato: il prodotto pro capite a valori correnti al Sud era poco più di metà di quello del centro-Nord nel 1951; si innalzò fino a circa il60 per cento nella prima metà degli anni Settanta; da allora è ridisceso, al 56 per cento due anni fa, secondo gli ultimi dati disponibili (ottenuti combinando opportunamente le fonti Istat e Svimez).

Le cause di questa arretratezza e inefficienza cronica, di questo divario così troppo netto tra Nord e Sud, non riguardano, per esempio, le risorse destinate al Sud, ma piuttosto come esse sono state e vengono impiegate. Quindi un problema di gestione e di classe politica, sicuramente. Un problema di infrastrutture di comunicazione, di strade e ferrovie. Certo, anche questo. La vicenda della Salerno-Reggio è fin troppo nota. Un problema di distanze, laddove si consideri che far arrivare i componenti per auto a Termini Imerese per poi assemblarli e rispedirli via nave è cosa cervellotica.

E allora, di che cosa dovrebbe vivere, per esempio, la Calabria e la Sicilia? Di agricoltura, pesca, turismo, di artigianato? E perché no? Se però si devastano le coste con milioni di vani abusivi, poi condonati con leggi regionali ad hoc, peraltro spesso senza realizzare le opere di urbanizzazione, sarà difficile incentivare il turismo, soprattutto quello dal Nord Europa che anche nella stagione invernale potrebbe trovare accoglienza nel clima mite di queste regioni. Se siete stati, per esempio, alla spiaggia di San Vito Lo Capo, non c’è bisogno di commento. E di situazioni così ve ne sono molte, troppe. Quel degrado non è colpa né della politica né di altri che non siano gli stessi fruitori di quel sito, e anche di tante persone per bene che tollerano che tutto ciò avvenga.

E la situazione al Sud, per fortuna non omogenea, è la stessa per molti versi di ciò che avviene a Roma. Hai voglia a cambiare amministratori, neanche con la legge marziale si pone più rimedio a decenni di tanto schifo.

N.B. : al Nord le cose non vanno benissimo, vi sono situazioni che gridano anche qui, ma se non altro ci si sforza di non far traboccare il vaso.


9 commenti:

  1. il Sud è, in piccolo, ciò che l'Italia intera è per l'Europa (il "tedesco medio" secondo Rossi). Le differenze nord sud sono, da questo punto di vista, inezie, cose interne o, al massimo, folclore. Le cose in comune sono troppe e così profonde che vanno molto al di là dei luoghi comuni e di una unità raffazzonata e sempre malintesa. Le cose in comune non sono affatto lavoro, democrazia, arte, ma sono, come tutti sanno: cattolicesimo, familismo, opportunismo, servilismo, misoneismo, il tutto a bestia. E sono proprio le cose che marcano la differenza con il nostro tedesco medio; ma neanche in Africa sarebbero molto ben viste. L'Italia è unica.
    Ma a fare queste considerazioni si battono praterie di moralismo. Sostanzialmente le cose in comune - le cose che poi tengono assieme lo Stivale e pure il suo Stellone - sono un dato modo, molto tradizionale, di produrre la ricchezza (e la sua miseria).
    Come non ti stanchi di ripetere un certo modo di produzione arricchisce una esigua parte a scapito dell'altra. Ma la povertà in Italia è diffusa ovunque solo che per un versante è gestita dalla criminalità organizzata e per l'altro da quella... non fatemi continuare.
    Voglio però dire: bellissime le conclusioni di Rossi, ma va compreso che un certo modo di produzione viene sempre difeso con la violenza, di cui lo stato italiano, in Italia, non ha affatto il monopolio. E il monopolio della violenza si ottiene con le forze dell'ordine che sono l'apparato, chissà perché non citato da Rossi, più infestato da capitale umano scarso.

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  2. in Italia, a me pare, più che grida e proclami e manifesti, che in effetti lasciano il tempo che trovano, prevale una sorta di cupio dissolvi, dove al precipitare degli eventi si oppone un rifuggire dalle proprie responsabilità verso una sorta di espiazione collettiva. Allora si punta tutto sul mal comune, sulla mediocrità diffusa, sul menopeggio: si tenta alla meno peggio di arrangiare una unità universalistica di poveri e ricchi (anzi, di ricchi e poveri) in un così fan tutti tragicomico. Per ora tragicomico e già questo "per ora" è un lusso che gli italiani decadenti cercano sempre di gustare con tutta la voluttà di cui sono incredibilmente capaci...

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  3. lo sviluppo ineguale nord-sud ha fatto bene all' italico capitale fino agli anni 70, poi però la situazione internazionale è cambiata (le crisi petrolifere e la fine di bretton woods tanto per dire due cosette), ed è venuto meno l'abbrivio della lunga fase espansiva post-bellica e keynesiana

    è lì che è mancato quel salto di qualità in cui lo stato (cioè il personale politico e burocratico)doveva ridimensionare il suo ruolo di imprenditore (e poi di finanziatore) e dovevano subentrare capitali privati propri, quelli che alla lunga fanno girare o meno la capitalistica giostra.

    E' mancata la stoffa: la nostra miope borghesia -meridionale in questo caso, e che pur esiste perchè non è vero che i capitali sono solo di origine mafiosa- ha preferito rimanere sul cavallo della rendita (esportando all'estero i soldi) e del finanziamento più o meno statale -quindi passibile di ampi storni- invece che rischiare una fondata e duratura evoluzione del proprio contesto sociale, la politica nazionale ha seguito lo stesso ragionamento conservativo su uno status quo già allora insostenibile, e allora via all' assistenzialismo camuffato da pubblico impiego o da finanziamento a fondo perduto.

    per mantenersi al passo ad un certo punto si deve necessariamente esportare almeno in parte lo sviluppo ineguale al di fuori dei confini, pena compromettere proprio la base sociale su cui si regge la qualità dello sviluppo stesso

    Beati fessi quelli che con il federalismo (agendo non sulla struttura produttiva ma principalmente su quella amministrativa -PCI- o sul fisco -Lega- ) volevano esportare l' ex-efficiente modello settentrionale: la materia è così scivolosa che alla fine hanno finito per importare parte di quello romano, con il suo fastoso carico di corruzione e improvvisazione.

    La romanità purtroppo non risiede a Roma, il provincialismo non abita solo in provincia

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  4. FONDI AL SUD LA VERITÀ DEI NUMERI

    Gianfranco Viesti (Il Mattino, 21.9.2017)

    «Il Foglio» di ieri ha pubblicato un ampio articolo di Salvatore Rossi, direttore generale di Bankitalia, dal titolo: "Appunti definitivi sulla vexata quaestio meridionale, che non è una questione. Si chiama assistenzialismo secolare". Con sottotitolo: "Il Sud è gravato da gravi inefficienze dove i soldi non mancano mai. Istruzione, Sanità e Giustizia, Per affamare l'assistenzialismo e fare emergere il buono che c'è serve coraggio". Le modalità comunicative, i contenuti dell'articolo e le implicazioni che ne derivano sollevano dubbi e perplessità. Le modalità. Rompendo una tradizione per cui gli interventi dei massimi vertici in carica di Bankitalia sono affidati ad interventi istituzionali, o a ben dosate interviste, l'attuale dg ha scelto di pubblicare i suoi "appunti definitivi" su un quotidiano: la firma corredata con l'indicazione del ruolo e la forte titolazione rappresentano certamente una novità, che lascia perplessi. I contenuti. La tesi esposta è semplice. «Dal Nord al Sud c'è da sempre un travaso di risorse pubbliche stimabile in quasi il 4 per cento del Pil»; questo fa sì che: «non è questione di soldi. Non c'è carenza relativa di risorse finanziarie al Sud in nessun ambito di intervento»; invece il problema è la «gestione dei servizi pubblici che, a parità di risorse finanziarie, è molto peggiore al Sud che al Nord»; e queste «differenze possono spiegarsi solo, come dicono pudicamente i sociologi e gli economisti, con la minore dotazione al Sud di capitale sociale».

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  5. Ora, a parte la storia dei flussi finanziari interregionali (che è assai più varia sia nel passato lontano e sia nel secondo dopoguerra), la domanda è: è vero che non c'è carenza relativa di risorse finanziarie pubbliche al Sud? Tutti i dati sembrano smentirlo. I dati ufficiali dei conti pubblici territoriali, che misurano tutta la spesa del settore pubblico allargato, ci dicono che nel 2015 era pari a 15801 euro procapite al CentroNord e a 12222 euro nel Mezzogiorno, cioè il 23% di meno. Questo, al netto dei rilevantissimi interessi sul debito pubblico, che si concentrano al Nord. Lo scarto così sensibile è dovuto in primo luogo all'ambito delle "politiche sociali" (6034 euro 4472): il welfare italiano è prevalentemente pensionistico, con scarsissimi interventi su povertà, famiglia, minori; e questo porta il denaro pubblico molto più al CentroNord dove ci sono più pensioni e di maggiore importo. Non è certo colpa dei pensionati, che ricevono quanto dovuto; ma è scelta politica di importanza fondamentale per cui mancano servizi decisivi, a partire dagli asili nido. Ma non è solo questo: la spesa procapite al Sud è minore anche per i trasporti e la mobilità; e per la sanità, dove è del 18% inferiore (incidentalmente, anche i medici e gli infermieri del servizio sanitario nazionale, stando all'Istat, sono oltre il 10% meno al Sud, rapportati alla popolazione). La spesa per stipendi degli insegnanti nelle scuole è pari: ma non quella per le mense, per il tempo pieno, per le manutenzioni degli edifici. Il divario è abissale nella spesa per la cultura. Quel che rileva molto è che anche la spesa in conto capitale (pure includendo tutti i fondi europei e straordinari) è stata fra il 2001 e il 2014 di molto inferiore al Sud rispetto alla media nazionale, pur scontando ancora il Mezzogiorno grandi deficit di capitale pubblico, di infrastrutture, cui l'articolo sorprendentemente non fa cenno. Nel 2000-141e Ferrovie dello Stato hanno investito meno di 50 euro procapite al Sud e quasi 120 al Centro-Nord.

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  6. Che al Sud siano disponibili meno servizi, e spesso di qualità inferiore, per i cittadini e per le imprese è un dato di fatto noto. Il punto chiave è: perché? Certamente lo scarto dipende anche da un gestione delle risorse disponibili che è spesso di qualità inferiore. Nessun problema a riconoscerlo, anzi: quel che va difeso sono i diritti dei cittadini e non l'operato delle amministrazioni.
    Riconoscere errori e mancanze è importantissimo per migliorare: spesso il Sud è poi a macchia di leopardo (ce lo dicono i dati: nella scuola, nella sanità, nella raccolta dei rifiuti): sottolineare le differenze è cruciale. Ma, contrariamente a quanto sostenuto, non è solo questa la causa: nel determinare i minori servizi contano le minori risorse disponibili; così come conta la minore dotazione di infrastrutture e capitale pubblico: la qualità degli edifici scolastici, la rete ferroviaria, idrica, fognaria, e così via. Con un intreccio complesso e interessante di cause. Proprio per questo occorrono «analisi serie, disseminate di dubbi, che si sforzano di trovare e usare i dati migliori», proprio come invita a fare Rossi. Le implicazioni. Perché, invece, la sua conclusione per cui dipende solo dal capitale sociale è così importante? Nell'intervento manca ancora un altro dato, essenziale: con la crisi e l'austerità si è tagliata la spesa e si sono aumentate le imposte più al Sud, come documentano molte analisi della Banca d'Italia (la spesa primaria corrente è al Sud nel 2014 allo stesso valore nominale del 2009, al Centro-Nord è quasi il 3% maggiore); i dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono scesi (2009-15) dell'8,1% al Sud e del 5,1% al Nord. E, come documenta incessantemente questo giornale, si sono stabilite e si stanno stabilendo regole tali, con gli indicatori del federalismo fiscale (ma lo stesso vale per l'opera di smantellamento delle università del Sud), per rendere le differenze nella disponibilità di servizi pubblici non minori ma sempre più intense. Una parte non piccola delle classi dirigenti italiane ha deciso che in tempi di austerità, il Sud deve pagare la parte maggiore del conto. E non finisce qui: il 22 ottobre lombardi e veneti saranno chiamati a votare per un progetto politico mirato a ottenere maggiori risorse pubbliche per loro a danno degli altri italiani. Quale migliore sostegno a queste dinamiche e a queste proposte di un racconto senza dubbi, per cui tanti soldi del Nord vanno al Sud ma vengono usati male per mancanza di capitale sociale? Discutiamo quindi senza «proclami basati sul sentito dire, quando non sui propri fantasmi personali», come siamo invitati a fare nell'articolo. Ma anche avendo ben chiare implicazioni e conseguenze più generali delle tesi che si argomentano: quel che sta accadendo a Barcellona è uno squillante campanello d'allarme su cosa può accadere quando si perde di vista l'interesse nazionale e si soffia sulle contrapposizioni territoriali per le risorse comuni.

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    1. replico all'articolo subito su un punto, laddove dice:
      "il 22 ottobre lombardi e veneti saranno chiamati a votare per un progetto politico mirato a ottenere maggiori risorse pubbliche per loro a danno degli altri italiani"

      è falso, spudoratamente falso
      lo Stato ha tagliato di netto somme ingentissime dei trasferimenti per il veneto. il veneto chiede l'autonomia soprattutto per far fronte alla concorrenza (sia sul piano turistico che delle agevolazioni per le imprese) di trentino e FVG. Il Comelico sta passando, dopo un referendum, al FVG proprio per questo, e Cortina vorrebbe fare altrettanto con il Trentino.

      il mio post parla anche d'altro, soprattutto d'altro, che con le risorse c'entra poco. grazie per la segnalazione dell'articolo che offre ad ogni modo un punto di vista diverso da quello di rossi.

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  7. articolo e commenti confermano che si tratta di una "vexata questio" apparentemente irrisolvibile.
    Ma in realtà la soluzione per omegeneizzare l' italia c'è : se il " sud" sembra incapace di raggiungere gli "standard" del "nord" si deve operare affinché sia il " nord" a raggiungere gli "standard" del "sud".
    Ci vorrà del tempo ma credo siamo sulla strada giusta 😎
    ws

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